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«La Rete unica potrà essere realizzata nel giro di 12-18 mesi». Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim, dal palcoscenico del Festival dell'economia di Trento, lancia questo messaggio al mercato. Lo fa dopo aver analizzato come è cambiato sensibilmente il ruolo delle società di telecomunicazioni nel post pandemia, un nuovo “mondo” in cui è necessario rivedere non solo le priorità del settore, ma anche il modello industriale: non più gruppi verticalmente integrati, ma focalizzati su singole attività, servizi e infrastrutture.
La pandemia ha accelerato l'uso dei servizi digitali, con una forte crescita della domanda. Può raccontarci il punto di vista degli operatori tlc, come è stata gestita questa crescita vertiginosa della domanda?
L'emergenza sanitaria ha evidenziato come le telecomunicazioni siano un bene di prima necessità. È chiaro a tutti che non si può restare senza connettività, perché assicura servizi che fanno parte del quotidiano. La solidità dell'infrastruttura e interventi tempestivi hanno assicurato una pronta risposta all'improvvisa crescita della domanda: in soli due anni, il traffico dati è raddoppiato sulla rete fissa e triplicato sulla rete mobile.
Il sistema ha retto? Ci sono state criticità?
Ci sono punti di attenzione e domande da porsi. Prima si pianificavano le reti sulla base dei consumi medi delle persone, che erano facilmente stimabili anche in termini prospettici. Oggi il comportamento del cliente è condizionato da fattori esterni anche imprevedibili, come una pandemia, o ancor di più da bisogni indotti da soggetti terzi, come gli Over-The-Top. Questo determina la necessità di rivedere regole non più attuali. È necessario che gli Ott contribuiscano allo sviluppo delle reti.
Non è più sostenibile l'asimmetria con gli operatori: da una parte utilizzano le reti per erogare i loro servizi, dall'altra le Telco non hanno benefici. Estremizzando, è come se viaggiassero in autostrada senza pagare il pedaggio. C'è poi il tema sicurezza: con applicazioni strategiche come la telemedicina e le smart cities va individuato un modo in cui gli operatori possano garantire la miglior user-experience di questi servizi, evitando che risentano di eventuali sovraccarichi sulle reti.Il tavolo sulle telecomunicazioni avviato su iniziativa del Governo è un segnale positivo per approfondire questi aspetti. Serve una politica industriale per le Telco e auspichiamo che il dialogo con Istituzioni, sindacati e operatori porti a misure concrete e tempestive a sostegno di un settore strategico per l'economia e la ripresa del Paese.
Qual è lo stato di salute del settore tlc? Nonostante l'accelerazione nell'uso dei servizi digitali imposto dall'emergenza Covid e l'arrivo concreto del 5G sul mercato, i conti del settore continuano a segnare rosso.
Nel mobile, negli Stati Uniti, dove ci sono circa 330 milioni di abitanti, ci sono solo 4 operatori, in Brasile dove ci sono 213 milioni di persone il Governo ha scelto di scendere da 4 a 3 operatori. In Europa ci sono 97 operatori per 447 milioni di abitanti.In Italia, invece, in seguito ad una fusione tra due operatori mobili (quella tra Wind e Tre, ndr), è stato deciso l'ingresso di un nuovo operatore. Il paradosso è che, nonostante il mercato avesse il bisogno di realizzare economie di scala attraverso il consolidamento, gli effetti della fusione sono stati di fatto azzerati con il contestuale ingresso di un nuovo player.
La conseguenza di tutto ciò è che i prezzi in Italia sono fra i più bassi d'Europa. Quando nel mercato ci sono troppi operatori, rispetto alla domanda potenziale, si accentua il fenomeno della “guerra di prezzo” per l'accaparramento di una base di clienti sufficiente a conseguire adeguate economie di scala, in tal modo si provoca l'effetto inverso, deprimendo la capacità di tutto il settore di investire in qualità e sviluppo.
Per questo vedo due traiettorie: la prima è quella di un mercato che continuerà a ricercare sinergie tra gli Operatori e che probabilmente tenderà al consolidamento, la seconda riguarda la strategia di TIM. Abbiamo deciso di cambiare rotta e puntare su una strategia di posizionamento premium, ‘value vs volume': vogliamo lavorare sulla soddisfazione del cliente, decisiva nel mercato consumer. Le leve sono qualità dei servizi, comunicazione efficace e prezzo adeguato.
Guardando al futuro, le risorse immesse nel sistema dal Governo Draghi nell'ambito del PNRR, aprono nuove opportunità per il settore?
La transizione digitale è una delle sfide portanti del Pnrr, lo dimostrano i 50 miliardi di euro stanziati su questo fronte. Con grande soddisfazione posso affermare che siamo la società di Tlc che ha investito di più per supportare la strategia del Governo. Siamo l'operatore che ha partecipato a più gare (PSN, scuole connesse, sanità connessa, Italia 1 Giga e Italia 5G backhauling) e complessivamente abbiamo stanziato investimenti in ambito PNRR che si avvicinano a circa 4 miliardi di euro. Investire sulla connettività è un'opportunità per la crescita del settore e per la trasformazione digitale del Paese. Ed è necessario che venga accompagnata da un costante lavoro sul capitale umano e sulle competenze digitali.
Quale futuro per le Telco?
Le telecomunicazioni sono uno strumento fondamentale per la business continuity, come ha mostrato la pandemia. Ma quello che mi preme di più sottolineare e che le telecomunicazioni sono le autostrade su cui ogni giorno si sviluppano nuove connessioni tra le persone, tra le cose, tra le organizzazioni e le persone e dove nascono, grazie a queste connessioni, nuovi business e nuovi servizi. Se gli Operatori saranno in grado di fare gli investimenti utili per garantire la mole crescente di dati e servizi che viaggiano sulle reti il beneficio sarà assicurato a tutto il sistema.
Banda larga e 5G. A che punto siamo? Il 5G potrà sostituire la banda larga nonostante i costi così alti e se sì, in quanto tempo?
Dal punto di vista del consumatore non parlerei di prezzi alti. È vero invece che i costi di investimento nel 5G per gli operatori sono elevati e che ci sono aree in cui questo investimento sarebbe difficilmente sostenibile.
Per capire il ruolo del 5G e delle fibra bisogna osservare le rispettive caratteristiche perché si tratta di due tecnologie diverse ma anche complementari tra loro. Il 5G fornisce connettività a banda larga superveloce e a bassa latenza non solo agli utenti tradizionali ma anche agli oggetti: abilita l'Internet delle cose ad altissima velocità creando un'enorme rete di dispositivi interconnessi. Queste caratteristiche sono essenziali per un'ampia gamma di applicazioni innovative che hanno il potenziale per trasformare molti settori dell'economia e migliorare la vita quotidiana dei cittadini (es. sanità digitale, automotive, guida remota).
Le infrastrutture necessarie alla fibra ottica Ftth (Fiber To The House) fungono da supporto alla connessione 5G e sono fondamentali per garantire l'interconnessione dei siti mobili ad alte prestazioni. Inoltre, la fibra ottica garantisce una connessione molto più stabile, in quanto meno sensibile agli ostacoli fisici. Pertanto, il 5G non è una tecnologia sostitutiva ma complementare rispetto alla rete fissa edha la caratteristica di abilitare servizi di nuova generazione.
Guardiamo all'attualità: Tim va verso la separazione della rete dalla società dei servizi. Perché si va in questa direzione?
La necessità di separare la gestione delle infrastrutture di rete dai servizi è un tema evidente.Gli ultimi due anni hanno mostrato come il comparto dei servizi sia oggi caratterizzato da dinamiche competitive incompatibili con i lunghi periodi di recupero degli investimenti infrastrutturali.Il riassetto del Gruppo dovrebbe portare ad un miglior bilanciamento tra costi e benefici specifici delle due attività: più libertà di manovra per il commerciale e maggior prevedibilità e stabilità dei ritorni per il wholesale.
Questo concetto è presente anche in uno studio di McKinsey, anticipato dal Sole24Ore. Il report mette in luce come cambi la percezione del mercato finanziario verso gruppi verticalmente integrati rispetto a gruppi focalizzati su singole attività. Perché?
Il tema cruciale dello studio citato, che è anche uno dei cardini del nostro piano industriale, è che le singole attività hanno bisogno di tempi e strategie differenti. Rendere più visibile andamento e prospettive dei vari business è una chiave per far sì che il mercato li valuti in maniera corretta. Il nostro progetto di separazione è basato su considerazioni industriali e ha l'obiettivo di creare entità autonome, più efficaci e competitive di quanto non lo siano restando integrate in un'unica società.
L'integrazione verticale, e non mi riferisco soltanto all'Italia, è diventata anacronistica: i nostri concorrenti sul fisso hanno una struttura di costo tutta market driven e con investimenti infrastrutturali molto più limitati dei nostri in quanto si basano prevalentemente sull'acquisto di servizi all’ingrosso della nostra rete. Al contrario, noi fino ad oggi abbiamo dovuto tenere conto del mercato retail ma anche delle esigenze del mercato wholesale, senza certezze sul ritorno degli investimenti a causa di una pressione regolamentare senza eguali in Europa.
La firma del MoU è un primo passo di un progetto coraggioso e in linea con quanto detto perché ciò che si sta vagliando è la realizzazione di una rete unica in fibra nazionale.
Ha citato il Memorandum of understanding siglato con Kkr, Open Fiber, Cdp e Macquaire. Secondo lei quali sono i tempi per realizzare il progetto? Quando la Rete Unica passerà dalla carta ai fatti?
È probabile che il progetto sulla rete unica sarà completato in 12-18 mesi. La mia percezione è che ci sia l’interesse a verificare abbastanza rapidamente se il percorso è fattibile.
Guardiamo ora al settore delle tlc in Italia a confronto con quello in Europa. Punti di forza e di debolezza.
In un mercato frammentato come quello europeo, l’Italia è fra i Paesi più competitivi. Nel nostro Paese abbiamo visto la progressiva riduzione dei prezzi insieme agli elevati costi di alcuni asset indispensabili, come le frequenze 5G che hanno drenato dal settore 6,5 miliardi di euro: un ammontare più che doppio rispetto ai Peers della UE (normalizzando il dato rispetto alla popolazione, alla durata dei diritti d'uso e ai MHz messi a gara).
È chiaro che questo esborso pesa sulla sostenibilità del business e sulla capacità di investimento degli operatori, irrinunciabile per mantenere un'adeguata qualità del servizio. E non voglio qui soffermarmi troppo su un'altra grande differenza tra l'Italia e i Peers UE: in Italia la regolamentazione delle reti fisse degli ultimi 20 anni è stata oltremodo focalizzata sul favorire l'accesso alla rete dell'operatore storico - peraltro a condizioni economiche al di sotto della media UE - piuttosto che sugli incentivi agli investimenti e allo sviluppo di tecnologie innovative. Tuttavia, oggi, grazie anche alla forte spinta sulla digitalizzazione posta dal PNRR si sta dando grande impulso all'innovazione tecnologica e di servizio.
Vede un processo di consolidamento nel comparto tlc?
In Europa c’è fermento: Vodafone ha rifiutato l’offerta di Iliad per le proprie attività italiane, in Spagna sono in corso le trattative fra Orange e Mas Movil. Noi siamo concentrati sul nostro piano industriale, che, fra le altre cose, ha avuto il merito di far emergere l’interesse di potenziali investitori per i diversi business in cui operiamo.
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