Lady Suzanne, dalla barca alla finanza con la passione per l’agricoltura
Headfort Place, nome quasi impronunciabile per un italiano, è una vietta di Londra fatta di bassi edifici e sovrastata dall’imponente mole del Peninsula Hotel, nuovissimo albergo extra-lusso della catena asiatica, costruito proprio di fronte a Hyde Park, inaugurato a fine settembre.
di Simone Filippetti
6' di lettura
Headfort Place, nome quasi impronunciabile per un italiano, è una vietta di Londra fatta di bassi edifici e sovrastata dall’imponente mole del Peninsula Hotel, nuovissimo albergo extra-lusso della catena asiatica, costruito proprio di fronte a Hyde Park, inaugurato a fine settembre. Nell’800, queste vie, chiamati mews, servivano come rimesse delle carrozze, nel retro dei palazzi borghesi: erano l’equivalente dei box auto quando ancora il mondo andava a cavallo. Oggi sono invece tra gli immobili più ricercati (e costosi) della capitale. Una di queste ex “stalle” ospita gli uffici di Exor: l’ingresso è spoglio, mentre al piano di sopra, un sottotetto trasformato in una sala operativa ospita poche postazioni, ma tutte con computer a maxischermo. Spicca, su tutto, una teca con dentro una maglietta da calcio a strisce bianconere, la scritta Ronaldo e il numero 7. È la maglia della Juventus, conservata come cimelio. La sede londinese della cassaforte degli Agnelli, proprietari del club di calcio e di Stellantis, è nascosta, in linea con l’understatement sabaudo della famiglia, nella zona più esclusiva e strategica di Londra: tra il lato posteriore di Buckingham Palace, e in effetti la dinastia piemontese è per molti la vera casa reale italiana, e Belgrave Square, il quartiere delle ambasciate. Uno si immagina una corazzata tipo banca d’affari e invece si ritrova in un piccolo loft. «È rimasto sorpreso, vero? Lo sono tutti, la prima volta che entrano qui» esordisce Lady Suzanne Heywood, spiegando che la filiale britannica della casamadre torinese ha solo 9 dipendenti, inclusa lei. La nobildonna inglese, il titolo le è arrivato dallo scomparso marito Jeremy, è la figura che John Elkann ha scelto di persona come suo braccio destro, nel ruolo di Direttore Operativo (COO) di Exor e presidente di Cnh. Su questa scelta molto, forse tutto, ha influito la storia personale della signora, nata Suzanne Cook: un cognome che avrebbe segnato la sua vita per sempre. Così come l’Italia sembra influire sul suo destino.
Per dieci anni, tutta l’infanzia e parte dell’adolescenza, ha vissuto su una barca, nei mari del Sud, allo stato brado, indossando solo un costume da bagno, senza andare a scuola (se non saltuariamente, per corrispondenza), nello spazio angusto di una cabina, senza vita sociale o amichetti come un normale bambino. «Ho imparato a leggere e scrivere da autodidatta: c’erano 30 libri in barca che scambiavo nei charity shop dei porti» riassume oggi che è una 54enne top manager. La sua storia, avventurosa e drammatica, è diventata un libro biografico, Wavewalker (che sarà tradotto da Rizzoli in Italia), che assomiglia a una serie Tv degna di Netflix, per le innumerevoli difficoltà e sofferenze che ha dovuto affrontare da bambina. La biografia di Lady Suzanne, tuttavia, comincia lontanissimo dai mari tropicali, nello sperduto Yorkshire, Inghilterra rurale del Nord, e precisamente nel villaggio di Ruthcroft, terra di miniere di carbone: duemila anni fa, Eburacum, l’attuale York, era la città più a nord di tutto l’Impero Romano e dunque di tutto il mondo allora conosciuto. Forse per quello, lo Yorkshire diede i natali, secoli dopo, all’avventuriero James Cook. Così, una mattina del 1975, il signor Gordon Cook, papà di Suzanne, annuncia alla famiglia che, per via dello stesso cognome, vuole portare tutti su una barca per tre anni, a ripercorrere il viaggio del famoso esploratore, nel 200esimo anniversario del fatidico “Passaggio a Nord-Ovest”. Il viaggio attorno al mondo è reso possibile solo grazie a un italiano: Lord Charles Forte, figlio di emigrati laziali in Scozia e fondatore della catena Forte Hotels, sponsorizza l’impresa. Che, però, si rivela ben presto spericolata: i tre anni, già tanti, diventeranno addirittura dieci e quella che a un bambino suona come un’avventura con mamma e papà si trasforma in un incubo: tra mille privazioni, dalla fame alla pulizia, la piccola Suzanne deve affrontare pure un naufragio, dove rischia di morire per una frattura del cranio, operata miracolosamente e senza anestesia da medici francesi sulla sperduta Isola di Amsterdam, nell’Oceano Indiano. Riuscirà a trovare la libertà soltanto a 17 anni: «Ho dovuto lottare coi miei genitori per lasciare la barca e andare a scuola». Quello che per molti sarebbe stato fatale, per lei è stata la molla di una «forza di volontà incredibile: volevo liberami da quella gabbia. E l’istruzione era un modo per riuscirci». Appena ha l’età per l’università, spedisce 13 domande di ammissione a vari atenei, ma quasi nessuno risponde «anche perché non avevamo un indirizzo fisico di posta»: all’epoca non esistevano le email e nemmeno i telefoni satellitari. Ma la fortuna, come il vento in mare aperto, può girare in un attimo da tempesta a vento in poppa: l’unica università che risponde, accettandola, è la prestigiosissima Oxford. È la svolta: «Dopo anni interminabili, torno in Inghilterra. In tasca, avevo appena i soldi per un biglietto di sola andata». Ma tanto il ritorno non sarebbe mai servito: Suzanne non ha più lasciato il Regno Unito. Finalmente sbarca dalla «Wavewalker», diventata una prigione galleggiante. Tutto quel tempo passato in mare, però, tra incontri con balene, squali e decine di uccelli tropicali, ha comunque plasmato la sua personalità: sceglie di studiare biologia. Ma non andrà mai a lavorare nel mondo della natura: entra invece a HM Treasury, il Ministero del Tesoro inglese: un salto impossibile in Italia, ma «questa è la grande capacità di Oxford: studiando lì puoi intraprendere qualsiasi carriera». Da zero, impara tutto delle finanze pubbliche e dei bilanci; e nel frattempo trova anche marito: sposa Jeremy Heywood, civil servant di Whitehall. Poi ancora un altro salto: dal pubblico al privato, nella società di consulenza McKinsey: «Nel 1997 divento la prima director donna del Regno Unito».
Dopo l’improvvida sponsorizzazione di Lord Forte, l’Italia bussa ancora alla sua porta. È la seconda svolta: nel 2016 un amico in comune le presenta Elkann: «Andiamo a pranzo in un ristorante di Londra e mi offre un posto di lavoro in Exor: sovrintendere al portafoglio di aziende». Pochi mesi dopo arriva la Brexit, ma per una bambina abituata a vivere in una insalubre cuccetta per anni, non è un problema: «Il mio ruolo è quello di fare l’Amico Critico: dare supporto quando le aziende hanno problemi, essere critici quando vanno bene». La ricetta funziona: negli ultimi cinque anni Exor è salita da 65 a 85 euro, e ora vale quasi 20 miliardi di capitalizzazione alla Borsa di Amsterdam.
Nonostante non abbia mai usato la sua laurea, la biologia è in qualche modo rimasta nella sua vita, anche da top manager: è la presidente di Cnh, divisione macchine agricole del gruppo Exor, ruolo a cui tiene tantissimo: «Faccio lezioni sui trattori a John medesimo». L’agricoltura sarà la chiave dei prossimi decenni per tutto il pianeta: da 8 miliardi di abitanti, troppi già ora secondo alcuni, si arriverà a dieci: «Bisognerà sfamare tutti, mentre il climate change sta stravolgendo colture e raccolti». Finirà con i campi di grano OGM coltivato tra le dune del Sahara, come nel film X-Files? «No – sorride -. La soluzione a fame e sovrappopolazione è la tecnologia nei campi» spiega. L’idea che cemento e urbanizzazione tolgano spazio prezioso all’agricoltura è sbagliata: «L’attuale disponibilità mondiale di terreni è più che sufficiente per coltivare abbastanza cibo. Non c’è bisogno di più terra, ma di farla diventare più produttiva». L’Anno Mille fu la svolta nel Medio Evo non tanto per un significato mistico-religioso ma perché fu introdotto l’aratro che scavava la terra più in profondità, aumentando i raccolti. Mille anni dopo, l’innovazione che farà fare un altro salto alimentare è il Precision Farming, l’agricoltura di precisione. «Grazie ai satelliti e ai nostri trattori iper-tecnologici, il contadino analizza il terreno e può seminare nel modo più adatto ogni singola zolla». Significa una maggiore resa e minore impatto ambientale: «Si riduce anche l’utilizzo di fertilizzanti, peraltro molto costosi, e di conseguenze la contaminazione delle falde acquifere». Sebbene sia un lavoro antico e in qualche modo “anelastico”, perché i pasti delle persone sono costanti da secoli, l’agricoltura è un settore ad altissima volatilità: «dipende dai prezzi delle commodity, che fluttuano». Questo rende più difficile gli investimenti in tecnologia per i contadini, spesso frenati dal comprare trattori più efficienti proprio dall’incertezza dei prezzi del loro raccolto. Ma passare a un’agricoltura sostenibile è urgente: la “Farfalla di Fukuyama” vale anche per l’ambiente. In Cina, per effetto del benessere economico, il consumo di carne di maiale è salito alle stelle. Dunque più allevamenti e più mangimi. Conseguenza: l’Amazzonia viene disboscata a ritmo selvaggio per liberare terreni agricoli. «Si può spezzare questo circolo vizioso e conservare le foreste pluviali» essenziali per ridurre l’effetto serra. Per dare da mangiare a tutti e non distruggere il pianeta, bastano i trattori, ma tech.
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