AnalisiL'analisi si basa sulla cronaca e sfrutta l'esperienza e la competenza dell'autore per spiegare i fatti, a volte interpretando e traendo conclusioni. Scopri di piùL’impatto di Covid sulle imprese

Landi (Anthilia): «A rischio 25-35mila Pmi, serve la finanza alternativa»

Terminate moratorie e garanzie, le imprese dovranno rifinanziare spese per investimenti per 68 miliardi e i finanziamenti tradizionali non basteranno.

di Maximilian Cellino

(Imagoeconomica)

3' di lettura

«Già a fine 2019, fra le Pmi italiane 7-8mila aziende mostravano potenziali tensioni sul debito nonostante potessero contare su margini positivi, Covid ha aggravato la situazione e in base alle nostre stime il numero delle imprese a rischio può salire già quest’anno fino a 25-35mila unità». A scattare la fotografia dai toni allarmanti, anche se purtroppo reale, dello stato di salute di quel settore che compone la spina dorsale del tessuto produttivo nazionale è Giovanni Landi, Consigliere delegato di Anthilia Capital Partners, che sottolinea anche come in un contesto simile «finanziare gli investimenti in conto capitale reperendo risorse attraverso i canali di credito tradizionali è diventato difficile, nonostante il supporto significativo derivante dalla garanzie statali, ed è sempre più necessario sviluppare e affidarsi ai mezzi della finanza alternativa».

Il consolidamento porta a una revisione del modello organizzativo banca-impresa e anche a un progressivo ritiro dal territorio e un ridimensionamento del credito che rischia di escludere migliaia di piccole imprese

Anthilia Capital Partners Giovanni Landi

Il nodo del riassetto del sistema bancario

La pandemia, va detto, ha soltanto contribuito ad accelerare una tendenza già in atto nei mesi precedenti: il processo virtuoso che ha portato le imprese italiane di media e piccola dimensione a migliorare la propria patrimonializzazione mediamente del 70% nel periodo compreso fra il 2007 e il 2019 aveva già dato segnali di rallentamento prima della diffusione del virus, anche a causa del particolare momento attraversato dal settore finanziario italiano. «La fase di consolidamento all’interno del sistema – conferma Landi - porta con sé una revisione del modello organizzativo banca-impresa e con questo anche a un progressivo ritiro dal territorio e a un ridimensionamento del credito che rischia di escludere migliaia di piccole imprese».

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La scure di 68 miliardi di svalutazioni

Il tutto mentre Covid minaccia di colpire duro, anche se in maniera selettiva fra i diversi settori industriali, con un taglio del fatturato che per le 159mila Pmi osservate da Cerved potrebbe aggirarsi mediamente attorno all’11%, salire al 25% nel settore costruzioni e raggiungere punte del 50% nei comparti del turismo e delle strutture ricettive. «La riduzione a cui andremo incontro nella domanda aggregata di beni e servizi rischia di comportare una svalutazione delle immobilizzazioni per circa 68 miliardi di euro, oltre 50 miliardi delle quali non potranno essere finanziate attraverso i canali bancari» aggiunge Landi, ammettendo che le garanzie statali, pur concesse in misura rilevante e mai vista in passato, hanno sì facilitato l’offerta di credito, ma non sono state sfruttate da tutti i potenziali soggetti interessati e hanno soprattutto carattere emergenziale e temporaneo.

Il fattore tempo

Di qui l’importanza di ricorrere a canali di finanziamento alternativi, fra cui debito privato e direct landing , il cui sviluppo sarà in futuro sicuramente sempre più essenziale, anche se non necessariamente sufficiente, per superare la crisi. «Dipenderà dalla rapidità con cui si svilupperanno entrambi i fenomeni», avverte Landi, spiegando che ci sono buone possibilità di uscita «solo se il ritiro delle banche sarà progressivo e l’aumento del peso dei capitali privati rilevante, altrimenti si rischia di andare incontro a una sorta di desertificazione nell’ambito del credito».

Il rischio di arrivare tardi con il soccorso

L’avanzata di questi ultimi è di sicuro degna di nota ma i margini di crescita (e di riallineamento) col resto d’Europa non mancano. Nell’ambito del direct lending, per esempio, Deloitte rileva come nel 2020 la parte del leone l’abbiano fatta gli operatori britannici con 974 operazioni davanti a francesi (642) e tedeschi (317), mentre l’Italia con appena 70 operazioni concluse è finita in coda, dietro perfino a Spagna (137) e Svezia (84). «Lo spazio per avvicinare i capitali privati alle imprese italiane è enorme - sintetizza Landi – ma occorre fare in fretta se non vogliamo che il soccorso arrivi troppo tardi».

Riproduzione riservata ©
  • Maximilian CellinoRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco

    Argomenti: Mercati finanziari, politiche monetarie, risparmio gestito, investimenti, fonti alternative di finanziamento, regolamento del sistema finanziario

    Premi: Premio State Street 2017 per il giornalista dell'anno - Categoria Innovazione

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