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Langhe e Monferrato riscoprono l’olio: la produzione sale del 30%

L’olivicoltura in regione si espande su una superficie di 350 ettari con oltre 300mila piante. Il Consorzio di tutela riunisce una decina di imprenditori: puntiamo all’indicazione geografica protetta

di Claudio Andrea Klun

 Gli uliveti sono a buone altitudini e danno un olio più leggero rispetto, ad esempio, a quello pugliese.

3' di lettura

Il Piemonte? Non solo patria di grandi vini, del riso e delle nocciole ma anche terra di ulivi. Una novità nel panorama agricolo della regione che si sta consolidando, dopo che, dalla fine degli anni Novanta, gli oliveti hanno ritrovato casa in Piemonte.

Oggi l’olivicoltura conta circa 350 ettari e 300mila piante, con una produzione tra i 200 e i 300 ettolitri all’anno. E sulla spinta della rinascita dell’olivicoltura è nato il Consorzio per la tutela dell’olio extra vergine di oliva Piemonte, che oggi conta una decina di soci, che rappresentano oltre la metà delle superfici coltivate professionalmente e sono dislocati su tutto il territorio regionale: Collina torinese, Monferrato, Saluzzese, Pinerolese e Langhe.

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«La presenza dell’olivo nella nostra regione non è una novità; già prima del ’700, accanto alle vigne, c’erano anche gli oliveti, ma la pianta veniva usata per altri scopi: l’olio per usi religiosi, per illuminare e per produrre grasso – spiega Marco Giachino, titolare dell’azienda agricola Rio Ceronda di Torino e presidente del Consorzio –. A partire dalla metà degli anni Novanta, c’è stata la riscoperta dell’olivo: un sogno nato da poche persone che hanno messo a dimora delle piante sparpagliate, ma qualcuno ci ha creduto un po’ di più, piantandone qualche centinaio e chiedendo supporto all’università. Ora questo sogno sta iniziando a prendere dei contorni ben definiti: è settore piccolo, ma è una nicchia felice».

Giachino spiega che il Consorzio è stato costituito con l’aspirazione di ottenere una certificazione della qualità riconosciuta come Igp (Indicazione geografica protetta) o Pat (Prodotto alimentare tradizionale), di identificare le migliori pratiche di coltivazione per l’ottenimento del miglior olio extravergine d’oliva (Evo) possibile e per la diffusione della coltura olivicola in Piemonte. Esso raggruppa esclusivamente imprenditori agricoli che hanno scelto di intraprendere professionalmente l’olivicoltura.

«Collaboriamo stabilmente con il Disafa (Dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari) dell’Università di Torino, la Fondazione per la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo tecnologico dell’agricoltura piemontese Agrion, l’Università di Bologna, la Camera di commercio e con gli Istituti tecnici agrari del territorio – aggiunge il presidente del Consorzio –. Grazie al Piano di sviluppo regionale, è stato finanziato un progetto a cui teniamo molto, realizzato con la facoltà di agraria e la Fondazione Agrion: stiamo mappando le piante secolari per cercare il profilo unico dell’olio Evo del Piemonte: i risultati sono veramente incoraggianti e positivi».

Il progetto intende recuperare e reintrodurre in produzione ecotipi o varietà locali di olivi piemontesi, in grado di fornire prodotti dotati di particolari caratteristiche organolettiche e qualitative. «L’Università sta eseguendo le analisi degli oli che estraiamo, per definire il profilo organolettico e genetico e vedere se c’è una pianta piemontese che dia buon olio. Certamente il Piemonte è marginale rispetto alla Puglia nella produzione di olio Evo, ma esso possiede delle caratteristiche peculiari: qui gli uliveti sono a buone altitudini e danno un olio più leggero rispetto a quello pugliese. Da parte dei consumatori, c’è un forte interesse verso la comprensione delle qualità degli oli e per questo, tra le attività del Consorzio, rientrano anche corsi per assaggiatori professionali, autorizzati dalla Regione Piemonte. Per determinare la qualità di un olio, non sono sufficienti le analisi di laboratorio. L’olio, per essere certificato come extravergine, richiede un panel di esperti che trovino che non ci siano difetti. Finora abbiamo formato alcune persone, fra cui studenti, appassionati e professionisti del settore, che hanno ricevuto l’attestato di idoneità per assaggiatori, requisito essenziale per l’iscrizione all’elenco nazionale dei tecnici ed esperti degli oli vergini ed extra vergini».

Il ritorno d’interesse all’olivicoltura in Piemonte si inserisce nel contesto di una regione che punta da sempre sui prodotti territorio. «L’olio spesso viene affiancato ad altri prodotti: ci sono, per esempio, produttori di vino che hanno messo a dimora gli ulivi 10/15 anni fa e l’olio hanno iniziato a venderlo quasi per scherzo ma intanto hanno messo un piede nel settore. La natura ci sta aiutando dando produzioni costanti e negli ultimi anni diversi imprenditori hanno acquistato dei frantoi professionali di grandi dimensioni per fare servizio conto terzi. Questi investimenti privati sono il segnale di un settore che funziona. Il raccolto delle ulive, che si è appena concluso in Piemonte, sta andando bene: «siamo a un +20/30% rispetto al 2022 e ci sono tutte le premesse anche per un’ottima qualità, che comunque al 60% si crea in campo lungo l’anno» conclude il presidente. Il Consorzio ha in programmazione un evento a Torino per far conoscere l’olio Evo piemontese, che si prospetta come un ottimo volano di sviluppo turistico ed economico per la regione e può aprire nuovi sbocchi lavorativi per i giovani.

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