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Lavazza: «Industria alimentare più forte se tutela export e made in Italy»

A colloquio con Marco Lavazza presidente di Unione Italiana Food, associazione che rappresenta aziende per un giro d’affari di 45 miliardi, al termine del mandato ripercorre quattro anni di attività e lancia le sfide del futuro

di Giorgio dell'Orefice

Marco Lavazza, presidente dell'Unione Italiana Food negli ultimi anni quando pandemia e guerra hanno pesantemente colpito l'alimentare

4' di lettura

Pandemia e guerra hanno profondamente modificato i consumi agroalimentari e reso più complesso produrre e vendere a causa dell’escalation dei costi e per l’impatto della speculazione ma l’industria alimentare italiana ha saputo reagire mostrando forza, compattezza e resilienza. È il bilancio tracciato dal presidente di Unione Italiana Food (compagine che rappresenta un giro d’affari di 45 miliardi di euro) Marco Lavazza, giunto al termine del proprio mandato alla guida dell’associazione. «Sono stati quattro anni molto impegnativi. Era dalla crisi finanziaria del 2007 – sottolinea Lavazza – che non affrontavamo un periodo così complesso. Le crisi degli ultimi anni sono state ancora più impattanti perché hanno colpito approvvigionamenti, costi, chiusure come quelle di bar e ristoranti. C’è però un elemento in comune. Le crisi che abbiamo affrontato sono quasi sempre di natura esogena, non dipendono dal nostro sistema. Questo, da un lato, dimostra come i mercati siano globali e interconnessi ma, dall’altro, ha fatto emergere la capacità di reazione dell’industria agroalimentare italiana. Con le imprese di Unione Italiana Food abbiamo superato momenti davvero difficili come le prime settimane della pandemia, quando avevamo la responsabilità di continuare a produrre nonostante le poche informazioni disponibili. Abbiamo collaborato con sindacati, aziende di trasporti e grande distribuzione e siamo riusciti a garantire i prodotti sugli scaffali dei supermercati. Quel periodo ha mostrato a tanti l’importanza del nostro settore. Senza contare che nonostante anni così complessi siamo cresciuti ancora sul fronte dell’export».

La pandemia che eredità ha lasciato sui consumi alimentari?

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Le distorsioni sono in gran parte rientrate: il “fuori casa” ha ritrovato vigore anche grazie alla ripresa del turismo. Resta, tuttavia, un cambiamento importante e probabilmente strutturale: il diffondersi dello smart working ha modificato le abitudini, facendo calare i consumi out of home in alcune fasce della giornata.

Il conflitto invece ha mostrato la necessità di evitare dipendenze sul piano degli approvvigionamenti.

Il conflitto è anzitutto un dramma inaccettabile dal punto di vista umanitario e purtroppo ancora non si intravedono spiragli di pace. Come non sono scomparse le ricadute economiche. Sul fronte energetico sono emersi i ritardi delle nostre infrastrutture di produzione e accumulo. Ma anche sul fronte delle materie prime è emersa la fragilità di alcuni canali di approvvigionamento. Tutti fattori che ci hanno esposto alla speculazione. Occorrono ora provvedimenti che tutelino i settori produttivi come il nostro. L’industria agroalimentare promuove e valorizza gli eccezionali prodotti della terra coltivati in Italia ma abbiamo anche la necessità di importare dall’estero una parte delle materie prime anche solo per raggiungere livelli quantitativi necessari a sostenere l’export. Il made in Italy è anzitutto inventiva, capacità di trasformare e caratterizzare un prodotto, renderlo unico: penso a caffè e cacao, prodotti realizzati con materie prime estere ma a pieno titolo riconosciuti come specialità italiane. In questi anni l’industria alimentare italiana è diventata uno degli alfieri del made in Italy all’estero. Sotto questo profilo, forse, meriterebbe una maggiore considerazione all’interno dei confini nazionali.

Sul fronte delle esportazioni ci sono ancora margini di crescita?

Molto ampi. Nel mondo c’è tanta voglia del gusto e della qualità dei prodotti di made in Italy, come mostrato dal fenomeno dell’italian sounding. Dobbiamo riuscire a raggiungere per primi quei consumatori e conquistare quelle quote di mercato. Non è facile, tante aziende italiane sono troppo piccole per affacciarsi sui mercati internazionali. Per questo sono importanti le realtà associative sia per gli strumenti che possiamo mettere a disposizione degli imprenditori, sia per il lavoro svolto a livello istituzionale dal quale è emersa grande disponibilità a aiutare le industrie italiane nella crescita all’estero.

Siamo molto presenti in Europa e Usa, quali possibilità di diversificare gli sbocchi?

Europa e Nordamerica sono ancora i mercati che crescono maggiormente, ma stiamo notando che anche Paesi come l’India e la Cina stanno mostrando un forte interesse per i nostri prodotti. Rispetto ad altri comparti come la moda, l’alimentare però sconta alcune difficoltà sulle abitudini consumo. Il caffè e la pasta, per esempio, necessitano di una preparazione ulteriore prima di essere consumati e quindi vanno anche raccontati. Insomma, è un processo più lento ma sono convinto che nel tempo anche da quelle aree verranno risultati significativi.

La compagine di Unionfood negli anni della sua guida è cresciuta coinvolgendo nuovi settori per quali vede i maggiori margini di sviluppo?

L’associazione si è ingrandita acquisendo settori molto importanti, come l’integrazione alimentare, entrata in Unione Italiana Food con la fusione con Federsalus. I comparti che rappresentiamo hanno un elemento in comune: riescono a garantire il valore aggiunto della qualità che è anche il principale motivo del nostro successo all’estero. Non potremo mai competere sul fronte dei costi, possiamo solo puntare sull’alta qualità. Per questo gli investimenti in ricerca e innovazione sono decisivi e sono premiate dal mercato le aziende che imboccano questa strada come sarà decisivo anche il tema della sostenibilità.

Il cibo sintetico è una minaccia reale?

Al momento i nostri settori non utilizzano carne coltivata. Una volta valutati i pro e i contro su ogni livello (nutrizionale, ambientale ed economico) non la consideriamo una minaccia, ma una delle tante innovazioni possibili. Ma siamo convinti che la forza intrinseca dei nostri prodotti difficilmente potrà essere messa in discussione.

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