Il quadro

Lavoro, i centri per l’impiego sperimentano il case manager

Per chi perde il posto le strutture mettono a disposizione a una singola persona. Intanto 1.700 posizioni rimangono vacanti

di Barbara Ganz

4' di lettura

Le analisi su come stia andando il mercato del lavoro sono fra le più complesse, soprattutto in questo periodo. Il confronto con l’anno 2020 è falsato dagli inizi dell’epidemia e del lockdown, e per avere un riscontro fondato sulle differenze occorre spesso guardare indietro al 2019, e alla normalità. Non solo: ci sono fattori come l’uso degli ammortizzatori sociali per Covid e il blocco che dei licenziamenti che paralizzano alcuni indicatori destinati a mutare quando il loro effetto verrà meno. Ecco perché non basta festeggiare i dati del mese di maggio come un vero punto di svolta.

I numeri
Nel mese di maggio si è registrato in Veneto un saldo occupazionale positivo per circa 21.200 posizioni di lavoro dipendente, un risultato positivo non solo rispetto al maggio 2020, che si era chiuso con un +4.800, ma anche al 2019 (quando il saldo mensile aveva fatto registrare un +17.300). In miglioramento anche il bilancio occupazionale dei primi cinque mesi dell’anno, pari a quasi 39mila posizioni lavorative guadagnate, ancora lontano dalle +61mila registrate nel 2019, ma incomparabile con quello negativo del 2020 (-4.500). Il volume delle assunzioni è tornato sui livelli del 2019, riducendo il gap ad appena il -2% (53mila contro 54mila del 2019). «È l’effetto delle riaperture, che hanno consentito di recuperare in maggio buona parte della domanda di lavoro venuta a mancare nei mesi precedenti, soprattutto nei settori del commercio e del turismo - si legge nel commento all’ultimo report Veneto Lavoro -. A crescere sono prevalentemente i contratti a tempo determinato, la tipologia di lavoro più penalizzata dalle chiusure, e a beneficiarne sono donne e giovani, le categorie maggiormente interessate da questi contratti». L’effetto delle riaperture è evidente anche analizzando l’andamento del lavoro intermittente (o a chiamata), che a maggio ha registrato un’impennata delle attivazioni (+67% rispetto al 2019). In leggera ripresa anche i tirocini. Considerando l’intero periodo gennaio-maggio, la flessione della domanda di lavoro si è mantenuta su livelli più elevati (-28%), concentrandosi principalmente nei settori più a lungo rimasti soggetti a restrizioni, quali turismo e commercio, ma non ha risparmiato quelli manifatturieri. Le province che continuano a pagare il prezzo più alto alla crisi sono quelle a maggiore propensione turistica, quali Venezia e Verona. Nel mese di maggio in tutte le province le assunzioni sono tornate quasi sui livelli del 2019, con un recupero maggiore a Rovigo e Verona. Guardando al più lungo periodo, si osserva come dall’inizio della pandemia si contino oggi circa 16mila posizioni lavorative in più, sempre con riferimento ai tre contratti di lavoro dipendente principali (tempo indeterminato, tempo determinato e apprendistato). Il risultato, disomogeneo per settori e territori, sconta - come detto - l’utilizzo massiccio della cassa integrazione e il divieto di licenziamento, misure che hanno contribuito a limitare la perdita di posti di lavoro. A livello territoriale, Belluno è l’unica provincia in negativo (-4 mila posizioni lavorative), penalizzata dalla cancellazione della stagione turistica invernale e dai problemi dell’occhialeria, mentre dal punto di vista settoriale si segnalano, in positivo, costruzioni, agricoltura e servizi non turistici.

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L’analisi
I dati sul Veneto scontano decisioni politiche e ci sono cambiamenti che, prima o poi, dovranno essere registrati: «Facciamo un esempio - spiega Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro - All’appello mancano 30mila licenziamenti. Ora, non si deve pensare che questi, una volta finito il blocco, si materializzerebbero tutti insieme, anche perché la Naspi copre la grande maggioranza di chi ha un contratto, oltre il 90% dei casi, per uno o due anni. Questo è un ragionamento che si potrebbe affrontare, e cioè come irrobustire questa forma di tutela». Non solo: per chi perde il lavoro servono «buoni servizi e buone politiche attive per facilitare il ricollocamento. Il cambiamento è già iniziato in Veneto, dove nei centri per l’impiego è stata prevista la figura del case manager: in sostanza non si viene affidati al centro in generale, ma a una singola persona di riferimento».

Intanto, a livello regionale il database dei centri per l’impiego segnala oltre 1.700 posti liberi in cerca di assegnazione: «I due terzi sono per figure a bassa qualificazione, gli altri invece sono per esperti. Il problema del lavoro è culturale: le risorse umane vanno coltivate, anche in settori che, ciclicamente, cercano personale senza trovarlo, come il turismo. Nella fase delle chiusure legate alla pandemia molti addetti si sono spostati, ad esempio alla logistica, occorre capire a quali condizioni tornerebbero indietro se l’offerta è comunque precaria. Un settore che ha avuto meno problemi e al quale guardare è ad esempio quello delle terme: qui le persone sono regolarmente assunte anche se chiaramente c’è una stagionalità, hanno subito la cassa integrazione e i relativi problemi ma non si riparte ogni volta da zero». Curare il capitale umano è una sfida e insieme un’emergenza: una chiave possibile sono le academy aziendali, con le quali sono proprio le imprese a dare formazione (e a fidelizzare i dipendenti): «Una pratica che si sta diffondendo in regione, ma che resta limitata alle imprese più grandi e strutturate, come spesso non sono le realtà del commercio e del turismo. Lockdown e chiusure, oltretutto, hanno reso difficile l’inserimento dei nuovi dipendenti fra chi ha assunto. Ma questo è un fronte sul quale occorre lavorare: anche Veneto Lavoro ha organizzato al proprio interno l’aggiornamento per chi fa parte della struttura».

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