Opinioni

Lavoro, così la parità di genere è scomparsa dal Recovery Plan

di Fiorella Kostoris

(zabanski - stock.adobe.com)

4' di lettura

La parità di genere nel mercato del lavoro sembra uscita dal radar del Piano nazionale di ripresa e resilienza approvato dal Consiglio dei ministri (Pnrr), salvo come formula di rito.

Nella prima bozza (9 dicembre 2020), il Pnrr1 individua 4 obiettivi di fondo, chiamati Linee strategiche e la “Parità di genere” è la quarta, le altre essendo la “Modernizzazione del Paese”, la “Transizione ecologica”, la “Inclusione sociale e territoriale”. Mentre queste tre si espandono in varie Missioni, la quarta diviene un sottoinsieme della Missione 5, denominata “Parità di genere, equità sociale e coesione territoriale”.

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Nella seconda bozza (29 dicembre), il Pnrr2 fornisce importanti dettagli. Così si apprende dalla Scheda Componente M5C1 (Missione 5, Componente 1), centrata sulla “Parità di genere”, che la linea progettuale può contare su 4,52 miliardi, pari a solo il 2,3% del totale delle risorse del Piano (196 miliardi), e che non si focalizza affatto sull’imprenditorialità femminile e le corrispondenti debolezze nel sostegno (cui sono offerti solo 400 milioni di euro) o sull’occupazione delle dipendenti, sulle loro difficoltà di accesso e di carriera, sulla forzata inattività, i differenziali retributivi, la segregazione, la discriminazione, vere piaghe di inefficienza e iniquità (cui sono allocati pochi spiccioli).

Si concentra invece su target importanti ma estranei al focus, come l’incremento della natalità indotto dall’assegno unico del Family Act, o su target solo indirettamente o scarsamente correlati, quali la conciliazione fra impegni di lavoro e di cura, dove la spesa pubblica, almeno in un Paese civile, favorisce l’intera famiglia, non esclusivamente la lavoratrice, in prospettiva anzi segregandola ulteriormente in certi settori e mansioni.

Quelle piaghe non si sono mai finora curate e non lo saranno nei prossimi anni attraverso questo Piano, per ragioni culturali e istituzionali, che sono le stesse che impediscono di accrescere grandemente il benessere e la ricchezza economica del nostro Paese, puntando di più sulla selezione meritocratica e perciò affidando una quota più elevata di posti di lavoro alle donne, dal momento che è chiaro che, se la distribuzione delle competenze è all’incirca uguale, come è, nella popolazione femminile e in quella maschile, il 45esimo percentile donna escluso dal mercato è più produttivo del 55esimo percentile uomo in esso incluso.

Basterebbe una mera redistribuzione dell’occupazione a favore delle donne per accrescere la produttività media italiana, ma il nuovo coronavirus ha comportato quest’anno una redistribuzione in senso opposto. Nel recupero di breve e lungo periodo che l’Italia deve realizzare con il Piano, bisognerebbe dunque puntare ad aumentare l’occupazione totale e quella femminile in particolare. Di qui la doppia debolezza concettuale del Pnrr2, da un lato di trattare il problema della parità di genere come fosse prevalentemente una questione di equità e di coesione, mentre è soprattutto un tema di ammodernamento del Paese, dall’altro di ritenere che per le donne i problemi nel mercato del lavoro vengano particolarmente dal lato dell’offerta, dall’insufficienza delle competenze o dalla mancanza di tempo libero per carenza di nidi, asili o strutture sociali di cura, mentre in Italia sono determinati principalmente dal lato della domanda, in ragione della segregazione orizzontale e verticale e della discriminazione.

Nell’ultima stesura del Piano, approvata il 12 gennaio dal Consiglio dei ministri, non solo la “Parità di genere” scompare dal titolo sia della Missione 5, rinominata “Inclusione e coesione”, sia della sua Componente specifica, M5C1, ma emerge anche con chiarezza che, una volta correttamente trasferita la posta di bilancio “Piano nidi e servizi prima infanzia” alla Missione “Istruzione e ricerca”, il Pnrr non dedica alla promozione della donna nel mercato del lavoro risorse significative. In esso, infatti, a parte i 400 milioni ancora allocati all’imprenditorialità femminile, rimane per le dipendenti solo una voce esplicita, una Componente composita, dove si mettono insieme le «nuove assunzioni di donne e di giovani e la fiscalità di vantaggio per il lavoro al Sud», non allocandovi neppure un euro dei 196 miliardi totali del Pnrr, né dei quasi 210 miliardi previsti per progetti “in essere” e “nuovi”. Infatti, tale voce si finanzia per 4,47 miliardi unicamente con il React Eu, cioè con fondi europei che si aggiungono ai programmi in essere di coesione e sono pensati dall’Ue per aiutare le regioni più danneggiate dalla pandemia, dunque a copertura di misure urgenti di breve termine nel Mezzogiorno, non di strategie di lungo corso per l’ammodernamento strutturale del Paese.

Per tentare di attingere a quei finanziamenti, la questione femminile rischia di venire sempre più piegata e distorta, nel senso che bisognerebbe ulteriormente trasformarla in una forma di handicap, come se le donne fossero uomini diversamente abili, e tale contorsione, frutto di errori tecnici di impostazione e di assenza di visione politica, sarebbe dolorosa e però perdente, perché i fondi di coesione non potrebbero che privilegiare, dentro alla Componente composita, la fiscalità di vantaggio nel Meridione piuttosto che il rafforzamento delle lavoratrici italiane.

Si potrebbe ribattere che il re (o meglio la sua sposa) non è nudo, quale sembra guardando ai numeri fin qui illustrati, perché nella “Visione d’insieme” del Pnrr, che a parole li introduce, si legge che «il gender mainstreaming caratterizza l’intero Piano», in quanto «l’empowerment femminile», come «le prospettive occupazionali dei giovani e lo sviluppo del Mezzogiorno sono perseguite in tutte le Missioni».

Vanno, tuttavia, notate le grandi differenze in queste tre «priorità trasversali» evidenziate dal Pnrr: mentre per i giovani sono previsti quasi tutti i 27 miliardi della Missione “Istruzione e ricerca” e molti dei 37 miliardi postati sulla “Digitalizzazione e innovazione” della Pubblica amministrazione e del sistema produttivo, mentre a proposito del Sud si assicura che «nella definizione delle linee progettuali sarà esplicitata la quota di risorse complessive destinata al Mezzogiorno» ex ante ed ex post, ritenuta prossima al 50%, il Pnrr si limita a scrivere che, «per progredire sul piano di una effettiva parità di genere», è necessario «innalzare l’occupazione femminile sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo».

E questo ci rimanda tristemente ai numeri sopra analizzati.

Perché la regina non sia nuda, è necessario, dunque, coprire ogni Missione e ogni Componente del Pnrr con una percentuale femminile, da precisare ex ante e verificare ex post.

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