Lavoro e crisi in Francia, così At War conquista e commuove Cannes
di Cristina Battocletti
2' di lettura
La più lunga ovazione di quest’anno al festival di Cannes l’ha ricevuta un film dal sapore politico, At War, di Stéphane Brizé con Vincent Lindon come protagonista. Quindici minuti di applausi e commozione per una storia di attualità sulla chiusura dello stabilimento francese di una fabbrica internazionale, la Perrin, nonostante gli sforzi degli operai che hanno acconsentito al taglio degli stipendi e nonostante l’azienda abbia chiuso in utile.
Il film, scritto dallo stesso regista e da Olivier Gorce, si inserisce nella linea di cinema sociale che aveva portato sulla Croisette nel 2015 un altro film di Brizé, La legge del mercato (anche quello scritto assieme a Gorce), grazie a cui Lindon si era conquistato il premio come miglior attore.
In At war Lindon è Eric Laurent, un operaio sindacalista che si trova a combattere assieme ai colleghi fino a riaprire i negoziati con il governo e il proprietario della fabbrica, in modo da evitare il licenziamento di 1.100 dipendenti e il disastro finanziario delle loro famiglie.
«Il mio non è un atto politico – ha spiegato Brizé -, è un agglomerato di avvenimenti, che porta l’immagine di ciò che accade davanti al mondo intero. Abbiamo registrato la violenza e la collera degli operai. Abbiamo raccontato la storia della Francia dall’interno, consultando gli stessi lavoratori, sindacalisti e avvocati di entrambe le parti per rendere i dialoghi più realistici e precisi possibile».
«Il direttore del festival di Cannes Thierry Frémaux – ha sottolineato Lindon – invitando questo film ha fatto un atto politico. È un modo anche di spiegare in anticipo i meccanismi della società. Sono pronto a subire le critiche. C’è chi mi accusa di essere un borghese e che quelli dell’operaio non sono i miei panni. Mi chiedo perché? Adoro ricoprire il ruolo personaggi che sono più lontani da me. E io mi sento Laurent».
Come ne La legge del mercato il regista utilizza attori non professionisti, mescolando l’aspetto documentario, ovvero reali riunioni, discussioni, imbastendo poi una trama che racconta il dietro le quinte, come anche le divisioni all’interno del sindacato: «La finzione riempie i vuoti che i reportage della televisione non possono colmare per questioni di tempo. Noi traduciamo in fiction la collera e la sofferenza reali della gente», ha sottolineato il regista.
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