Lavoro, ecco le tre ipotesi al tavolo M5S-Pd per tagliare il cuneo fiscale
Le opzioni sono riduzione di un punto l’anno per cinque anni, l’intervento choc sui giovani neoassunti e l’aggancio al salario minimo. Serve dote rilevante e c’è il nodo coperture
di Marco Rogari e Claudio Tucci
3' di lettura
Non solo lo stop agli aumenti Iva. Il confronto tecnico sulla manovra in corso tra M5S e Pd, in attesa di capire se la trattativa potrà proseguire a livello politico dopo il no di Nicola Zingaretti alla richiesta di Luigi Di Maio di un Conte bis, punta dritto sul taglio del cuneo fiscale-contributivo.
Tre le opzioni già sul tavolo. La prima, rilanciata dai Dem, prevede un taglio di un punto l’anno per cinque anni sull’intera platea degli occupati. La seconda ipotesi poggia su un intervento choc sui giovani con una sforbiciata secca di 4 punti a fronte di un’assunzione a tempo indeterminato. C’è poi la proposta già formulata nelle scorse settimane dagli esperti dei Cinque stelle di esonerare i datori di lavoro dal versamento del contributo dell’1,61% della retribuzione destinata alla Naspi e di quello del 2,75% per la disoccupazione agricola, anche qui soltanto per i lavoratori a tempo indeterminato. Una soluzione che viaggerebbe parallelamente al salario minimo, e che varrebbe tra i 4-5 miliardi, ma che è stata accolta con freddezza da imprese e sindacati.
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A condizionare la scelta sarà anche la partita sulle coperture, che rientra nella difficile composizione del puzzle della manovra. La dote per il cuneo, a seconda dei dettagli che prenderà l’eventuale intervento, oscilla tra 2,5-3 miliardi e 5-6 miliardi. In casa Dem l’idea è quella di mettere in campo un intervento piuttosto robusto, dai connotati strutturali, ipotizzando una iniezione di circa un punto di Pil (10-15 miliardi), con l’obiettivo di alleggerire, in maniera visibile, il costo del lavoro per le aziende, aumentando le buste paga dei lavoratori.
«Nel nostro Paese esiste un tema di retribuzioni medie nette – osserva Giuseppe Provenzano, responsabile Lavoro del Pd –. Per innalzarle, occorre migliorare la qualità delle produzioni, con vere politiche industriali, e insieme ridurre le tasse sul lavoro».
La legge di bilancio dovrebbe ammontare a 30-35 miliardi (non di più) partendo dai 27,6 miliardi considerati “obbligati” dall’Ufficio parlamentare di bilancio per sterilizzare completamento le clausole Iva da 23,1 miliardi nel 2020 e garantire le risorse necessarie alle cosiddette “spese indifferibili” nonché ai rifinanziamenti già esplicitamente previsti. Gli altri 5 -8 miliardi servirebbero proprio per alleggerire il costo del lavoro oltre che per altri interventi finalizzati a sostenere gli investimenti, in primis quelli “green” e al Sud.
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Per la manovra il nuovo Governo potrà contare su 8-10 miliardi, ovvero circa un terzo delle risorse necessarie, che saranno assicurati dall’effetto-trascinamento dell’aggiustamento (da 7,6 miliardi) di luglio, dalle minori spese finali per quota 100 e reddito di cittadinanza (1-2 miliardi in aggiunta agli 1,5 miliardi già ipotecati il mese scorso) e dalle maggiori entrate fiscali a consuntivo, in primis quelle dalla fatturazione elettronica. Una dote significativa sarà poi garantita dalla minore spesa per interessi sul debito rispetto alle previsioni originarie. Resterebbero da trovare altri 20-25 miliardi. Un’impresa a dir poco ardua.
Si guarderà sicuramente a una nuova fase di spending review e a una mini-potatura delle cosiddetta giungla delle tax espenditures adottando una terapia non troppo invasiva anche per evitare ricadute recessive. Potrebbe anche essere valutata qualche misura in versione una tantum, ma senza ricorrere a condoni fiscali. Ma la strada per arrivare al traguardo dei 30-35 miliardi resterebbe ancora lunga. Ecco, allora, che diventerebbe quasi obbligato un negoziato con la commissione Ue per ottenere una nuova tranche di flessibilità, compresa la quota già utilizzata quest’anno dal Governo Conte per coprire gli interventi contro il dissesto geologico e per il ponte Morandi.
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