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Lavoro, effetto inverno demografico: via i giovani, crescono solo gli occupati anziani

Nell’ultimo decennio i lavoratori 15-34enni sono calati del 7,6%, quelli tra 35-49 anni del 14,8%, mentre i 50-64enni sono aumentati del 40,8% e quelli con almeno 65 anni del 68,9%

di Giorgio Pogliotti

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3' di lettura

L’inverno demografico ha prodotto i suoi effetti sul mercato del lavoro: nel decennio 2012-2022 gli occupati appartenenti alla fascia d’età dei giovani 15-34enni sono diminuiti del 7,6%, quelli della fascia centrale tra 35-49 anni sono calati del 14,8%. Al contrario i 50-64enni sono aumentati del 40,8% e quelli con 65 anni e oltre del 68,9%. Nel 2040 si prevede che le forze di lavoro saranno complessivamente diminuite dell'1,6%. Tra chi lavora il 21,3% è occupato con forme contrattuali non a tempo indeterminato (tempo determinato, part-time, collaborazioni): soprattutto donne (27,9% delle lavoratrici rispetto al 16,5% degli uomini) e giovani 15-34enni (39,3% in media e 46,3% tra le donne).

Forte gap generazionale e di genere

Il 6° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon, con il contributo di Credem, Edison e Michelin fotografa un mercato del lavoro con un forte gap generazionale e di genere, dove Il part-time involontario coinvolge il 10,3% dei lavoratori: più penalizzate le donne (il 16,7% rispetto al 5,7% degli uomini) e i giovani (il 13,9% dei 15-34enni). Tra gli occupati giovani, la percentuale del part-time involontario raggiunge il 20,9% tra le donne contro il 9% tra i maschi.

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Mercato più dinamico di prima della pandemia

L’altra facccia della medaglia è che la ricerca di condizioni lavorative migliori alimenta il fenomeno delle dimissioni che nei primi nove mesi del 2022 ogni giorno in media ha interessato 8.500 lavoratori, il 30,1% in più dello stesso periodo del 2019. Dunque il fenomeno è in forte crescita rispetto al periodo pre pandemia. È un segnale di dinamismo considerando che nello stesso arco temporale, ogni giorno in media 49.500 italiani hanno iniziato un nuovo lavoro, il 6,2% in più rispetto al 2019. «La ricerca di una occupazione migliore, meno precaria per i giovani,è la bussola che orienta le decisioni e i comportamenti», si legge nel rapporto.

Opportunità di carriera e retribuzioni basse spingono alle dimissioni

Il 46,7% degli occupati italiani lascerebbe l'attuale lavoro, la percentuale raggiunge il 50,4% dei giovani e il 45,8% degli adulti, il 58,6% degli operai, il 41,6% degli impiegati e solo il 26,9% dei dirigenti. Le motivazioni?Per il 65% degli occupati le opportunità di avanzamento professionale sono insufficienti. Il 44,2% considera lo stipendio non adeguato alle proprie esigenze (il 53% tra i giovani). Il 42,6% teme di potersi ritrovare disoccupato nel prossimo futuro ( 51,6% tra gli addetti delle piccole imprese).

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Meno del 20% conosce con precisione il welfare aziendale

Gli strumenti di welfare aziendale sono conosciuti dal 64,9% dei lavoratori, ma solo il 19,8% sa con precisione di cosa si tratta. Tra i servizi e le prestazioni più richieste, spicca un supporto personalizzato, tagliato su misura rispetto alle proprie esigenze apprezzato dal 79,4% dei lavoratori desidera, inoltre il 79,2% chiede maggiori opportunità di conciliazione tra vita familiare e lavoro, il 79,1% integrazioni del reddito, il 78% un aiuto per risolvere i problemi burocratici nel rapporto con le amministrazioni pubbliche, il 68,1% una consulenza psicologica per affrontare le difficoltà quotidiane.

Il 12,2% degli occupati in smart working

Lavora da remoto ancora il 12,2% degli occupati (rispetto al 4,9% del 2019). Per l’81,3% lo smart working consente una migliore conciliazione tra famiglia, vita privata e lavoro, per il 74,8% riduce lo stress legato al lavoro in presenza, per il 74,1% permette di lavorare in contesti migliori del luogo di lavoro deputato, per il 70,4% migliora più in generale la qualità della vita. Da notare che per il 72,4% il giudizio è positivo solo se lo smart working è alternato con giorni di lavoro in presenza. C’è un 71,8% di lavoratori convinto che non è vero che in smart working si lavora di meno. Per il 52,8% si generano benefici anche per i datori di lavoro. Ma c'è un grande rischio: per il 54,4% si potrebbe erodere il senso di appartenenza aziendale.

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