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Lavoro: l'inclusione passa anche nel riconoscimento del valore altrui (a tutte le età)

di Marcela Uribe*

(Andrey Popov - stock.adobe.com)

3' di lettura

Si sente tanto parlare di inclusione, ma cosa significa veramente? Potremmo dire che inclusione significa innanzitutto non avere nessun tipo di pregiudizio verso la persona che abbiamo di fronte. Non stiamo parlando solo di ciò che caratterizza la persona come può essere il sesso, la religione, la “razza” o l'aspetto fisico, ma significa anche non avere pregiudizi sulle sue capacità, peculiarità e desideri, soprattutto in ambito lavorativo. Inclusione significa anche guidare la persona nel suo percorso di crescita professionale, nella sua carriera attraverso formazione continua ma soprattutto attenzione alle sue esigenze.
È ad esempio importante che vi sia un continuo scambio di feedback tra il datore di lavoro e il lavoratore, al fine di colmare eventuali incomprensioni e conoscere i reali desideri e aspirazioni di chi lavora. È poi fondamentale il processo di quello che viene chiamato engagement, ovvero il coinvolgimento del lavoratore. Esistono una serie di passaggi noti che i team delle risorse umane possono implementare per garantire che i dipendenti si sentano sicuri, a proprio agio e felici sul lavoro. Offrire alla forza lavoro l’opportunità di contribuire con idee proprie allo svolgersi delle attività lavorative, è la chiave per aiutarle a sentirsi meglio supportate, sia fisicamente, sia psicologicamente. Soprattutto, è essenziale identificare i differenti punti forza delle persone per ottenere il massimo livello di engagement che si traduce in migliori risultati di business.
Gestione e leadership hanno un impatto direttamente misurabile sull’impegno dei dipendenti. È fondamentale che manager, personale senior e team delle risorse umane investano il tempo necessario per comprendere adeguatamente i propri dipendenti. Solo conoscendo le persone, dalle loro abilità ai loro desideri, possono davvero ispirare, incoraggiare il contributo e il coinvolgimento, che a loro volta, faranno avanzare la produttività e portare al successo aziendale.
Occorre poi una particolare attenzione verso le generazioni più giovani. L'età è infatti una delle discriminanti ancora più presenti nel mercato del lavoro. In una ricerca ADP è emerso come l'8% dei lavoratori italiani si senta discriminato sul posto di lavoro per la propria età: il 20% dei ragazzi tra i 18 e 24 anni (quindi post diploma o post-laurea) si è sentito spesso emarginato dai colleghi più anziani, poco attenti alla loro formazione e integrazione.
Potremmo dire che o perché si è troppo giovani, e quindi senza esperienza, o perché si è troppo vecchi e quindi poco performanti, l'età continua a essere uno dei maggiori motivi di discriminazione in Italia. Spesso il problema età è più legato al mondo femminile, in quanto le donne tra i 20 e i 40 anni vengono viste come le più propense “a metter su famiglia”, e i datori di lavoro vedono la maternità quasi come un problema. Purtroppo, il Paese non è ancora uscito da questi luoghi comuni, ma le numerose battaglie che si stanno combattendo in tutto il mondo per la parità e i diritti dell'uomo e delle donne, arriveranno presto a migliorare e modificare anche il modo di lavorare in Italia.
Le principali sfide per le imprese legate all'age management sono sostanzialmente due: comprendere le esigenze dei propri dipendenti più senior (e adattare di conseguenza l'ambiente di lavoro) e favorire il trasferimento reciproco delle conoscenze tra generazioni. Da una parte ci sono le digital skill nelle quali sono i profili più senior ad avere maggiori lacune, carenze che possono però essere recuperate dal trasferimento di competenze da parte dei più giovani. I giovani, al loro volta, possono apprendere dai colleghi più anziani una maggiore esperienza professionale. Una coesistenza tra le varie generazioni all' interno delle organizzazioni è una delle sfide più importanti che le aziende dovranno affrontare: riuscire a costruire un progetto di sintesi tra i vari bisogni. Le varie aspettative, ma anche le varie competenze ed attitudini, potranno rivelarsi una chiave di successo se comprese e gestite in modo opportuno. Una cultura basata su un concetto di inclusione è alla base per cui questo si possa realizzare.

* General Manager ADP Southern Europe

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