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Lavoro, meno ore e più soldi: ecco come cambiano le richieste nei contratti

I sindacati mettono al centro il tempo di lavoro, insieme al potere d’acquisto. Le riduzioni richieste vanno dalle 12 giornate annue del legnoarredo alle 24 dell’alimentare

di Cristina Casadei

Conte: "Presentata proposta per ridurre l'orario di lavoro"

5' di lettura

Tra i primi ad avanzare la proposta in una piattaforma rivendicativa di rinnovo di un contratto collettivo nazionale di lavoro ci sono i sindacati del legno arredo, Filca, Fillea, Feneal che chiedono una riduzione dell’orario pari a circa 12 giorni all’anno. Poi sono arrivati i bancari che chiedono 10 ore al mese, quasi 16 giorni all’anno, abbinati a un aumento di 435 euro sul triennio. A seguire sono arrivati gli alimentaristi che puntano a 24 giorni di lavoro in meno all’anno e 300 euro di aumento, ma spalmati su un quadrienno.

Alla ricerca di un nuovo equilibrio

Il binomio della riduzione oraria e degli aumenti consistenti che cavalcano unitariamente i sindacati, tra i lavoratori è sicuramente molto apprezzato. Se però uno dei principi degli accordi è la loro sostenibilità economica, ad una prima lettura rischia di portare i negoziati su sentieri ripidi, dato che ognuna delle richieste ha un costo molto alto e la produttività del lavoro è un punto debole del nostro paese.

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I prossimi mesi ci diranno se nella contrattazione si farà strada un nuovo equilibrio tra orario, flessibilità e salario. E occupazione. Nelle telecomunicazioni tra le ipotesi su cui i sindacati stavano ragionando in vista della piattaforma c’era proprio quella di contenere la richiesta di aumento, in cambio di una riduzione oraria, anche per ragioni di salvaguardia occupazionale. In tutti i casi il binomio sindacale punta molto in alto e pur essendo molto apprezzato dai lavoratori, così come è stato formulato, non lo è affatto dalle imprese.

Guadagnare tempo

Diversi sondaggi hanno evidenziato che uno dei temi su cui c’è una riflessione aperta tra i lavoratori è quello del tempo. Tempo di vita e di lavoro che lo smart working ha reso più facile conciliare, soprattutto nelle medie e grandi imprese, ma solo per i cosiddetti white collar, con conseguente allargamento della dicotomia tra chi lavora sulle linee produttive, e quindi non può fare smart working, e chi è in ufficio. La pandemia ha dato molto vigore al tema e il dibattito è proseguito fino a proposte di frontiera, come quella della settimana corta all’inglese che si basa sulla formula 100-80-100, ossia 100% dello stipendio, 80% del tempo di lavoro e 100% dei risultati. Le sperimentazioni in corso su piccoli numeri forniranno dati su cui ragionare, ma il modello non è sicuramente di facile applicazione sulle ampie platee.

Il ruolo dell’innovazione

Giulio Romani, segretario confederale della Cisl, spiega che quando si parla di orario «le valutazioni sono molteplici. Intanto dobbiamo considerare che il dibattito sulla riduzione degli orari si è sempre sviluppato a seguito di recupero di produttività dovuto ad avanzamenti della tecnica. In secondo luogo, post pandemia si è sviluppata una maggior attenzione alla conciliazione vita-lavoro che ha la punta dell’iceberg nel fenomeno delle grandi dimissioni, ma che ci segnala un cambiamento in atto nella nostra società che non può essere ignorato». Tiziana Bocchi, segretaria confederale della Uil, aggiunge che non si può ignorare che il tempo di vita è una necessità ormai trasversale, non solo dei giovani che la pongono sempre durante i colloqui di lavoro, ma di tutte le fasce di età. In questi ultimi anni, anche a causa della pandemia, si sono presentate esigenze diverse delle persone su cui è arrivato il momento di ragionare, portando con forza all’attenzione il tema dell’orario».

Il Governo nella partita

«Ogni settore affronterà il tema a modo proprio - continua Bocchi - ed è chiaro che la sommatoria di aumento salariale, che è una questione centrale in questa tornata di rinnovi, e riduzione dell’orario ha un costo molto elevato. Per questo avremo bisogno dell’aiuto del Governo a sostenere la partita salariale e quindi dell’abbattimento del cuneo fiscale e della detassazione degli aumenti contrattuali, per esempio». La questione degli orari, concorda Romani, «ovviamente ha punti di partenza diversi nei vari contratti e va affrontata settorialmente con strumenti non sempre identici, da quello della riduzione giornaliera, settimanale o annuale vera e propria a quello della flessibilità. Va coniugata con l’utilizzo del lavoro agile e, in quel caso e non solo, con un complessivo ripensamento sulle rigidità imposte da organizzazioni del lavoro destinate inevitabilmente ad essere superate. E va messa in relazione con le priorità su cui occorre porre attenzione, a partire da quella della formazione permanente ed estesa».

Produttività e occupazione

Se eventuali riduzioni o rimodulazioni orarie, stando a diversi sondaggi, incontrano il favore dei lavoratori, però, il dibattito non contempla mai l’ipotesi di riduzioni salariali. I direttori delle risorse umane mostrano aperture, come ha rilevato un sondaggio di Aidp tra più di mille manager, secondo cui oltre la metà (53%) si è dichiarato favorevole a discutere il tema. Ma pongono il tema della produttività. Dal dibattito, la riduzione dell’orario di lavoro è velocemente planata nelle piattaforme di rinnovo di alcuni contratti che potrebbero fare da apripista e dare concretezza - oppure no - al tema.

Qualche dettaglio sulle richieste. Nel legnoarredo Filca, Fillea e Feneal scrivono che sono ormai «insostenibili le attuali politiche aziendali che rispondono alla domanda di mercato principalmente attraverso l’utilizzo di straordinari, modifiche turni, flessibilità strutturale e ridotta fruizione delle ferie e dei riposi giornalieri e settimanali, per altro su organizzazioni di orario statiche e tradizionali». Al contrario «stabilizzazioni e assunzioni rimangono lo strumento più idoneo per rispondere a questa esigenza, insieme ad una riduzione dell’orario di lavoro a parità salario, che permetterebbe la possibilità di nuove assunzioni».

Proprio per questo chiedono «di sperimentare fin da subito una riduzione dell’orario di lavoro formale da 40 a 38 ore settimanali, convertendole in Rol, sfruttando meglio l’istituto della banca ore e con il vincolo che una parte venga reinvestita in formazione». Una riflessione, quella dell’accoppiata riduzione oraria e occupazione che circola molto anche nell’automotive. La Fim Cisl, guidata da Roberto Benaglia, si è soffermata molto sulla definizione di “lavoro equo”, con l’ipotesi di utilizzare componenti dell’orario anche per la formazione. E, così, forse arginare anche il tema occupazionale.

Parità di salario

Nella piattaforma che Fai, Flai e Uila stanno per portare nelle assemblee dei 450mila lavoratori di industria e cooperazione alimentare, si legge invece che «per rispondere alla sfida del lavoro che cambia, centrale è la richiesta di riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 40 a 36 ore, a parità di salario». Infine i bancari che sul tema della rimodulazione e della riduzione oraria da contratto nazionale hanno iniziato a lavorare per primi, molti anni fa, prevedendo la possibilità di distribuire l’orario su 4 giorni con una riduzione di un’ora e mezza, passando a 37,5 a 36 ore settimanali. Adesso, però, Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin, chiedono di passare dalle 37,5 ore a 35, tout court. «È tempo di riconoscere una generale riduzione dell’orario contrattuale di 30 minuti giornalieri, quindi 35 ore settimanali», scrivono unitariamente. Sia chiaro, «a parità di retribuzione».

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