Lavoro, quasi metà dei giovani non si iscrive al sindacato perché non conosce la sua attività
Ricerca della Fondazione Di Vittorio (Cgil): tra i non iscritti sotto i 34 anni il 18,8% ritiene l’iscrizione cara e il 12,1% ha paura delle conseguenze che potrebbe avere sul lavoro
di Giorgio Pogliotti
4' di lettura
Tra i giovani, la mancata conoscenza delle attività del sindacato è il motivo principale della della mancata iscrizione: lo hanno indicato quasi la metà degli under 34 anni (per la precisione il 47,3%), in un’indagine condotta dalla Fondazione Di Vittorio (Cgil) tra oltre 31mila lavoratori, seguita in questa fascia d’età dal costo elevato dell’iscrizione (18,8%) e dalle preoccupazioni per le conseguenze sul lavoro (12,1%) o perché lo ritiene inutile (10,9%), troppo remissivo (8%) e troppo antagonista (2,9%). Guardando alla totalità delle fasce d’età, non ha preso la tessera sindacale perché “non conosce le attività del sindacato” il 29,4% dei non iscritti, e il 23,6% a causa dei costi elevati dell’iscrizione.
L’indagine su condizioni e aspettative dei lavoratori presentata dal presidente di Fdv, Fulvio Fammoni nella giornata conclusiva del XIX congresso della Cgil, nel quale il leader Maurizio Landini ha posto come obiettivo strategico del sindacato, quello di allargare il perimetro di rappresentanza (tra i 5,2 milioni di iscritti 2,5 milioni sono pensionati) guardando anche oltre al lavoro dipendente, per ricomprendervi il lavoro autonomo, il mondo delle Partite Iva e dei collaboratori - tra i quali figurano molti giovani- , puntando all’unificazione delle tutele a prescindere dalla tipologia di rapporto di lavoro instaurato.
La principale richiesta al sindacato: l’aumento dei salari
I motivi principali per l'iscrizione al sindacato sono sia di carattere universalista (“perché ha un ruolo importante nell'affermare diritti e tutele”, 42,4%) sia legati a interessi più specifici, “per tutelare i miei diritti come lavoratore” (38%), “perché mi fornisce servizi utili” (11,4%) o “perché mi ha già aiutato a risolvere i problemi” (8,3%). Riguardo agli aspetti principali sui quali il sindacato dovrebbe intervenire con più forza nel confronto con le istituzioni: al primo posto, e con grande scarto sugli altri, si colloca il tema dell'aumento dei salari (68%), seguito dalla difesa e aumento dell'occupazione (44,7%) e dal contrasto alla precarietà (42,7%), indicato con forza dai rappresentanti.Seguono i temi dello sviluppo dei servizi pubblici, la lotta alle disuguaglianze e i sostegni economici in caso di povertà e disoccupazione.
Per sette su dieci il futuro aziendale ha prospettive negative
Il 68,6% del campione ritiene che si andrà verso una riduzione del personale, il 17,8% che ci saranno delle delocalizzazioni e il 17,4% che si chiuderanno delle attività. Rispetto agli impatti delle innovazioni tecnologiche, poco più di uno su dieci (13,2%) si attende che il proprio lavoro possa essere completamente sostituito dalla tecnologia - questa incidenza aumenta per alcune professioni come la vendita al pubblico (24%), l’addetto a impianti fissi e linee di montaggio (23%), il lavoro esecutivo d’ufficio (19%). Rispetto agli impatti qualitativi, invece, prevale una percezione positiva: il 59,1% ritiene che la tecnologia migliorerà le condizioni di lavoro. D'altra parte, il 33,8% ritiene che aumenteranno i ritmi di lavoro.
Livelli di sotto-inquadramento diffusi
Considerando i ritmi e i carichi di lavoro, emerge un’alta intensità del lavoro in termini di scadenze, ritmi e carichi, che si presenta in maniera elevata (“spesso”) per più di un lavoratore su tre. Inoltre, i risultati evidenziano la presenza di livelli di sotto-inquadramento diffusi, con un lavoratore su quattro che “spesso” deve assumere responsabilità eccessive rispetto alle mansioni. Il campione presenta per la maggior parte dei limiti nell'autodeterminazione degli orari (non può mai sceglierli la metà del campione) e dei metodi (mai il 36,5%), così come nella partecipazione alla definizione degli obiettivi (mai il 41,8%). Emerge una relazione tra autonomia e innovazione: l’indice di autonomia è maggiore nelle imprese più innovative.
Il part-time è maggiore tra le donne (31,1%)
Le ore di lavoro mediamente lavorate nella settimana sono state circa 38 per gli intervistati con un regime full-time e 26 per i part-time. Il regime in part-time è maggiore tra le donne (31,1%) rispetto agli uomini (6,9%). Il 15,9% dei rispondenti lavora “spesso” in straordinario retribuito. Il 14,4% affronta “spesso” orari straordinari non retribuiti e non compensati con i riposi e questo problema si presenta in misura trasversale sia nelle professioni a bassa qualifica (agricoltura) che in quelli ad alta qualifica (informatica).
Un terzo non soddisfatto della conciliazione vita-lavoro
Il 33,2% è poco o per nulla soddisfatto della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, il 55,5% abbastanza, l'8,9% molto (senza differenze significative tra donne e uomini). Il 21% degli intervistati dichiara di lavorare da remoto. Di questi, quasi 6 su 10 lavorano da casa uno o due giorni a settimana, il 19% tre giorni a settimana e il 23,6% quattro giorni o più. Il lavoro da casa è più diffuso tra: la parte del campione più istruito, le imprese più innovative, i lavoratori a tempo indeterminato in full-time, regimi di lavoro caratterizzati da maggiore autonomia, nelle professioni impiegatizie. Chi lavora da casa è generalmente più soddisfatto del proprio lavoro rispetto a chi non lavora da casa, in particolare considerando la conciliazione tra lavoro e vita personale. Il 35,9% degli uomini e il 38,5% delle donne vorrebbe lavorare da casa (per lo più 1-2 giorni a settimana).
Inquadramento e retribuzione in cima agli interessi
Riguardo agli aspetti principali che andrebbero migliorati nella propria impresa le risposte a disposizione erano massimo tre. Al primo posto, e con grande scarto sugli altri, si colloca il tema dell’inquadramento e della retribuzione (68,5%), seguito dall'esigenza di formazione professionale (29,4%), dall'aumento del personale stabile/stabilizzazioni (27,7%) e dai carichi di lavoro (25,9%).
Il ruolo positivo della contrattazione di secondo livello
Quanto alla soddisfazione sulla retribuzione, emerge che quasi la metà del campione (47,1%) è poco o per nulla soddisfatto della retribuzione. A concorrere ad una valutazione maggiormente positiva dei livelli retributivi contribuisce la presenza della contrattazione di secondo livello: i livelli di soddisfazione della retribuzione “abbastanza” e “molto” interessano il 51,8% e il 6,9% di quanti dichiarano la presenza della contrattazione di secondo livello, a fronte del 39,3% e del 4,2% di quanti ne sono esclusi.
Il 38% non ha svolto nessuna attività di formazione
Nel 2021, il 38% non ha svolto nessuna attività di formazione professionale in servizio. Considerando i profili professionali, i maggiori beneficiari delle attività formative garantite direttamente dal datore di lavoro sono stati i profili più qualificati (dirigenti, quadri, personale sanitario ad alta specializzazione, lavoro amministrativo e lavoro tecnico specializzato), con i titoli di studio più alti.
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