Lavoro da remoto? Scopriamo quanto vale oggi una riunione “dal vivo”
La disponibilità di piattaforme di comunicazione sta sempre più spostando gli incontri diretti dalla routine alle attività ad alto valore aggiunto
di Lorenzo Cavalieri *
4' di lettura
In un mondo che lavora e lavorerà sempre più “da remoto” aumenta inesorabilmente il valore degli incontri professionali dal vivo. Per capire la portata e le conseguenze pratiche di questa banale deduzione logica bisogna semplicemente mettere in fila i canali di comunicazione che usiamo nella nostra vita di lavoratori e di consumatori: mail/chat, telefono, videocall, riunioni in presenza. Li ho riportati in ordine crescente di intensità relazionale. Per fare un esempio scrivere ad un cliente arrabbiato è meno impegnativo dal punto di vista emotivo che sentirlo al telefono. Una telefonata è meno impegnativa di una videoconferenza, a sua volta meno impegnativa di un confronto dal vivo.
In un’epoca in cui il tempo è per definizione risorsa scarsa e costosa la grande sfida per il singolo lavoratore e per le organizzazioni è quella di portare il dialogo non strategico verso i canali a più bassa intensità relazionale: dal contatto di persona al telefono, dal telefono alla chat. Alcune aziende sono molto esplicite ormai. Vuoi assistenza? Se sei un cliente top puoi chiamare, altrimenti per favore puoi scrivere e una persona o un assistente virtuale ti risponderà con un messaggio.
Lo stesso meccanismo si verifica per ciascuno di noi tutti i giorni. Se per me “conti” ti chiedo di vederci in riunione dal vivo. Se “conti un po' meno” provo a sbrigare la pratica con una telefonata o con una mail “anticipami pure la tua proposta via mail così poi approfondiamo…”.
In questo scenario l’affermarsi delle piattaforme da remoto non ha soltanto inserito un nuovo “scalino” nel percorso che separa la chat dalla chiacchierata in presenza, ma ha anche dimostrato quanto una buona parte dei meeting che gestivamo in modo tradizionale sia sostanzialmente sostituibile da incontri e riunioni in videoconferenza. Inoltre abbiamo realizzato quanto tempo gli incontri dal vivo ci portassero via: spostamenti, piccoli imprevisti, rotture del ghiaccio, convenevoli, interruzioni, digressioni inutili, lunghi saluti, tutti rituali meravigliosamente “umani”, ma spesso interpretati in modo stanco, passivo e superficiale.
Cosa succederà quando le restrizioni alla mobilità termineranno e si potrà tornare a scegliere? Tutto lascia pensare che diventeremo tutti ancora più gelosi del nostro tempo: “Vuoi incontrarmi dal vivo? Dimostrami che ne vale la pena, perché altrimenti preferisco 30 minuti in videoconferenza che 45 minuti davanti ad un caffè (o due).” Questo atteggiamento produrrà almeno tre conseguenze molto concrete nel nostro modo di lavorare:
1) Dovremo cominciare a “vendere” le riunioni, a spiegarne il valore aggiunto, a farne sentire il bisogno a persone sempre più stressate da mille stimoli. Lo facciamo già con le persone che non conosciamo personalmente, dovremo iniziare a preoccuparci di questa dinamica anche con colleghi, clienti e partner abituali, con persone cioè di cui finora davamo per scontato il “sì, ok vediamoci”. Saremo chiamati ad andare oltre il classico “dai ci prendiamo un caffè e facciamo il punto”. Un invito così generico potrebbe non bastare più. Diventerà necessario sedurre il nostro interlocutore anche per una chiacchierata informale, intercettando i suoi bisogni egoistici e promettendogli valore e benefici.
2) Dovremo cominciare ad accettare di essere declassati in alcuni momenti a contatto “di serie B”, da “liquidare” via mail o telefono o videocall, e reagire con opportune strategie di escalation: parto da un canale di comunicazione meno diretto e mi costruisco un percorso di avvicinamento che mi porterà all’incontro in presenza. Finora lo facevano soprattutto le figure commerciali; nel mondo del lavoro remotizzato tutti saremo chiamati a questa scalata anche col collega che fino a ieri vedevamo regolarmente alla macchinetta del caffè. Ovviamente questo significherà imparare a gestire con maestria la comunicazione scritta della mail, quella telefonica, quella in videoconferenza.
3) Dovremo cominciare ad interpretare gli incontri professionali dal vivo sempre di più come performance, più ordinati, più essenziali, meno “assemblee di condominio” o “pranzo della domenica”. La parola chiave diventerà preparazione. Preparare sempre più scrupolosamente tempi, contenuti, proposte, obiezioni e controbiezioni. Preparare forse addirittura la parte più informale, le piccole confessioni personali, le digressioni, lo “small talk”.
E l’umanità dei nostri dialoghi? Le emozioni impreviste, l’improvvisazione, le componenti più significative delle nostre interazioni. Ovviamente non ci abbandoneranno grazie al cielo, anzi l’empatia e l’intelligenza relazionale diventeranno ancora più preziose perché grazie a queste sensibilità capiremo quando accelerare la chiusura di un incontro, quando non sarà il caso di toccare un certo argomento, quando ci potremo permettere una battuta in più.
Possiamo anche far finta che nulla sia successo, che la tecnologia e la pressione dei risultati non ci abbia cambiati, che raccogliere un invito a vedersi rimanga unicamente un fatto di educazione e civiltà. Tuttavia resta il fatto che gli altri hanno meno tempo per noi e si distraggono molto più facilmente di quanto accadesse anche solo pochi anni fa.
Ignorare questi elementi potrebbe significare tornare a casa felici della bella riunione, della bella chiacchierata spassionata con il cliente o il collega e poi sorprendersi quando ricontattandolo per un bis riceveremo un messaggino secco: “Carissimo, certamente ne parliamo, anticipami intanto una mail e poi ti faccio sapere…”
* Managing partner della società di formazione e consulenza Sparring
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