Lavoro a termine, come cambieranno i contratti per 3 milioni di persone
È questa la platea che potrebbe essere coinvolta in prima battuta dalle modifiche in arrivo con il decreto lavoro atteso in Cdm il 1° maggio
di Valentina Melis e Serena Uccello
I punti chiave
3' di lettura
Su 3,59 milioni di contratti a termine in corso, sono 2,99 milioni quelli con una durata fino a 12 mesi, dopo la quale scatta l’obbligo di inserire la causale, cioè la motivazione che giustifica il ricorso al lavoro a tempo determinato (l’obbligo è previsto sempre in caso di rinnovo del contratto e dopo i primi 12 mesi in caso di proroga). È questa la platea che potrebbe essere coinvolta in prima battuta dalle modifiche in arrivo con il decreto lavoro, che secondo l’annuncio del Governo è atteso in Consiglio dei ministri il 1° maggio: il provvedimento riscrive - nuovamente - la disciplina delle causali.
A stabilirle, secondo la bozza anticipata nei giorni scorsi dal Sole 24 Ore, potranno essere innanzitutto i contratti collettivi (nazionali, territoriali e aziendali). Sono diversi i contratti che già lo fanno: tessile-abbigliamento, artigiani dell’alimentare, pelletteria, cartai e lavanderie industriali. Con questo intervento l’area dei settori coinvolti sembra destinata ad allargarsi.
La procedura
Solo in assenza di una disciplina nella contrattazione collettiva, i datori di lavoro e i lavoratori potranno individuare «specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva» per ricorrere al lavoro a termine, facendo approvare queste causali dalle commissioni di certificazione costituite presso gli enti bilaterali, le direzioni provinciali del lavoro, le università,il ministero del Lavoro o i consigli provinciali dei consulenti del lavoro.
La seconda motivazione
Un’altra motivazione già oggi ammessa dalla legge per ricorrere al contratto a termine è la sostituzione di altri lavoratori.
I commenti
«La nuova disposizione - spiega Luca De Compadri, componente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del Lavoro - è uno step per superare le causali stabilite dal decreto Dignità, che punta a trovare un equilibrio tra la flessibilità del lavoro e i diritti del lavoratore». Quanto alla necessità di ricorrere alle commissioni di certificazione per far “bollinare” le causali, «si tratta di una procedura riferita al singolo contratto a termine continua De Compadri - che presso i consulenti del lavoro richiede sette-otto giorni e può essere dunque attivata dalle aziende un paio di settimane prima di sottoscrivere il contratto di lavoro. I costi sono contenuti, limitati ai diritti di segreteria».
Cauta la posizione della Cisl, che aspetta la versione finale della norma per esprimere una valutazione completa, per quanto resti il convincimento che andare verso la sostituzione delle causali di legge con le causali contrattuali sia corrispondente alla piena valorizzazione del ruolo della contrattazione, più volte auspicata dal sindacato di via Po.
Nello specifico, in questo caso - fanno sapere - il livello contrattuale preferibile è quello aziendale, considerato il più idoneo a coniugare le esigenze delle aziende con le tutele dei lavoratori, oltre che essere anche il livello più adatto a intercettare eventuali abusi. Per quanto riguarda invece l’aspetto della certificazione delle causali individuali, al momento la valutazione del sindacato è sospesa, in attesa della stesura definitiva della norma.
«Siamo delusi dalla portata di questo intervento perché speravamo in una maggiore semplificazione», dice Marco Valentini, direttore dell’ufficio legale del gruppo Sgb Humangest, specializzato in recruitment, formazione, gestione delle risorse umane e outsourcing. «La causale - aggiunge - diventa un istituto negoziabile in una contrattazione collettiva che ha già tanti temi aperti e non c’è la necessaria certezza del diritto, che è un valore, anche a fini imprenditoriali».
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