ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùEmilia-Romagna

Le 900 grotte dell’Appennino diventano sito dell’Unesco

In 100 chilometri molto ben conservati si estende il terreno carsico evaporitico
più studiato al mondo anche grazie all’accessibilità fisica dei luoghi. Dalla Regione 500 milioni

di Ilaria Vesentini

Le ricerche. Le grotte dell’Appennino appassionano gli scienziati per la densità e l’unicità dei processi geologici grazie anche all’accessibilità fisica dei luoghi

3' di lettura

È il primo e il più studiato terreno carsico evaporitico al mondo, insolitamente ben conservato, comprende oltre 900 grotte – 100 chilometri in tutto – tra cui alcuni degli antri di gesso più profondi del pianeta, 265 metri sotto la superficie e da cinque secoli appassiona gli scienziati per la densità e l’unicità dei processi geologici grazie anche all’accessibilità fisica dei luoghi: sono queste le motivazioni che hanno portato l’Unesco a riconoscere come Patrimonio mondiale dell’umanità il Carso e le grotte dell’Appennino settentrionale emiliano-romagnolo, il 59° riconoscimento per l’Italia (il Paese al primo posto nel pianeta per siti tutelati) e il 16° per l’Emilia-Romagna, il secondo ecosistema naturale della regione dopo le faggete vetuste delle Foreste casentinesi riconosciute sei anni fa dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura.

«Questo titolo premia un lavoro iniziato nel 2016, che due anni fa ha visto una accelerazione rapidissima, dopo che si è deciso di allargare l’area interessata da quattro a sette geositi e di arricchire il dossier con documentazione scientifica, storica e culturale, grazie a un lavoro di squadra con il ministero dell’Ambiente, la Federazione speleologica regionale, le Università di Bologna e di Modena e Reggio Emilia, la Sovraintendenza, gli enti parco e 19 Comuni di quattro province coinvolti nella candidatura», racconta Barbara Lori, assessora a Montagna, parchi, forestazione, programmazione territoriale e paesaggistica della Regione Emilia-Romagna, l’ente capofila del tavolo di lavoro che da qui a dicembre 2024 dovrà arrivare a un accordo di programma per stabilire come garantire e promuovere la massima protezione, valorizzazione e fruizione sostenibile e sicura di questa ricchezza naturale. Un unicum geologico creato dall’andirivieni del mare nel bacino mediterraneo per il ripetuto chiudersi e riaprirsi dello stretto di Gibilterra nell’arco di 340mila anni (nell’era Messianica, circa 6 milioni di anni fa) con depositi salini di carbonati, solfati e salgemma sedimentatisi per l’evaporazione dell’acqua nei millenni di secca, alternati a interstrati di fango argilloso quando il Mediterraneo tornava a riceve le acque dell’Atlantico.

Loading...

I sette siti interessati tra le province di Reggio Emilia, Bologna, Ravenna e Rimini sono la Vena del Gesso Romagnola e i Gessi Bolognesi (i capostipiti della candidatura), l’Alta Valle Secchia, la Bassa Collina Reggiana, i Gessi di Zola Predosa, gli Evaporiti di San Leo e i Gessi della Romagna Orientale: non certo l’area carsica-gessosa più estesa sul globo, «ma non esistono altri sistemi al mondo che si possano paragonare a quello dell’Appennino settentrionale per lo sviluppo della speleologia, della mineralogia, dell’idrogeologia, testimonianza straordinaria dei principali periodi dell’evoluzione della terra», ha riconosciuto l’Unesco. «Il logo Unesco diventa una straordinaria opportunità non solo in termini di visibilità e ritorno turistico e culturale per i territori coinvolti, ma anche per le scuole le università a livello internazionale. È un patrimonio che vogliamo capitalizzare», rimarca Lori.

La Regione Emilia-Romagna è il regista e il referente dell’intero progetto e della governance dei sette geositi Patrimonio Unesco, tutti già ricompresi in parchi regionali, nazionali o nella rete Natura 2000 ed è fin qui l’unico finanziatore. «Contiamo di poter metter a disposizione 500mila euro per questa prima fase di avvio dei lavori - precisa l’assessora regionale - cui si sommano 1,5 milioni di euro l’anno stanziati a favore dei parchi che custodiscono le rocce evaporitiche, da integrare con le risorse già esistenti nei nostri bilanci per l’altro filone Unesco, le “riserve della biosfera” nel settore scientifico Mab (Man and Biosphere, che comprende il Delta del Po, l’Appennino tosco-emiliano e Po Grande».

Riproduzione riservata ©

loading...

Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti