Le auto cinesi puntano sull’Europa e cambiano la storia
Tanti modelli, una marea di brand e una focalizzazione sull’elettrico e sull’hi tech alla base del fenomeno che cambia la storia
di Mario Cianflone
3' di lettura
Erano guardate con sospetto, addirittura con sufficienza e con malcelata superiorità. Erano così le auto cinesi di qualche anno fa, quando, prima del Covid, iniziavano ad apparire nei salotti buoni dell’auto, le grande rassegne internazionali dominati dalle case tedesche. Erano oggettivamente bruttine, spesso raffazzonate copie di modelli di successo, tecnologicamente poco interessanti e dai risultati imbarazzanti nei crash test.
La rivoluzione dell’auto elettrica, che ha semplificato non poco le cose, anche a livello competitivo (secondo il ceo di Stellantis, Tavares, in Europa i cinesi hanno un vantaggio di costo del 25% ), ha fatto svegliare l’automotive in un mondo diverso: dove una pletora di marchi del Dragone propongono vetture in grado di eguagliare, e spesso superare, quelle dei marchi consolidati tradizionali.
Invasione caotica
Una vera e propria invasione, peraltro, molto caotica, di nuovi brand e modelli sconosciuti lanciati da uffici marketing e comunicazione che definire naif è poco. Ma non vi è dubbio che impareranno anche quest’arte come hanno fatto con il design e il tech.
«Gli Oem cinesi - spiega Silvia Baruffaldi, direttore di Auto&Design - hanno colmato il gap con quelli occidentali. All’inizio hanno collaborato con consulenti del settore (vedi Pininfarina e Italdesign, per citarne alcuni), poi hanno dedicato risorse ingenti ai loro centri stile interni assumendo designer non cinesi, attraendoli con stipendi molto alti».
«Le case cinesi - prosegue Baruffaldi - continuano a investire massicciamente nel design. Da tempo alcuni gruppi hanno attività di stile, ricerca e sviluppo in Europa, come Changan e JAC Automotive con i loro centri stile a Torino, o Geely a Goteborg, dove ha da poco inaugurato un polo dedicato ai marchi Lynk&Co e Zeekr. Ora la missione è creare vetture più appetibili anche per i clienti del vecchio continente, di cui vengono monitorati gusti e tendenze. Per questo due gruppi cinesi, GAC e Geely, hanno aperto nei mesi scorsi dei loro centri di advanced design a Milano. Un luogo ideale per continuare ad attrarre talenti creativi».
Il precedente giapponese
In questa rivoluzione dell’automotive c’è però un elemento industriale chiave. Al momento i volumi di vendita delle cinesi in Europa sono limitati, ma, già adesso, la Cina è diventata il primo esportatore globale di auto, davanti al Giappone. I volumi in Europa, secondo AlixPartners, arriveranno appena sopra l’1% nel 2026. Ma sono desinati a crescere. E crescendo i volumi a quel punto non basterà più riempire meganavi e spedire auto in Europa, come si vede anche nei porti italiani, servirà un salto strutturale: costruire in Europa, perché trasportare auto costa e non è pratico oltre certi volumi.
Lo insegna la storia, basti ricordare la storica fabbrica di Nissan a Sunderland, nel Regno Unito, diventata nel 1984 la prima fabbrica cacciavite. Da allora i giapponesi dilagarono e poi fu la volta dei coreani con il gruppo Hyundai Kia con fabbriche a Žilina, in Slovacchia, terra di conquista dell’auto tedesca dal crollo del muro di Berlino, e a Novosice nella Repubblica Ceca.
Dove costruiranno i cinesi
E ora dove andranno a costruire i cinesi? Secondo gli analisti in pole position ci sono Portogallo e Spagna e ovviamente l’Europa dell’Est. Al momento nessun costruttore ha dichiarato un piano nero su bianco, ma è noto che Byd punta ad avere un impianto in Europa. L’Italia non sembra, questa volta, fuori dai giochi. Il gruppo cinese Baic ha appena stretto un accordo con la Molisana DR che a Macchia d’Isernia “prepara” auto di provenienza cinese che poi vendono con Vin (numero di identificazione del veicolo) italiano. E con Baic forse potrebbe partire una nuova avventura per un’azienda italiana che sta crescendo grazie alla Cina e alle vetture firmate Chery.
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