Le aziende italiane guardano alla Cina: opportunità da robotica, infrastrutture e hi-tech
di Andrea Carli
6' di lettura
L’aumento dei costi, la scarsità di risorse umane e il protezionismo e l’annoso problema della violazione dei diritti connessi alla proprietà intellettuale porranno una seria sfida alla redditività delle imprese straniere in Cina nel 2017. Ma il Rapporto Annuale del Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina (CeSIF), presentato oggi al ministero degli Affari esteri, parla anche di prospettive, non solo di sfide. Dalla lettura dell’indagine si scopre che le opportunità arrivano dai prodotti ad alto contenuto di tecnologia. Chi l’avrebbe detto? Quando si pensa a un prodotto cinese l’immagine che viene alla mente è quella di qualcosa dal basso costo e di qualità non elevata. Il governo cinese vuole cambiare l’abito a ciò che produce: più hi-tech a costi comunque competitivi.
Le imprese italiane l’hanno capito. Sono 1.700 quelle presenti in Cina a fine 2016 (2.150 considerando anche Hong Kong). Hanno 130 mila dipendenti e un fatturato complessivo di 16,5 miliardi di euro. La bilancia però pende da una parte, che è quella di Pechino: gli investimenti cinesi all’estero superano quelli stranieri in Cina.
La crescita dei consumi
Perché investire in Cina? La prima risposta a questa domanda è: perché i consumi sono in costante crescita, trainati da una parte dal processo di urbanizzazione che crea sempre nuovi consumatori, dall’altra dal boom del digitale (731,3 milioni i cinesi con accesso a internet a fine 2016; oltre un cinese su due naviga, chatta, si informa e acquista attraverso il proprio computer o dispositivo mobile). Il che si concretizza in opportunità nel comparto retail, sia in settori a basso costo sia nei comparti del lusso. Il report però avverte: vanno calibrate bene le modalità di accesso al mercato, di posizionamento e di distribuzione.
Prodotti a più alto contenuto di tecnologia
C’è poi un altro fattore da considerare. Per le autorità cinesi lo sviluppo tecnologico è sempre più cruciale. L’obiettivo è far crescere il valore aggiunto della produzione e rimuovere l’etichetta di “low quality, low price” che ad oggi contraddistingue il manifatturiero made in China. Non è solo uno slogan: dal 1996 ad oggi, la spesa della Cina in R&S è cresciuta di oltre 38 volte, con un tasso di crescita medio annuo superiore al 20%. Nel 2016 l’ex Celeste è il secondo investitore mondiale in R&S (circa 224 miliardi di dollari, pari al 2,08% del Pil) e secondo l’Ocse supererà gli Stati Uniti entro il 2019.
Opportunità per nicchie della meccanica
La crescita del livello tecnologico della produzione industriale cinese, richiederà nel breve periodo competenze e conoscenze e aprirà importanti nicchie nella componentistica meccanica. Molte società straniere nei settori ad alto contenuto tecnologico - come nanotecnologia, materiali sintetici, biotecnologia, software e telecomunicazioni - guardano ormai alla Cina come potenziale fonte di innovazioni tecnologiche. Il target di crescita entro il 2020 - periodo di applicazione del Tredicesimo piano quinquennale - è del 6,5%, legato all’obiettivo di raddoppiare entro la fine del decennio il Pil pro capite rispetto ai livelli del 2010. Le aziende italiane sono avvertite.
Il progetto One Belt One Road
Chi vuole investire in Cina non può trascurare il progetto promosso dal presidente cinese Xi Jinping per la Nuova Via della Seta. L’iniziativa “Una cintura e una strada” - nota anche con l'acronimo Obor, dall'inglese One Belt, One Road o con quello di Bri, Belt and Road Initiative è stata annunciata nel 2013: prevede la realizzazione di corridoi economici dalla Cina all’Europa con il coinvolgimento dei Paesi centro-asiatici via terra, e di quelli del Sud-est asiatico via mare. Alcuni hanno ribattezzato questo progetto “il Marshall Plan cinese” per la volontà di creare mercati favorevoli all’esportazione di prodotti cinesi. L’Italia potrebbe essere coinvolta direttamente dalla direttrice marittima della Nuova Via della Seta, che - quantomeno nelle prime versioni della mappa di Obor - prevede come terminale europeo l’alto Adriatico (l’Italia candida Trieste, Genova e Venezia).
Opportunità con Made in China 2025
Altre opportunità possono arrivare da Made in China 2025, il piano orientato alla trasformazione dell’intero tessuto industriale cinese. Le aziende cinesi avranno bisogno di tecnologia straniera nel percorso verso l’obiettivo di diventare avanguardie globali dell'innovazione. Allo stesso modo - sottolinea ancora il report -, anche qualora le aziende cinesi dovessero essere diventate campioni tecnologici, è necessario individuare nicchie nella componentistica altamente avanzata, che permetta di mettere a frutto competenze non ancora sviluppate dalle imprese del paese asiatico.
La nuova frontiera? La robotica
Rimanendo a Made in China 2025, uno dei capitoli principali di questo piano di sviluppo industriale è la robotica. Secondo i dati della Federazione internazionale della robotica (Ifr), nel 2016 in Cina sono stati venduti 90 mila robot industriali, circa un terzo del valore globale, con una crescita di oltre il 30% rispetto agli oltre 68 mila del 2015. Nell’aprile 2016, le autorità cinesi hanno presentato il Piano di sviluppo dell'industria robotica dal 2016 al 2020, e si sono impegnate a sostenere l’espansione dell'industria robotica nazionale. Il progetto prevede che la Cina sia in grado di produrre ogni anno 100 mila robot industriali classificati come Made in China entro il 2020, e almeno 500 mila robot industriali avanzati. Inoltre, secondo le previsioni del piano entro il 2020 le vendite dei robot per il settore dei servizi supereranno i 30 miliardi di Rmb. La Cina è dunque il primo mercato al mondo (anche per stock di robot installati), con previsioni di crescita ulteriore agli stessi ritmi nel corso dei prossimi anni.
La mappa dei consumi: dove puntare
E poi ci sono loro: i consumi, la domanda interna. Oltre un miliardo di persone, circa il 70% della popolazione cinese, vivrà approssimativamente in 600 città tra il 2030 e il 2035, in confronto al 57% circa di oggi, aumentando la popolazione urbana cinese di 350 milioni di abitanti. Tutto questo avrà delle conseguenze sui consumi: i settori alimentare e sanitario, le tecnologie pulite (acqua, rifiuti solidi, energie rinnovabili) e le infrastrutture per la mobilità, oltre al retail e alla distribuzione, sono i segmenti che mostreranno i più elevati tassi di crescita. Anche l’automotive, che ha attratto tutti i principali player - italiani e internazionali - continuerà a crescere, in particolare dopo le ottime performance del 2016, seppure con tassi in proporzione lievemente meno sostenuti. Macchinari, macchine utensili, prodotti chimici mostreranno ancora segnali di crescita specie nei segmenti a più alto valore aggiunto.
Lo stato di salute dei rapporti commerciali tra Italia e Cina
Fin qui le prospettive. Ma da dove partiamo, qual è lo stato di salute dei rapporti economici e commerciali tra Italia e Cina? I dati dell’interscambio differiscono in maniera significativa a seconda che si utilizzino quelli occidentali (Eurostat, Istat) o quelli delle dogane cinesi. Nel primo caso, il 2016 vede un export italiano a quota 11,1 milioni di euro (+6,35%, contro il -0,42% dell'anno precedente), e un import italiano pari a 27,2 milioni di euro (-3,12%, contro il +12,42% del 2015). L'interscambio totale è pari a 38,4 milioni di euro (-0,56%, contro il +8,64% del 2015), e il disavanzo commerciale italiano è calato a quota 16,7 milioni di euro (-8,81%, oltre 1,5 miliardi di euro, rispetto al 2015, contro il + 21,68% del 2015).
La versione delle Dogane cinesi
Poi ci sono i dati forniti dalla General Administration of Customs, dai quali viene fuori che dopo un 2015 in sofferenza, nel 2016 l’interscambio fra ItaIia e Cina ha visto un nuovo calo, seppur ben più rallentato rispetto all'anno precedente (-3,17%, contro il -6,94% del 2015 sul 2014). Va tuttavia ricordato che l’anno scorso le esportazioni cinesi nel mondo sono calate del -7,71% e le importazioni del -5,49%. I dati italiani sono dunque in linea con quelli dell’Unione Europea e migliori dell’interscambio Cina-mondo.
Nel 2017 tornano in positivo gli acquisti cinesi in Italia
Per avere un quadro completo dei rapporti tra Italia e Cina è necessario valutare anche l’interesse dei cinesi per l’Italia. È l’altra faccia della medaglia. Sono 168 i gruppi cinesi che hanno investito nella Penisola (dato aggiornato a fine 2016), per 398 imprese italiane partecipate: oltre 21mila dipendenti e 12,2 miliardi di euro di fatturato. Il 32% è nel settore dei servizi, e il 43% di questi è in Lombardia. Sul fronte dei consumi, secondo i dati Global Blue nel 2016 le spese degli acquisti cinesi in Italia sono calate del 22% (contro il +56% del 2015), una riduzione maggiore del calo degli acquisti totali di stranieri in Italia (-10%, contro il +16% nel 2015). Il primo trimestre 2017 ha visto invece un ritorno del segno positivo degli acquisti dei cinesi (+12%). Ora tocca all’Italia agganciarsi alla locomotiva cinese.
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