Mancini e Mourinho: le cadute di stile che hanno segnato le loro carriere
La Juve frena la Roma torna alla vittoria
di Dario Ceccarelli
4' di lettura
Da che cosa cominciamo? Prima di finire travolti dallo stucchevole dibattito sulla “dipendenza” (l’Inter da Lautaro, il Milan da Leao, il Napoli da Osimhen e via scendendo per li rami…) urge una breve premessa su due allenatori, Roberto Mancini e Josè Mourinho, che non si discutono per le loro capacità professionali (hanno dei curriculum lunghi come autostrada), ma per delle imbarazzanti cadute di stile che incrinano la loro immagine pubblica.
Ed è un peccato perché in certi casi, soprattutto quando il vento tira contro, sarebbe meglio stare zitti.
Guardiamo per esempio Mourinho, il Vate per eccellenza. Ieri con il Frosinone gli è andata bene (2-0),ma quando gli va male, per distrarre i tifosi e l’opinione pubblica si inventa sempre qualcosa di forte. Un vero artista della polemica rovente. In genere i suoi bersagli preferiti sono gli arbitri cattivi o i poteri forti dell’Uefa, sui quali va giù pesantissimo. Un po’ come fa anche quel simpaticone di Sarri che mai che accetti una sconfitta senza recriminare contro qualcosa o qualcuno. Come abbiamo visto sabato sera dopo la spazzolata ricevuta dal Milan. Al posto di analizzare gli errori della Lazio, che si accumulano visto il suo bilancio da brividi, Sarri se l’è presa con il calendario affollatissimo che gli “massacra i giocatori”. E’ vero, il calendario è denso, troppe partite. Ma lei, caro Sarri, un’autocritica mai?
Mourinho, da vero Special One, è più fantasioso, non a caso è il numero uno degli affabulatori della panchina. Per rispondere alle critiche sulla pessima partenza della Magica, Mou ha replicato piccato: “Non sono io il problema della Roma”. E per avvalorare il suo attaccamento ai colori giallorossi, essendo in scadenza di contratto (giugno 2024), ha tirato fuori di avere rifiutato questa estate un’offerta folle dall’Arabia Saudita, spiegando di averla respinta perché aveva dato la sua parola alla Roma. Un uomo tutto d’un pezzo, insomma. Come quel tipo che, rimproverato dalla fidanzata, le rinfaccia che lui in passato avrebbe potuto sostituirla con una più giovane e più ricca. Sono cose da non fare e non dire.
Scarsa coerenza
Idem per Roberto Mancini, neo c.t. dell’Arabia, che continua a ripetere d’aver lasciato l’Italia per dissidi con la Federcalcio. Peccato che poi sia finita come sappiamo. Con i bigliettoni degli sceicchi. Ma non sarebbe stato più semplice ammettere la verità? E dire: sì, è vero, ho ha avuto un’offerta clamorosa alla quale non ho saputo dire no. E’ andata così, scusatemi, amici come prima. Invece tutte quelle manfrine, dopo tanta retorica sull’attaccamento alla bandiera, stonano come un prete che predicando l’umiltà poi si veste da Dolce & Gabbana. Non c’è nulla di male, certo, però un po’ di coerenza non guasta, Pensiamo a un allenatore come Enzo Bearzot, l’uomo che (lo diciamo per i più giovani) ci fece vincere i Mondiali in Spagna ’82. Ve lo vedete fare una capriola come quella di Mancini? Mai e poi mai.
Lautaro e Leao, logorano che non ce li ha...
Si parla tanto della “dipendenza” dai grandi campioni delle favorite al titolo. A volte se ne parla come se questo fosse un handicap, una maledizione. Milan e Inter, che guidano la classifica (18 punti), hanno, secondo i critici, il pesante limite di essere dipendenti da Leao e Lautaro. Caspita, che sfortuna! Lautaro, entrato nella ripresa contro la Salernitana, realizza 4 gol in 27 minuti. Leao, con due accelerazioni, manda in gol Pulisic e Okafor dando la spallata decisiva alla Lazio. E queste prodezze, scusate, sarebbero dei limiti? Averne di questi problemi. E vogliamo parlare di Osimhen? Certo che se lui gira, gira anche la squadra di Garcia. E infatti adesso, finita la sceneggiata sul nigeriano, le cose vanno bene. Aggiungiamo il risveglio di Kvratskhelia e vedrete che tutto quadra. E cioè che il Napoli, terzo in classifica insieme alla Juve, ha ripreso la sua corsa per difendere uno scudetto che sembrava già scolorito
La Juve frena a Bergamo
E la Juventus? Poche novità e non molto belle. Con l’Atalanta, al Gewiss Stadium non va al di là di un sofferto zero a zero che sta più stretto ai bergamaschi (traversa di Muriel) che ai bianconeri, schiacciati nella loro area per tutta la ripresa. Una brutta partita. Allegri, senza Vlahovic e Milik, può invocare qualche attenuante. Ma molto generica perché Chiesa e Kean non sono dei debuttanti. . Vero che la Dea quando vuole sa far male, però Madama continua a non convincere, pure senza l’impegno delle coppe.
Gestire bene le panchine: il coraggio di Pioli
E qui viene fuori un altro tema emerso da questa settima giornata. La capacità di saper gestire bene le panchine. Cioè di far ruotare al meglio la rosa per non affollare subito le infermerie. Inzaghi, disponendo di grandi individualità, con le alternanze fa molta fatica. Invece in futuro dovrà essere più elastico per non far scoppiare i migliori. Il più abile, nel ruotare le seconde file, finora Pioli, coraggioso nel trovare soluzioni nuove (Adli regista per esempio) e nel dare spazio agli ultimi arrivati. E pensare che dopo il derby veniva dato al capolinea. Per il Napoli il giudizio è rimandato, Garcia deve anzi ringraziare il cielo aver ritrovato l’appoggio del gruppo. Quanto alla Juve, sarà quello che sarà. Senza Coppe, Allegri dovrebbe avere meno infortuni. Invece ne ha in abbondanza. Misteri del calcio.
Un po’ di ossigeno per Mourinho
La Roma ieri sera all’Olimpico ha battuto (2-0) il Frosinone, comunque pericoloso in almeno tre occasioni. I gol della Roma: sinistro di Lukaku nel primo tempo e raddoppio di Pellegrini nella ripresa con Dybala brillante e pericoloso. Per i giallorossi è il secondo successo in questo campionato. Un po’ di ossigeno per Mou questa volta sul pezzo: “Dovevamo reagire, non era il giorno per vedere una Roma meravigliosa”. Per la cronaca, in classifica il Frosinone precede ancora la Roma di un punto.
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