Le cartiere cercano una via tra Cina e nuovi mercati
di Jacopo Giliberto
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Cambia lo scenario dell’industria della carta. Di conseguenza, le imprese devono adeguarsi, e devono farlo con rapidità per non essere travolte dalla corsa internazionale verso nuove tecnologie, verso nuovi costi di produzione e verso nuovi mercati. L’Italia è un Paese che non dispone di cellulosa come materia prima, però l’industria cartaria italiana è formidabile nei prodotti finiti per la storia millenaria e per la capacità tecnologica: la risposta al cambiamento di scenario può configurarsi sotto forma di un investimento all’estero come fanno i lucchesi, accrescere le esportazioni di qualità come fanno le cartiere storiche, diversificare verso il riciclo come fanno le cartiere più grandi (che sono piccole nella competizione internazionale).
Numeri in buona salute
Lo stato di salute di un settore industriale può essere misurato con il termometro dell’attività produttiva, del giro d’affari e delle esportazioni. Secondo le rilevazioni appena elaborate dall’Assocarta, la domanda interna di carte e cartoni ha presentato nel 2017 un aumento in quantità del 2% rispetto al 2016. E sono confortanti anche i numeri dell’export: la domanda estera nel 2017 è cresciuta del +2,8% in volume. In tutto, la produzione italiana è stata pari a 9,1 milioni di tonnellate, «in aumento del 2,1% rispetto ai livelli 2016» afferma l’Assocarta.
C’è però un problema considerevole. E il problema si chiama rincaro della materia prima, la cellulosa.
Rincari internazionali
Da più di un anno le cartiere italiane, le quali in assenza di cellulosa italiana devono importare la materia prima (tranne la carta da macero), si confrontano con rincari pesanti e continui delle materie prime, a cominciare dalla fibra di cellulosa. Ma nemmeno chi fa ricorso al prodotto da macero è al riparo da sorprese: le quotazioni sono incostanti e non consentono una programmazione corretta degli approvvigionamenti. Da fine 2016 ai primi mesi dell’anno la cellulosa è rincarata di +320 dollari la tonnellata (+39%) per le fibre corte, +410 dollari (+63%) per le fibre lunghe.
Un settore in cambiamento globale
Nel mondo sta cambiando il settore cartario. Un esempio viene dalla riorganizzazione in corso tra i due giganti sudamericani Fibria e Suzano, che rappresentano un terzo dell’offerta mondiale di quelle fibre corte che si ricavano per esempio dall’eucalipto e da altri alberi a crescita veloce in zone dal clima caldo.
I produttori scandinavi di pregiata fibra lunga, che si ricava dagli abeti a crescita lenta delle foreste nordiche, stanno diversificando invece verso produzioni ad alta tecnologia, verso la cellulosa per finalità non cartarie (per esempio, per produrre la viscosa tessile), verso le biotecnologie.
E poi c’è il solito fenomeno Cina con la sua fame furiosa di cellulosa, la quale viene acquistata in Finlandia, in Svezia, in Canada ma ora anche in Brasile per poter soddisfare una domanda di 105-110 milioni di tonnellate di carte e cartoni.
Oltre alla fibra lunga scandinava per gli imballaggi, la Cina ha sviluppato in modo forte una domanda di cellulosa a fibra corta sudamericana per la domanda di carta e per i prodotti tissue, perché ha scoperto la comodità dei fazzoletti usa e getta, dei tovaglioli doppio velo e della carta igienica.
Il riciclo cinese non basta a soddisfare questo fabbisogno, e così le importazioni di carta straccia qualità dall’Europa si misurano in quasi 10 milioni di tonnellate.
La tendenza pare confermare un allineamento internazionale verso prezzi alti guidati dalla domanda di cellulosa e dal processo globale di concentrazione fra società.
La risposta italiana
In Italia la produzione di cellulosa e la coltivazione di alberi, come i pioppeti storici, sono ormai marginali e le cartiere sono obbligate al ruolo di importatrici nette di materia prima.
La carta per giornali e tutte le carte grafiche interessano sempre meno. I lettori convenzionali sono in calo perché si spostano verso il web, e con i lettori si spostano sull’immateriale anche gli inserzionisti pubblicitari. Così giornali e riviste hanno meno pubblicità e assottigliano la foliazione. Di conseguenza le carte grafiche (giornali, pieghevoli, libri, materiale pubblicitario, volantini, opuscoli e le altre carte da stampa) ormai hanno un calo costante attorno al 3-3,5% l’anno.
Così ci sono cambiamenti di strategia: dopo le chiusure seriali degli anni scorsi le cartiere minori, che non hanno modo di largheggiare, stringono i denti e mostrano tutta la loro capacità di “resilienza” andando verso produzioni specializzate, qualitative, di nicchia.
I grandi nel frattempo guardano al mondo dei riciclo e degli imballaggi. Si osservano tendenze alle acquisizioni, come il fondo Bain verso Fedrigoni.
Ma anche i gruppi cartari maggiori appaiono piccoli se confrontati con le dinamiche internazionali e secondo Paolo Culicchi — il cui osservatorio è privilegiato perché è non soltanto vicepresidente dell’Assocarta ma soprattutto per la sua lunga carriera al vertice delle maggiori industrie cartarie e alla presidenza dell’associazione — «le imprese italiane dovranno rispondere con le aggregazioni, in modo da consolidare le dimensioni aziendali e rafforzare la capacità di rendere rimunerativi i prezzi».
Il segmento tissue guarda all’estero
Il segmento del tissue (carte casa, carte igieniche, tovaglioli e così via) potrebbe essere in difficoltà se non guardasse all’estero. I produttori nazionali sono compressi dalla concentrazione dei fornitori internazionali di cellulosa vergine, ma al tempo stesso sono schiacciati dalla domanda forte della grande distribuzione, che detta legge su quantità e prezzi.
L’alternativa al soccombere è concentrarsi, accrescendo le dimensioni delle imprese. Oppure guardare all’estero, come gli investimenti fatti di recente dalle grandi aziende del polo lucchese. Due esempi di rilievo: la Lucart ha fatto acquisizioni in Spagna, la Sofidel negli Stati Uniti.
Diversificare nel riciclo
Altri diversificano nel mondo del riciclo, come la veneta Trevikart della famiglia Zago che, dopo aver acquistato la storica cartiera di Mantova (era la Burgo il cui stabilimento avveniristico fu progettato dal geniale architetto Pier Luigi Nervi), ora attraverso la controllata Pro Gest sta allestendo un polo della rigenerazione della carta da riciclo.
Quello mantovano della Pro Gest sarà un complesso da 500mila tonnellate, la più grande cartiera italiana per containerboard, ed è capace già adesso di muovere le proteste i comitati nimby del no che vogliono difendere l’ambiente solamente a parole.
E nello stesso modo anche la Burgo sta investendo ad Avezzano (l'Aquila) un impianto per la produzione di carta per ondulatori da riciclo per imballaggi. «Noi operiamo in tre attività e ora ci prepariamo alla quarta», avverte Ignazio Capuano, amministratore delegato della Burgo. «Abbiamo le carte “senza legno” di pura cellulosa, abbiamo le patinate meccaniche a base di legno, abbiamo le carte speciali come quelle per etichette e flexible packaging. E ora, quarto segmento, con Avezzano diversifichiamo sulla carta da riciclo per ondulatore».
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