Le catene più corte non frenano la crescita dei traffici marittimi
Il Mediterraneo vale il 20% dei traffici, il 27% delle linee container e il 30% dei flussi di petrolio e gas
di Massimo Deandreis
3' di lettura
Osservare le dinamiche del commercio marittimo, di come cambiano le rotte, dei traffici nei porti e del passaggio delle navi nei grandi snodi globali come Suez o Gibilterra aiuta a capire come sta cambiando l’economia mondiale. Dal mare transita oltre il 70% (in valore) e il 90% (in volume) di tutto l’import-export globale. Trasporti marittimi e logistica valgono circa il 12% del Pil mondiale. Ecco perché la fotografia di questi flussi consente di comprendere gli impatti geoeconomici dei cambiamenti in atto e di come questi modifichino gli equilibri globali. È questo il panorama che offre il 9° Rapporto annuale sull’economia marittima che viene presentato giovedì 29 settembre a Napoli da Srm, Centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo.
Emerge con chiarezza un cambiamento molto forte che è in atto, iniziato probabilmente già prima della pandemia ma poi accelerato durante i due anni di Covid e ora, in questo 2022, con la guerra in Ucraina. Osserviamo cioè un ripiegamento della globalizzazione in chiave più regionale, con le supply chain che si accorciano per essere meno esposte a rischi geopolitici e ai colli di bottiglia logistici. Questo processo rafforza la tendenza al reshoring e al friendshoring, ossia la ricollocazione dei siti produttivi vicino ai mercati di sbocco e soprattutto in aree geografiche più affini e “amiche”. Si stima che il 60% delle aziende europee e statunitensi preveda nei prossimi tre anni di far rientrare parte delle proprie produzioni asiatiche in Europa e negli Usa.
Sta cambiando anche un altro paradigma che ha caratterizzato il ventennio della globalizzazione: il modello del just in time. In un mondo che girava velocemente, dove merci e persone si spostavano con rapidità e relativa puntualità, a fronte di un’esigenza di materiale, si chiamava il fornitore e, tempo pochi giorni, la merce sarebbe arrivata a prezzi sostanzialmente stabili. Oggi sappiamo che non è più così.
Questo cambiamento obbliga le imprese a ricostituire scorte e magazzini per compensare almeno parzialmente gli effetti dell’incertezza su prezzi e approvvigionamenti. Ma questo cambio di paradigma comporta più costi, organizzazione diversa, gestione complessa degli spazi e della logistica.
In tutto questo due sono gli elementi chiave che emergono dal Rapporto: nonostante il quadro generale, i traffici marittimi globali sono ancora in crescita dell’1,1% (benché le stime siano state riviste al ribasso) toccando i 12,2 miliardi di tonnellate di merci movimentate quest’anno, per poi aumentare ancora del 2,3% nel 2023.
Il secondo elemento chiave, che come Italia ci riguarda da vicino, è che il Mediterraneo sta acquistando sempre più centralità nelle rotte marittime mondiali, trasformandosi da mare di semplice passaggio e transito a mare dove crescono i commerci, le attività logistiche, il ruolo e competitività dei porti. E dove aumenta la competizione. Certo gli effetti del conflitto sull’area si fanno sentire perché tradizionalmente il Mar Nero è considerato parte del Mediterraneo allargato e il blocco dei porti di Odessa e Mariupol ha prodotto un calo del volume complessivo delle movimentazioni.
Tuttavia, al netto di questo effetto bellico, osserviamo che i porti del Mediterraneo stanno migliorando competitività e capacità attrattiva e il divario con i porti del Nord Europa è da diversi anni in diminuzione. Giova ricordare che oggi, il Mare Nostrum, pur coprendo solo l’1% dei mari del mondo, rappresenta il 20% dei traffici marittimi mondiali, il 27% delle linee container e il 30% dei flussi di petrolio e gas. Ecco, quella energetica è l’altra variabile che regala ancora più importanza al Mediterraneo e all’Italia. I flussi energetici Est-Ovest si stanno spostando lungo l’asse Sud-Nord.
L’Italia è la porta d’ingresso di questi nuovi flussi provenienti dal Nord Africa e dall’area caspica verso l’Europa e i porti italiani, che stanno diventando anche importanti hub energetici, soprattutto quelli del Mezzogiorno.
L’import-export via mare del Sud nel primo semestre 2022 ha già superato i 41 miliardi di euro, con un balzo del 53% sull’anno precedente, ben superiore al dato medio italiano (+42%). Ecco perché nella ricerca di Srm si parla di «una rivincita degli scali meridionali», sempre presenti nei primissimi posti nella classifica import-export delle varie tipologie merceologiche. Ora si tratta di investire bene le ingenti risorse che il Pnrr dedica alle infrastrutture portuali e di mettere definitivamente a regime le Zone economiche speciali.
La nuova centralità del Mediterraneo e le risorse che arrivano dall’Europa ci stanno offrendo un’occasione irripetibile per rafforzare il ruolo dell’Italia e per lo sviluppo del nostro Mezzogiorno. Non sprechiamola.
loading...