Le colpe vere (e presunte) dell’Unione europea
di Vincenzo Galasso
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Domenica voteranno per la prima volta i nati del nuovo millennio. Ragazzi e ragazze del ventunesimo secolo – nati insieme all’euro. Sembra dunque naturale – e di buon auspicio – che il loro primo appuntamento elettorale sia per eleggere il Parlamento europeo.
Si tratta di un appuntamento di insolita rilevanza. Forse per la prima volta, partiti rappresentativi di fette importanti dell’elettorato di molti Paesi si dividono chiaramente sul ruolo dell’Europa. Per decenni le elezioni europee sono servite quasi esclusivamente a misurare la forza elettorale dei diversi partiti - e dei governi in carica, come solo un sistema proporzionale può consentire. I temi della campagna elettorale erano spesso molto nazionali e poco europei. Anche perché era unanime nell’opinione pubblica italiana il sostegno all’Europa e nessun (grande) partito manifestava visioni contrastanti.
Oggi il clima è cambiato. E malgrado nessun partito auspichi (più) l’uscita dall’euro e tutti sembrino intenzionati a modificare l’Unione europea dall’interno, le divergenze di veduta sul ruolo dell’Europa rimangono evidenti.
Le critiche mosse al progetto europeo dai partiti al governo sono efficacemente riassunte in una relazione del ministero degli Affari europei. L’Unione europea è accusata di aver tradito l’impegno preso con i cittadini: nessuna attenzione al benessere socio-economico delle persone ma solo alla stabilità del sistema finanziario, vincoli di bilancio troppo stringenti che impediscono politiche fiscali espansive e una Banca centrale europea ostile a eliminare lo spread tra i rendimenti dei titoli pubblici dei diversi Paesi dell’Eurozona.
Si tratta di critiche eccessive. Nei primi vent’anni dell’euro, la crescita economica dell’Eurozona (ad eccezione di Grecia, Italia e Portogallo) è stata simile a quella di Stati Uniti e Giappone. Gli investimenti pubblici italiani sono stati superiori a quelli tedeschi, ma la composizione degli investimenti totali (pubblici e privati) è stata diversa: R&S e tecnologia in Germania, settori tradizionali in Italia. Tuttavia l’Europa merita delle critiche. Ad esempio, l’introduzione dell’euro ha favorito soprattutto la Germania, che - riformato il mercato del lavoro, si è avvantaggiata sia verso i Paesi non-euro, grazie a una moneta non eccessivamente forte, sia verso quei Paesi dell’Eurozona (Francia e Italia), che usavano le svalutazioni per riguadagnare competitività. Inoltre la recente crisi economica e finanziaria ha colpito soprattutto i Paesi del Sud Europa, privi di strumenti di politica monetaria e con poche leve di politica fiscale. E l’Europa non ha saputo rispondere con rapidità ed efficacia a questa crisi per mancanza di strumenti adeguati.
A fronte di questi limiti, modificare l’Europa dall’interno significa lavorare alla creazione di strumenti efficaci di stabilizzazione, da usarsi in caso di crisi finanziarie o sovrane sistemiche, e di meccanismi per aumentare la domanda aggregata, in caso di crisi economiche. Per raggiungere questo obiettivo è necessaria una Unione fiscale che complementi l’Unione monetaria. Tale Unione fiscale europea, finanziata dal gettito fiscale dei Paesi dell’Eurozona in proporzione al loro Pil, consentirebbe l’emissione di Stability bond, i cui proventi servirebbero a finanziare la domanda aggregata dei singoli Paesi durante i periodi di crisi e a contrastare le crisi finanziarie sistemiche. Nel caso di crisi sovrane, gli Stability bond finanzierebbero il Paese in crisi, sotto stringenti vincoli di condizionalità. In tempi normali, i proventi sarebbero utilizzati per ridurre il debito pubblico dei Paesi dell’Unione fiscale.
La proposta di creare una unione fiscale europea minima è una delle quattro proposte per migliorare l’Europa contenute nel libro “Rivoluzione Europa”, a cura dell’associazione Europa 21 Secolo e con i contributi di Francesco Clementi, Sergio Fabbrini, Maurizio Ferrera, Stefano Firpo, Marco Leonardi, Andrea Montanino, Tommaso Nannicini, Guido Tabellini e di chi scrive. Perché dopo il voto sarà necessario che il dibattito si sposti da più o meno Europa a come migliorare l’Europa.
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