Le competenze non bastano: ecco come guidare la trasformazione nell’era dell’AI
L'invito rivolto ai responsabili delle risorse umane e alle figure del management lo firma nel suo nuovo saggio Alessandro Rimassa, imprenditore della digital transformation, fondatore della Talent Garden Innovation School e oggi alla guida di Radical HR
di Gianni Rusconi
5' di lettura
Ripensare completamente il proprio ruolo per contribuire al cambiamento in corso, sviluppando competenze trasversali in diversi ambiti: design, marketing, learning, technology e wellbeing. L'invito rivolto ai responsabili delle risorse umane e alle figure del management è esplicito e lo firma - nel suo nuovo saggio “Le 5 lenti dell'HR” edito da Egea - Alessandro Rimassa, imprenditore della digital transformation, fondatore della Talent Garden Innovation School e oggi alla guida della sua nuova creatura, Radical HR.
La sfida a cui sono chiamate le aziende è duplice e riflette per l'appunto le contraddizioni di un'era di grande mutazione di modelli e scenari, in cui da un lato si riconosce il valore determinante delle persone nel successo di un'impresa e dall'altro si allunga l'ombra di un'intelligenza artificiale che potrebbe impattare significativamente il mondo delle professioni.
La convinzione di Rimassa non sembra lasciare dubbi ed elegge le risorse umane a soggetto detentore del futuro del lavoro, con buona pace degli algoritmi e dei chatbot generativi. Serve però un atto di “coraggio” da parte di Hr manager, Ceo e C-level, chiamati per l'appunto a un'evoluzione drastica del proprio ruolo, ad ampliare le proprie conoscenze e la propria sfera di azione. Le persone, insomma, non sono un'opzione o qualcosa di marginale (e potenzialmente non necessario) ma una componente chiave dei processi creativi e organizzativi, delle attività di apprendimento e di progettazione.
Affinché questa trasformazione si compia, però, secondo Rimassa le competenze non basteranno: i responsabili Hr in primis dovranno acquisire la consapevolezza di essere una funzione di guida e non solo di servizio, in grado di lavorare a stretto contatto con chi definisce la strategia del business aziendale, contribuendo sempre di più alla sua definizione. Con l'ausilio (necessario) delle nuove tecnologie digitali.
Le “persone al centro” è il paradigma. Nell'era digitale abbiamo corso il rischio di dimenticarcelo: perché? Dove hanno sbagliato le aziende e il management?
Prima di tutto, credo sia corretto chiarire un concetto: “persone al centro” è una affermazione bellissima, ma se alla base non c'è una vera people strategy che spiega perché e come le persone vengono messe al centro dell'azienda, dei suoi processi e del suo percorso di sviluppo industriale e di business, stiamo semplicemente usando uno slogan che rimane completamente vuoto. Facendo un passo indietro, allo scorso decennio, la digital transformation ha fatto pensare a troppi manager di poter in qualche modo fare a meno delle persone, non rendendosi conto che invece la tecnologia ci avrebbe accompagnato verso quello che può sembrare un paradosso: le figure capaci e di talento contano sempre di più, modificando di fatto la relazione con le aziende. Le persone sono sempre meno dipendenti delle aziende, le imprese al contempo sono sempre più dipendenti dalle persone.
L'AI può veramente essere un'alleata dell'uomo per costruire le professioni del futuro?
Un capitolo del libro è stato scritto con l'intelligenza artificiale. Attenzione però: non “dalla” AI ma “con” l'AI. Provo a spiegarmi meglio: prima che ChatGPT fosse nota al grande pubblico, ho lavorato con tre sistemi di intelligenza artificiale differenti a cui ho dato indicazioni e suggerimenti, chiedendo loro di comporre e arricchire dei testi. Poi li ho rielaborati, personalizzati e resi adatti al libro. Risultato? Per scrivere un capitolo de “Le 5 lenti dell'HR” in modo convenzionale sono servite circa 25 ore, per quello realizzato con il supporto dell'AI ne ho impiegate cinque. Si capisce bene come l'intelligenza artificiale non sia futuro ma sia un alleato del nostro lavoro già oggi. E a noi tocca fare la cosa più importante, e cioè studiare, tanto e continuamente, per capire come usare la tecnologia per lavorare al meglio e anche più velocemente.
Lei afferma che risorse umane saranno decisive per lo sviluppo delle imprese a condizione che ripensino completamente il proprio ruolo: chi non sarà in grado o in condizioni di farlo rimarrà escluso?
Io credo che troppe imprese abbiano sottovalutato il ruolo delle risorse umane, e che lo stesso abbiano fatto troppi professionisti e professioniste che fanno questo mestiere. Come si può pensare di realizzare lo slogan “persone al centro” se a guidare questa trasformazione non mettiamo coloro che si occupano di persone? D'altro canto, chi lavora nelle HR deve aggiornare molto più velocemente e di continuo le proprie competenze, per essere un vero partner del business nell'orientare l'azienda verso il futuro. E c'è di più: serve una mentalità aperta e di crescita, per far sì che la funzione HR non sia più laterale in azienda, diciamo di banale “supporto”, ma si trasformi in una guida delle persone, dell'innovazione e dei continui cambiamenti. Ovviamente, c'è spazio solo per una figura delle risorse umane di questo tipo, perché ciò che è semplice gestione finirà in mano a strumenti digitali e intelligenze artificiali che avranno poco bisogno di essere assistite dagli esseri umani.
Sviluppare competenze trasversali per guidare il cambiamento dovrebbe essere una prerogativa di tutta l'organizzazione: le aziende italiane sono pronte?
Insisto sulla funzione HR perché è un po' come il calzolaio con le scarpe rotte: compra formazione per tutti, ma non per sé. C'è inoltre da ripensare la formazione, che troppo spesso è semplicemente un lungo (e inutile) catalogo di corsi e non invece una serie di programmi realmente pensati per lo sviluppo delle persone, per l'aggiornamento e l'upgrade di competenze, per il reskilling di interi dipartimenti. L'unico investimento importante per il futuro delle aziende, a mio avviso, è quello nella formazione: come puoi pensare che le tue persone cambino, al cambiare delle condizioni di mercato e dei prodotti, se non le formi?
Le “cinque lenti” che descrive nel libro hanno tutte lo stesso peso e lo stesso impatto? L'approccio di un manager di un'azienda di servizi deve essere lo stesso di un leader di un'azienda manifatturiera?
Le lenti sono appunto lenti: vanno usate, indossate, tolte, rimesse, accoppiate. Serve lavorare sul design dell'esperienza delle persone al lavoro, serve comunicare con loro quando sono in azienda e anche prima, serve ripensare la formazione, serve imparare a usare per davvero la tecnologia e serve un'organizzazione che sia partner delle persone per il loro benessere. Design, marketing, technology, learning e wellbeing sono, nel loro insieme, le lenti per ripensare il ruolo di chi lavora nelle risorse umane e più in generale il modo di essere leader in azienda e per comprendere come poter guidare la trasformazione della propria organizzazione. Chi guida le aziende e vuole realizzare una strategia di business, ha bisogno di costruire una strategia per le proprie persone, perché non c'è business strategy che vinca senza una people strategy che orienti le persone.
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