Le difficoltà concettuali del Metaverso e le normative
“Tu davvero pensi che il mio essere più forte o più veloce sia legato soprattutto ai miei muscoli, in questo posto? Credi sia aria quella che respiri ora?”. Questo chiede Morpheus al protagonista Neo in “Matrix”
di Alessandro Curioni
5' di lettura
“Tu davvero pensi che il mio essere più forte o più veloce sia legato soprattutto ai miei muscoli, in questo posto? Credi sia aria quella che respiri ora?”. Questo chiede Morpheus al protagonista Neo in “Matrix”. La scena si svolge all'interno di una neuro-simulazione interattiva, quella che per i sostenitori del Metaverso dovrebbe essere il suo punto di arrivo. Questo e altri scambi di battute in “Matrix” possono essere tradotti in termini di tecnologia. Qualunque sistema informatico, Metaversi compresi, presenta almeno due livelli: quello visibile all'utente con il quale interagisce e quello sottostante ovvero il codice.
L'esperienza sensoriale è quindi ingannevole come suggerisce lo stesso Morpheus chiedendo se Neo pensa di respirare aria. Nello stesso dialogo Morpheus premette che ci sono delle regole che possono essere eluse o infrante. In realtà ciò è possibile soltanto a condizione che si disponga di un particolare profilo utente con privilegi amministrativi oppure si abbia accesso al codice con cui il software è stato sviluppato o, infine, se esso presenta dei bug (errori di programmazione) che consentono di determinare comportamenti dell'applicazione che violano le logiche previste.
Questi temi riguardano qualsiasi metaverso presente e futuro, in quanto per definizione il sistema dovrà avere delle regole tecnologiche, dei protocolli, e necessiterà di essere gestito e manutenuto. In prima battuta possiamo affermare che, a seconda dei privilegi, chi vi accede avrà una percezione della realtà e una capacità di manipolarla molto diversa. Dal punto di vista antropologico, nella realtà del metaverso è certo che tutti gli esseri umani non saranno uguali. Se una chiara disparità degli attori sarà determinata dalla “posizione” che si ricopre nel sistema e dalle competenze di cui si dispone, è lecito chiedersi se le regole tecniche siano sufficienti a garantire la sicurezza del metaverso. Proviamo con un esempio semplice. Per come viene presentato, l'avatar con cui ci manifesteremo corrisponde alla nostra persona e il suo assassinio sarebbe socialmente e culturalmente inaccettabile. In realtà esistono sottoculture, come molte di quelle legate ai giochi on line, in cui uccidere l'avatar altrui è non solo accettato, ma talvolta richiesto. Si potrebbe obiettare che esso, in quanto costrutto digitale, potrà essere successivamente ripristinato, ma se così non fosse per problemi tecnici? E ancora: se l'esperienza causasse un trauma psicologico nel “proprietario”? Oppure al limite: se il rapporto avatar-essere umano fosse tanto stretto da causare la morte cerebrale del soggetto? La presenza di vaste sottoculture in cui “la morte è un gioco” aggiunge un ulteriore problema.
Gli operatori interessati al mercato del metaverso si stanno preoccupando di predisporre delle regolamentazioni, ma l'idea di governare un intero “nuovo mondo” con una sorta di libretto delle istruzioni ha un che di ridicolo per alcune ragioni, e di preoccupante per altre. Alla prima categoria appartiene l'idea di vendere una “nuova vita” e poi trattarla come fosse un elettrodomestico, alla seconda il fatto che Mark Zuckerberg o chi per lui possa presentarsi come il Solone della Nuova Atene. Al di là delle implicazioni etiche, morali e politiche, sul piano pratico se gli altri operatori non fossero d'accordo cosa accadrebbe? Addio all'interoperabilità tra le diverse piattaforme. In alternativa, il nostro Avatar dovrà disporre di passaporto digitale e, a seconda, dell'ambiente in cui si trova, accettare le regole specifiche. Tanto gli abitanti del metaverso dovranno essere aperti al multiculturalismo, almeno per evitare una conflittualità estrema.
La recente storia dei social network non sembra deporre a nostro favore e i libretti di istruzione non soltanto non bastano a fare cultura, ma sono anche la prima cosa che si butta via quando si compra un prodotto. Abbiamo immaginato uno Zuckerberg nei panni del Solone di una Nuova Atene e in questa prospettiva mi corre l'obbligo di aprire una parentesi sulle possibilità di normare il metaverso, o forse più d'uno, e si tratta di uno scenario che fa tremare i pilastri del diritto sia esso penale, civile, pubblico o internazionale. Considerando che la trattazione richiederebbe spazi enciclopedici, mi limiterò e prendere in considerazioni alcune tematiche macroscopiche, ma che permettono di avere contezza della dimensione del problema. Premesso che soltanto in questi ultimi anni il sistema giuridico ha iniziato a metabolizzare, con grande fatica, le problematiche poste dalla società dell'informazione, l'avvento del metaverso propone nuove questioni, e rischia di mettere in discussione anche quelle poche certezze appena consolidate.
Un primo esempio interessante attiene il diritto internazionale e il tema della sovranità, che delinea l'autorità propria degli stati ed ha la sua base più forte nella territorialità. In un metaverso, quest'ultimo tema è tutt'altro che banale. Lo spazio digitale risiederà su sistemi hardware, software e di telecomunicazioni di proprietà privata a volte non chiaramente definita. Tali sistemi, inoltre, saranno sovente fisicamente residenti nel territorio di diversi paesi. In una realtà di questo genere chi o cosa è sovrano? Quali normative sono applicabili? Quali aspetti delle regolamentazioni internazionali sono applicabili? Pensiamo alle proprietà virtuali. Le difficoltà sono evidenti se immaginiamo un esempio concreto. Il soggetto X accede al metaverso attraverso il suo avatar e in modo deliberato danneggia irrimediabilmente le proprietà digitali presenti sui sistemi, distribuiti i Francia, Svizzera e Stati Uniti, gestiti da una DAO, acronimo di “Decentralized Autonomous Organization” ovvero una realtà gestita da un software autonomo rispetto ai partecipanti che controllano i beni digitali della piattaforma. I partecipanti i cui beni sono stati compromessi sono cittadini di trenta paesi diversi e ognuno di essi sporge denuncia alle autorità locali. Si porrebbe immediatamente un problema di competenza, per cui si dovrebbe applicare il criterio di ubiquità per definire se considerare prevalente il luogo di residenza dell'autore del delitto oppure quello in cui si è verificato l'evento.
Per raggiungere questo risultato si dovrebbero svolgere preliminarmente delle indagini atte ad appurare dove fosse fisicamente il soggetto X, e, poiché i sistemi sono distribuiti in tre stati, quali di essi sia prevalente, tenuto conto che la titolarità dei sistemi è di un soggetto, il DAO, la cui personalità giuridica è quanto meno dubbia. Oltre a porsi il problema di chi sia autorizzato a svolgere le attività di cui sopra, si presentano le difficoltà tecniche di localizzare il soggetto X (per esempio se per accedere al metaverso fosse transitato tramite il dark web potrebbe essere impossibile individuarlo). Tutto questo in un contesto in cui lo statuto giuridico degli oggetti e soggetti digitali presenti nel metaverso è ancora poco chiaro, a partire da quello di un avatar personale rispetto al quale le evoluzioni tecnologiche dei prossimi anni potrebbero creare non poche incertezze.
Non si può escludere che in futuro si ponga la questione se un avatar sia qualcosa di più di una mera proprietà equiparabile a un'automobile. Di questi tempi, chi si occupa di cyber security ha altro da fare piuttosto che soffermarsi sulle problematiche di quel particolare universo digitale. Sono convinto, però, che in fondo al suo cuore covi la speranza che si avveri la profezia di quanti sostengono che il metaverso sarà un flop. In definitiva quando ha iniziato a fare questo mestiere nessuno gli aveva detto che sarebbe diventato come lo sceriffo di Dodge City ai tempi di Billy The Kid e Jesse James.
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