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Le due leadership del Pd ostacolo sulla strada del governo giallo-rosso

di Emilia Patta

Crisi, Conte: qui si arresta il nostro governo

3' di lettura

Dopo il discorso di Giuseppe Conte in Senato, durissimo nei confronti di Matteo Salvini, l’apertura di una fase nuova è ormai nelle cose. Esclusa una possibile riconciliazione tra M5s e Lega, nelle prossime ore si aprirà l’unica strada che può evitare un ritorno a breve alle elezioni: un accordo che parta da M5s e Pd per un governo politico che abbia un certo respiro sia programmatico sia temporale.

Ieri pomeriggo a nessuno tra i democratici è sfuggitoche il finale del discor5so del premier dimissionario assomigliava molto a un canovaccio per un eventuale governo giallo-rosso: rafforzare le tutele sociali, sì all’autonomia delle Regioni del Nord ma in una cornice di solidarietà e con il rilancio delle politiche per il Sud, priorità alle politiche industriali per lo sviluppo sostenibile e l’economia circolare.

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Ma non a caso a stretto giro è arrivata la frenata del segretario del Pd Nicola Zingaretti. «Tutto quanto detto sul ministro Salvini questo pomeriggio da Conte non può che essere condiviso. Ma attenzione anche ai rischi di autoassoluzione.

I big del Pd in direzione

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In questi 15 mesi è stato presidente del Consiglio, anche del ministro Salvini, e se tante cose denunciate sono vere perché ha atteso la sfiducia per denunciarle?», è il subitaneo commento di Zingaretti. «Per questo qualsiasi nuova fase politica non può non partire dal riconoscimento di questi limiti strutturali di quanto avvenuto in questi mesi». Un chiaro stop, proprio nelle ore in cui anche in casa dem cresceva l’ipotesi, a un possibile Conte bis con la maggioranza M5s-Pd.

Che Zingaretti avrebbe preferito le elezioni anticipate e che si accinge a gestire la trattativa con i pentastellati senza troppa convinzione non era un mistero. E il vero ostacolo sulla strada della trattativa con il M5s è per il Pd proprio questo: la non fiducia dell’attuale gruppo dirigente del partito nei confronti dell’ex premier Matteo Renzi, che per primo ha proposto un governo “istituzionale” anti-Salvini per mettere in sicurezza i conti pubblici spiazzando il dibattito politico.

Il Pd appare insomma in queste ore più che mai diviso in due: se Zingaretti ha in mano il partito, Renzi ha il controllo dei gruppi parlamentari oltre al vantaggio della proposta politica alternativa al voto anticipato chiesto da Salvini. Per di più sulla strada del possibile governo con il M5s l’ex premier ha incrociato anche dirigenti della maggioranza zingarettiana come Dario Franceschini e Andrea Orlando: senza di loro, val la pena notare, Zingaretti rischierebbe a questo punto l’eventuale conta anche in direzione.

Se dunque Zingaretti pone la condizione della discontinuità (no a Conte bis e no a Luigi Di Maio nel governo), Renzi non pone alcun veto. Nè su Conte né sul leader del M5s Luigi Di Maio. Non a caso il suo discorso in Senato, duro con Salvini e molto cauto con Conte («il suo governo ha fallito ma lascia con stile»), è stato piuttosto apprezzato in casa pentastellata.

La divisione del Pd in due leadeship di fatto - assieme alle resistenze di Di Maio, che teme di vedere offuscata la sua leadership se dovesse partire il treno del governo con i democratici - è evidentemente un macigno sulla strada della trattativa che si aprirà nelle prossime ore. Il segretario del Pd - si chiedono in casa pentastellata e non solo - potrà garantire la compattezza dei gruppi parlamentari?

Oggi Zingaretti chiederà alla direzione un mandato a verificare se esistono le condizioni per la formazione di un governo di ampio respiro. Niente di più. Il resto è nelle mani dei pontieri e soprattutto di Mattarella. Con uno scenario che comincia a profilarsi all’orizzonte: qualche settimana di trattativa per poi prendere atto che non ci sono le condizioni e a quel punto, nell’impossibilità di votare a ridosso delle vacanze di Natale, la formazione di un governo tecnico o di scopo che vari la legge di bilancio per poi tornare alle urne tra febbraio e marzo. Un possibile esito in fin dei conti non troppo sgradito allo stesso Renzi e, forse, anche a Di Maio.

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