Le fiabe postmoderne dell'identità
Le nuove storie Disney e Pixar parlano delle trasformazioni sociali e politiche dell'Occidente
di Vittorio Lingiardi e Guido Giovanardi
4' di lettura
La psicoanalisi ha avuto da sempre un debole per le fiabe e i miti. Freud ha costruito gran parte del suo modello teorico sui miti di Edipo e Narciso e Jung considerava le fiabe il miglior strumento per studiare i processi psichici, le rappresentazioni più profonde dei percorsi di crescita verso l'individuazione.
Fiabe e miti
Fiabe e miti hanno sempre offerto ai giovani e alle giovani esperienze di identificazione, modelli evolutivi che facilitano l'ingresso nel mondo adulto. Ma visto che Grimm e Andersen (purtroppo) non si leggono più (nella migliore delle ipotesi sono sostituiti dalle loro versioni animate), quali sono oggi le fiabe e i miti più disponibili per bambine e bambini? In quali storie possiamo riconoscere le dimensioni profonde del loro diventar grandi?
Basta chiederlo a qualsiasi genitore di pargoli tra i 3 e i 10 anni: quali sono le storie che i loro figli chiedono con insistenza di vedere, rivedere e rivedere e rivedere? Quali i film più attesi dai più piccoli, prima dell'avvento dell'adolescenza e dei supereroi? Risposta: i film Disney e Pixar (oggi poi riunite sotto lo stesso tetto). Mettendoli sotto una lente psico-antropologica, attenta ai modelli proposti per le identificazioni contemporanee, noteremo, negli ultimi anni, una serie di trasformazioni. Lo schema classico dei film Disney, che riprendeva quello archetipico della fiaba, spesso edulcorandolo, prevedeva un o una protagonista impegnati in un percorso pieno di ostacoli, alla conquista di un ruolo scritto dal destino, prestabilito all'interno del sistema sociale o familiare. Per esempio, il piccolo Simba che deve diventare Re Leone come suo padre, Semola predestinato a essere sovrano ne La Spada nella Roccia, Cenerentola che grazie a un'imprevedibile matrimonio torna al suo lignaggio di nascita. Se negli ultimi vent'anni abbiamo finalmente visto spuntare, tra un Hercules e un Tarzan, vere e proprie eroine come Mulan, negli ultimi cinque abbiamo assistito a un cambiamento radicale nello schema narrativo di quello che Vladimir Propp definirebbe il viaggio dell'eroe (e, finalmente, dell'eroina!). La Mirabel di Encanto, sessantesimo classico Disney, bimba “imperfetta e stramba”, non ha nessun potere magico, ma riesce a salvare e trasformare la sua famiglia, opponendosi a una nonna autoritaria, seguendo le sue inclinazioni e i suoi valori (empatia e intraprendenza), riparando, con la forza della connessione sociale, un trauma intergenerazionale. Luca, il protagonista dell'omonimo film Pixar, mostro marino quasi adolescente che vive sul fondo del Mar Ligure, si oppone anche lui alla famiglia che vorrebbe tenerlo sotto il mare e si avventura sulla terraferma, dove approderà, grazie all'amicizia dalle sfumature omoerotiche (parole dell'autore) con un altro mostro marino/ragazzo, a una vita completamente nuova e indipendente. Mei-Lei, protagonista sino-canadese, anche lei preadolescente, di Turning Red, si sveglia una mattina trasformata in un panda rosso gigante (aggraziata e potente metafora del menarca) e venendo a patti con la sua identità-ombra di panda, riuscirà a cambiare una tradizione familiare claustrofobica, elaborando anche in questo caso un trauma antico e affrontando, con le sue amiche di bellezza “non normativa”, le sfide bio-psico-sociali della pubertà.
Mirabel, Luca e Mei-Lei
Mirabel, Luca e Mei-Lei sono tre protagonisti teneri e prorompenti che si cimentano nella scoperta di sé, del valore dell'amicizia e dell'importanza della costruzione della propria identità. Tre portavoce di minoranze etniche e di specie (vedi mostri marini) che, diversamente dagli eroi loro predecessori, non devono combattere per diventare quello che il mondo ha in serbo per loro (un regno, un matrimonio, un destino glorioso), ma sovvertono gli schemi attesi inventandosi percorsi alternativi, auto-generandosi in modo colorato e trasformativo. Non è un caso che dietro a queste produzioni ci siano équipe di lavoro per certi aspetti “inedite”: la colonna sonora di Encanto, pluripremiata e candidata all'Oscar, è stata per la prima volta nella storia della Disney, affidata a una donna, Germaine Franco, appartenente alla comunità latina di El Paso, Texas. Dietro Red, anche qui per la prima volta, c'è un team tutto al femminile: regista, produttrice, supervisora dell'animazione, supervisora degli effetti speciali, direttrice della fotografia (ruoli per cui non siamo abituati alla declinazione femminile…). Infine, le storie sono meno “universali”, ma più personali: Luca è ispirato alle vicende infantili del suo autore, Enrico Casarosa; la storia di Encanto è costellata di simbologie colombiane, l'avventura di Red è calata nella piccola comunità sino-canadese di Toronto.Sono storie che parlano delle trasformazioni sociali e politiche dell'Occidente, incarnazioni di un postmoderno storico, post-identitario, post-coloniale, no-global, neo-local, sensibile alle battaglie delle minoranze. Trasformazioni sotto attacco da più fronti, conservatori e religiosi (dal patriarca Kyrill a Orbán e Salvini), ma anche democratici e laici.
Un critico statunitense, per esempio, ha scritto di Red: «Alcuni film Pixar sono fatti per un pubblico universale. Red non lo è. Il pubblico a cui si rivolge è molto specifico e ristretto. Se fai parte di questa minoranza, ti potrebbe piacere molto. Io non ne faccio parte, ed è stato estenuante» (https://www.theguardian.com/global/2022/mar/24/turning-red-defiantly-asian-female-critics). Analogamente, La nuova intolleranza di Helen Pluckrose e James Lindsay, manifesto liberal contro la politica cosiddetta woke (espressione difficilmente traducibile in italiano, che rimanda a “consapevole” e “allertato” rispetto alle ingiustizie sociali), appena tradotto da Linkiesta Books, critica la tendenza postmodernista a riportare tutto alla razza, al genere, all'identità, considerando l'iperattenzione all'inclusività, come scrive Guido Vitiello nella sua aspra introduzione all'edizione italiana, «un'impalcatura intellettuale permanente per accamparsi su un piedistallo morale, tenendo in stato di minorità gli interlocutori».
Le critiche al linguaggio inclusivo e alla politically correctness
Le critiche al linguaggio inclusivo e alla politically correctness (vedi anche un nostro precedente “Giù dal lettino”: Chi-ha-paura-schwa-cattivo), parlano di una pericolosa deriva verso la cancellazione antidemocratica di tutte le posizioni non allineate all'ideale dell'inclusività. Non ci auguriamo un mondo dal linguaggio sterilizzato – ne abbiamo discusso in Sapienza poche settimane fa (https://news.uniroma1.it/17052022_1200) – o incapace di contrasti o ironie, ma pensiamo sia importante realizzarlo senza mai rinunciare al rispetto inclusivo di tutte le soggettività. Se questo significa incamminarsi lungo il viaggio faticoso della complessità, anche linguistica, siamo pronti a farlo, consapevoli delle trappole e delle cacofonie, ma anche dell'intrinseca vitalità della lingua che nel corso del tempo si è sempre aggiornata. Come sempre si sono aggiornate le costruzioni delle identità, alcune delle quali per secoli non hanno avuto voce. Red, Luca e Encanto, prodotti perfettamente postmoderni, a nostro avviso non fomentano l'intolleranza morale, ma, raccontando l'interiorità, la fragilità e la realizzazione di sé, aiutano a sviluppare empatia, intelligenza emotiva e capacità di rispecchiamento.
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