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Le imprese della moda alla sfida del bilancio di sostenibilità

Destro (Confindustria Veneto Est): il 66% delle realtà venete ha individuato un responsabile Esg ma le strategie sono ancora poco comunicate all’esterno. Solo il 17% delle aziende realizza un report

di Silvia Pieraccini

Strategie. La sostenibilità è una strada obbligata per le aziende che producono per i grandi marchi o che devono trattare un finanziamento con le banche

3' di lettura

Nell’industria della moda (soprattutto quella di lusso) la sostenibilità non è più una scelta, ma una strategia obbligata per le aziende che producono per i grandi marchi o che devono trattare un finanziamento con le banche. Per questo il settore è in fermento, alla ricerca della strada più adatta per realizzare quella transizione sostenibile – dal punto di vista ambientale, ma anche sociale e di governance – destinata ad assicurare competitività e mercato.

La sfida è particolarmente sentita in Veneto, dove il sistema-moda vale 14,5 miliardi di export e quasi 100mila addetti, come ha sottolineato Leopoldo Destro, presidente di Confindustria Veneto Est, in occasione del secondo Venice Sustainable Fashion Forum, intitolato Boosting Transition e organizzato alla Fondazione Cini, sull’Isola di San Giorgio, dalla stessa associazione industriali con Sistema Moda Italia (Smi) e The European House-Ambrosetti.

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La cultura della sostenibilità sta crescendo, ha affermato il presidente citando l’indagine a campione fatta da Ambrosetti: «In Veneto il 66% delle imprese del tessile-moda e calzatura ha già individuato al proprio interno un responsabile dei temi Esg e il 50% ha già elaborato una strategia di sostenibilità. L’impegno però è ancora poco comunicato all’esterno, perché solo il 17% delle imprese realizza un report di sostenibilità».

Gran parte delle aziende venete (l’87%), inoltre, non ha ancora sistemi di premialità collegati alle performance Esg, anche se il tema è all’attenzione di molte: il 70% è convinto che la sfida del futuro sia la tracciabilità e la trasparenza delle catene di fornitura.

Il settore però è consapevole che il passaggio “dal dire al fare” non sarà facile, soprattutto per le piccole e medie aziende che si trovano a dover affrontare investimenti pesanti. È meno preoccupato chi ha un partner finanziario come la padovana Nice Footwear, produttore di borse e scarpe per i marchi del lusso, che fa capo per il 51% al fondo Palladio e per il 49% ai soci Bruno Conterno e Francesco Torresan. L’azienda, 47 milioni di fatturato 2022, in crescita del 43% grazie anche alle acquisizioni di un calzaturificio e di una pelletteria, ha investito nella progettazione digitale ed è al suo quarto bilancio di sostenibilità che la proietta verso nuovi orizzonti. «Il progetto a cui guardiamo – spiega Conterno - è un concept sostenibile dalla A alla zeta, dunque partendo dall’eco-design. Oggi la sostenibilità è molto focalizzata sul rispetto delle normative e sul processo, noi pensiamo che debba permeare il prodotto fin dall’ideazione». L’obiettivo di Nice Footwear è già delineato: «Vogliamo diventare l’attore della filiera che unisce sostenibilità, digitalizzazione e managerializzazione», dice Conterno.

Ha spalle solide e percorso tracciato anche la padovana Fashion Art, produttore di capi in denim di lusso, 9 milioni di fatturato 2022 e 12 milioni previsti quest’anno, dal novembre scorso partecipata al 60% dal brand Chanel. «Nei prossimi due anni investiremo sette milioni di euro per ampliare lo stabilimento e acquisire subfornitori – spiega il fondatore e azionista Andrea Rambaldi, che è anche vicepresidente del gruppo Sistema moda di Confindustria Veneto Est - con l’obiettivo di internalizzare capacità produttiva passando da 47 a 200 dipendenti».

Sul fronte della sostenibilità, Fashion Art ha avviato un progetto di misurazione dell’intera filiera con l’Università di Padova, e sta definendo un progetto di coltivazione di cotone organico in Sicilia, con l’irrigazione goccia a goccia, per arrivare ad avere una tracciabilità completa, dal monte a valle. «Oggi i materiali Gots (Global organic textile standard, ndr) arrivano da tutto il mondo – spiega Rambaldi - ma non abbiamo certezze del percorso che seguono, per questo stiamo cercando di costruire una filiera corta, certificata e controllata». Il secondo passo sarà formare i giovani creando una Academy interna e, prima ancora, andando nelle scuole a spiegare perché lavorare in questo settore può essere (ancora) gratificante.

Una “missione” che sta inseguendo anche il maglificio trevigiano Giordano’s, 4,7 milioni di fatturato 2022 in crescita quest’anno, produttore di pret-a-porter in maglia di alta qualità e alta manualità che fa capo alla famiglia Dal Mas.

L’azienda, 60 dipendenti, ha appena realizzato un docu-film per raccontare la realtà manifatturiera attraverso la voce di chi ci lavora: un video pensato per attrarre manodopera, ma anche per trasmettere i valori. «Per noi sostenibilità vuol dire essere attenti ai consumi, alle persone, al territorio - spiega la contitolare Rosanna Dal Mas – utilizziamo energia rinnovabile, recuperiamo gli scarti di maglieria, ma soprattutto rispettiamo le persone, di dieci nazionalità diverse, che lavorano con noi».

Per una piccola azienda indipendente, la sostenibilità è un impegno oneroso: «Facciamo già un report – aggiunge l’imprenditrice – e ci stiamo muovendo nella direzione richiesta dal mercato. È impegnativo, come lo è stato anni fa il percorso sulla sicurezza, ma un passo alla volta ce la faremo».

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