Le imprese rivedono le forniture e portano le produzioni vicino ai clienti
Il prezzo non è più un fattore decisivo nella selezione della supply chain: l’aspetto determinante per le aziende è strutturare catene meno lontane, affidabili dal punto di vista finanziario e qualitativo ma anche della tempistica
di Giovanna Mancini
4' di lettura
Con 163,3 miliardi di euro generati all’estero nel 2022 (il 26% dell’export nazionale), la Lombardia è la prima regione italiana per valore delle esportazioni. Gli eventi degli ultimi tre anni hanno spinto le aziende del territorio a rivedere la geografia dei propri commerci internazionali, diversificando i mercati di sbocco, ma anche quelli di provenienza delle materie prime e dei componenti necessari alle loro produzioni. Se da un lato, dunque, la ristrutturazione globale delle supply chain ha portato a cercare nuovi fornitori (più vicini geograficamente e più affidabili politicamente, anche a scapito della convenienza economica), dall’altro ha spinto o sta spingendo molte aziende a rafforzare la propria presenza commerciale e industriale sui mercati esteri, per essere più vicini ai propri clienti.
In entrambe le direzioni si sta muovendo, ad esempio, Elga Europe, azienda di Nerviano (Milano) specializzata nella produzione di dry film, un materiale indispensabile per la produzione di circuiti stampati, che genera all’estero l’86,9% del proprio fatturato (20 milioni circa, con una previsione di crescita del 36% nel 2024, con una produzione interamente in Italia) e detiene nel proprio settore una quota di mercato del 70%, che sale al 90% in Paesi come Israele e Gran Bretagna. «Inizialmente siamo stati in qualche modo costretti a internazionalizzare, per effetto della globalizzazione – spiega l’amministratore delegato, Giorgio Favini – customizzando al massimo i nostri prodotti in base alle richieste dei clienti, diversificando i mercati e gli ambiti di applicazione, anche al di fuori dei circuiti stampati». La pandemia però, e soprattutto la guerra in Ucraina, hanno accelerato questo processo e spinto l’azienda a studiare nuove strategie, per dare una risposta efficace alla crisi delle forniture. «Abbiamo in corso progetti, soprattutto in Nord Europa e negli Stati Uniti, che vedranno la luce nel breve termine e si fondano su partnership ancora più strette con i nostri clienti, che comporteranno anche l’avvio di impianti di dry film vicino a loro». Perché se prima della pandemia e soprattutto della guerra, il driver principale nella scelta dei fornitori era, per la maggior parte delle imprese, il prezzo, ora è la certezza della fornitura. Con la stessa logica, Elga Europe sta lavorando per assicurare la propria supply chain: «Ho riavviato i contatti con molti fornitori che producono in Europa, in modo da avere pronto un piano B, nel caso di nuove tensioni geopolitiche che potrebbero colpire il nostro settore, in particolare a seguito della vicenda Cina-Taiwan», dice Favini.
Scelta analoga è quella fatta da Dinamica Generale, azienda di Poggio Rusco (Mantova), specializzata in tecnologie per l’agricoltura e soluzioni elettroniche e cloud per il medicale, circa 190 dipendenti nel mondo (di cui 120 in Italia) e un fatturato di 30 milioni di euro, per il 75% realizzato all’estero. «Negli ultimi tre anni abbiamo cercato fornitori non solo più vicini a noi, ma soprattutto più affidabili dal punto di vista finanziario e qualitativo – spiega Anna Ghiraldi, responsabile dello sviluppo prodotto della società –. Acquistare la parte elettronica in Cina, dove si ha meno controllo sulla qualità e sul rispetto dei tempi è una scelta che non conviene più». La Cina resta invece un mercato di sbocco interessante per l’azienda mantovana, che infatti ha aperto in quel Paese una sede commerciale, che si aggiunge a quella in Ucraina, mentre negli Stati Uniti e in Brasile ha due stabilimenti produttivi.
Anche la Friem di Segrate, che dal 1950 produce convertitori di energia ed esporta in tutto il mondo, ha acquisito lo scorso anno una società negli Stati Uniti: «È una piccola realtà, ma molto qualificata e strategica che ci permetterà di rafforzarci su un mercato in cui siamo cresciuti molto e in cui ci sono ancora ottime potenzialità di sviluppo», spiega Lorenzo Carnelli, ceo del gruppo, che oltre alla sede centrale nel Milanese (dove lavorano 120 dipendenti) e a quella americana, ha anche controllate in Indonesia, Brasile e a breve in Cile. Realizza all’estero il 90% del proprio fatturato (40 milioni nel 2022, che dovrebbero salire a 50 milioni entro fine anno). Circa sei anni fa, Friem ha iniziato a investire anche nei settori legati alla transizione energetica, come la mobilità elettrica e lo stoccaggio di energia in batterie. «Dal 2020, tuttavia, abbiamo deciso di focalizzarci sull’idrogeno verde, oltre che sul nostro business tradizionale, mentre gestiamo gli altri ambiti attraverso alleanze e joint venture internazionali», aggiunge Carnelli. Le prospettive di crescita sono elevate: «Oggi la produzione è tutta a Segrate, ma stiamo valutando anche investimenti nella parte produttiva – precisa il ceo – perché al momento siamo coperti, ma le aspettative di mercato richiedono una maggiore capacità. Stiamo valutando opportunità prima di tutto in Italia, ma eventualmente anche all’estero: l’aspetto più importante è mantenere la competitività».
Diversificare i mercati e gli ambiti di applicazione è la strategia seguita anche da una piccola realtà di Rezzato (Brescia) che dal 2011 sviluppa dispositivi radar UWB (Ultra Wide Band) di altissima precisione, in grado di rilevare anche i micromovimenti, destinati in particolare alla domotica, al medicale e all’industria. «Siamo partiti in quattro, da zero, e ora abbiamo raggiunto il milione di euro di fatturato – spiega il ceo Alessio Cacciatori –. Grazie all’ingresso nella società di un fondo di investimento, due anni fa abbiamo accelerato lo sviluppo delle tecnologie e stiamo cercando di aprirci anche a nuovi settori, in particolare l’automotive. Oggi i nostri clienti sono per il 90% esteri, soprattutto nord-americani e coreani».
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