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Le imprese alla sfida della qualità sul lavoro per attrarre talenti e arginare le dimissioni

Barone (Veneto Lavoro): «Non si può essere attrattivi senza garanzie minime su cui fondare la crescita e l’investimento reciproco» Sale la richiesta di formazione mirata a gestire lo stress e i cambiamenti Pezzoli (Niuko): «Il contesto deve aiutare i dipendenti a dare il meglio»

di Barbara Ganz

Sotto pressione. Le categorie al servizio delle persone fragili hanno visto peggiorare le condizioni di lavoro con la pandemia

3' di lettura

Le criticità nel mondo del lavoro si sovrappongono, e mentre si contano i posti scoperti e la distanza ancora esistente fra mondo della scuola e impiego si inizia a discutere di qualità del lavoro come antidoto su più fronti. I nodi scoperti sono molti.

I nodi

C’è il mismatch, con la domanda di figure che non si trovano: solo a marzo 2022 sono stati 5.280 i tecnici specializzati e operai meccanici e meccatronici ricercati dalle imprese in Veneto, 750 in più rispetto a un anno fa (+16,6%; Unioncamere-Anpal, Excelsior). Un dato ancora più marcato per le province di Padova e Treviso, dove le entrate previste sono state 2.050 (+25%). Segno che l’industria meccanica è un settore solido, capace di reggere il clima di incertezza, a elevato tasso di innovazione e proiettato nel futuro, ma le imprese meccaniche fanno fatica a trovare il 61,2% dei profili.

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La carenza di manodopera è trasversale e non risparmia la stagionalità: così il parco divertimenti Gardaland si è ritrovato a dover programmare alcune chiusure anticipate delle attrazioni, mentre per la ristorazione la Regione Veneto ha annunciato un tavolo di lavoro con le parti sociali. Ancora, le grandi dimissioni da contratti a tempo indeterminato: secondo l’ultimo report di Veneto Lavoro il fenomeno continua con numeri in crescita: nei primi cinque mesi dell’anno se ne sono registrate 51.600, il 32% in più rispetto al 2021 e il 35% in più rispetto al 2019, con una crescita particolarmente significativa per le donne (+47%) e per i lavoratori over 55 (+71%). Il 55% dei dimissionari proviene dal settore dei servizi, in particolare commercio-turismo (18%) e ingrosso-logistica (14%), il 35% dal manifatturiero e il 9% dall’edilizia.

Chiavi di lettura

È in atto una fuga da alcuni settori specifici verso altri? «No», afferma Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, che insieme all’analista Letizia Bertazzon ha affrontato il tema: cambiare lavoro fa bene al lavoro? « Se incrociamo il settore di provenienza con quello di destinazione dei ricollocati entro sette giorni dalle dimissioni possiamo vedere come in realtà grossi “travasi” non siano in atto: nel comparto industriale il tasso di permanenza è del 78%, nei servizi 75%, nel commercio il 46% si ricolloca in omologa posizione e un ulteriore 29% in altro settore del comparto dei servizi». In sostanza «la scelta di lasciare il lavoro, ed in questo le analisi proposte concordano ampiamente, rappresenta più una volontà di cambiamento per chi può e non una vera e propria fuga dal lavoro. In altre parole, si lascia un’occupazione per intraprendere una nuova esperienza lavorativa, tant’è che in moltissimi casi il passaggio dall’una all’altra è pressoché immediato». E cambiare significa ovviamente cercare situazioni migliori, in settori dove esiste una vera giungla di contratti: «Pensiamo alla logistica: ci sono persone alle quali si applica il contratto delle pulizie. È bene ricordare che, nel mercato del lavoro, non si può essere attrattivi e non si può essere oggetto di attrazione se non in presenza di garanzie minime sulle quali fondare un percorso di crescita e investimento reciproco potenzialmente destinato a durare».

La formazione

Il cambiamento in atto si riflette nella domanda di formazione: perché se la qualità del lavoro può essere la chiave di volta delle relazioni industriali, allora serve preparazione. «La pandemia ha rappresentato un elemento di rottura e di shock nelle vite di tutti ha portato molte persone, non solo i giovani, a porsi nuove domande di senso e ridefinire la loro scala di valori», spiega Marina Pezzoli, amministratore delegato di Niuko Innovation & Knowledge, ente di formazione che fa capo a Confindustria Vicenza, nel cui catalogo sempre più spesso entrano proposte innovative. Un cambiamento che si riflette anche sul lavoro: «Nella scelta dell’azienda in cui lavorare accanto all’elemento del salario pesano sempre di più altri fattori legati alla conciliazione vita-lavoro e al benessere organizzativo su cui le aziende sono chiamate a investire con sempre maggior decisione. Anche la formazione aziendale sta cambiando i propri modelli ed è oggi un elemento decisivo: le aziende capaci di offrire possibilità di formazione continua e di autoformazione, consentendo ai collaboratori di scegliere i loro percorsi anche in orario extralavorativo, risultano spesso più attrattive. Non solo. cresce la consapevolezza che la capacità di attrarre i giovani e non solo ha a che fare anche con l'attrattività del territorio a partire dalla rete di servizi che possono favorire la conciliazione. Se le grandi aziende possono strutturare autonomamente iniziative di welfare, le realtà più piccole sono chiamate a mettersi in rete», conclude.

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