SBAGLIANDO SI IMPARA

Le interazioni personali sono una questione (anche) di linguaggio

La rabbia spesso è la punta di un iceberg, un diversivo che nasconde o elude momentaneamente le emozioni e i bisogni più profondi della persona

di Veronica Giovale *

(AFP)

3' di lettura

Tra le parole maggiormente rilevanti del 2021 c’è la rabbia. Un’emozione indisciplinata che, quando si prova, infiamma tutto il corpo. Possiamo subire la nostra rabbia oppure esprimerla in modi diversi. Una domanda importante che abbiamo bisogno di porci, quando la rabbia scoppia improvvisamente, è “da dove proviene questa intensa emozione?”. La rabbia spesso è la punta di un iceberg, nel senso che diventa un diversivo che nasconde o elude momentaneamente delle emozioni e dei bisogni più profondi che la persona non riesce a riconoscere, accettare e quindi a esprimere nelle relazioni e nei contesti con cui sta interagendo.

Le interazioni tra le persone avvengono anche tramite il linguaggio e, spesso, le espressioni che utilizziamo sono modalità che abbiamo acquisito, più o meno consapevolmente, che ci permettono di creare ponti con le persone o muri insormontabili. Il linguaggio che utilizziamo e il significato delle parole che pronunciamo si legano anche alla cultura di riferimento. Mi vengono quindi in mente le diverse storie di persone che ho ascoltato in questi anni all’interno delle aziende che, con grande coraggio, hanno deciso di raccontarsi come esseri umani prima ancora che come ruoli all’interno delle stesse. Queste storie sono state condivise durante focus group che hanno preceduto dei progetti di inclusione. Le storie di Francesco e Anna ci aiutano meglio a comprendere di cosa stiamo parlando.

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Francesco ha 50 anni, è un manager che da poco tempo ha scoperto di avere la SLA. Non ha ancora avuto il coraggio di dirlo all’interno della sua azienda, anche perché gli viene assegnato un progetto strategico. Tra le varie paure che lo angosciano c’è anche quella di un rallentamento della sua carriera se comunica di avere la SLA. Il suo comportamento all’interno dell’azienda inevitabilmente cambia. Non accetta più riunioni fissate dopo le 19.00 di sera, non risponde più alle mail immediatamente, chiede permessi per le visite mediche e per riposare maggiormente quando il dolore improvviso lo costringe a rimanere a letto.

Anche se le performance rimangono, per il momento, costanti, le persone iniziano a comunicargli, anche attraverso il linguaggio, che hanno registrato il cambiamento di Francesco: “stanchino eh…”, “sei diventato un fancazzista”, “predichi bene e razzoli male, oggi fai part-time vedo”, “boss, ti vedo un po’ stanchino…inizi anche tu a perdere colpi”, “cosa è successo Fra, hai giocato a tennis ieri e ti è andata male? Hai bisogno della carrozzina?” e così via…

Anna è una donna di 36 anni, lesbica, con una compagna. Il prossimo anno si sposerà e ha il desiderio di diventare madre. Il suo “coming out”, o più precisamente, il “coming out of the closet”, che letteralmente significa uscire allo scoperto, è avvenuto in tempi piuttosto recenti, grazie a una consapevolezza maggiore maturata sia a livello personale sia da parte dell’azienda per la quale attualmente lavora.

Ecco alcune delle frasi che direttamente o indirettamente ha ascoltato o le sono state riportate. “Anna che è così femminile farà la donna, Ludovica farà l'uomo”,“secondo te chi di noi tre potrebbe essere una sua preda”, “si veste come una lesbica. Lo sarà pure”,“è un uomo mancato”,“in che senso ti piacciono le donne?”, “se io fossi in te, non direi di essere lesbica, non è rilevante. E' una questione privata”, “sono pieno di amici gay e lesbiche. Sono persone creative, sensibili, con una marcia in più. Le lesbiche poi fanno carriera perché hanno un non so che di maschile!”, “la mia amica lesbica non si offende se la chiamiamo lesbica”, “le persone omosessuali hanno avuto un’infanzia difficile, hanno qualcosa di irrisolto”, “quella è diventata lesbica dopo che ha divorziato dal marito. Quando incontrerà nuovamente uno che la fa innamorare, torna etero”, “quelle slide sono una frociata”, “scegliamo Alfonso come manager, Pietro è veramente troppo gay nei modi di fare…non vorrei che il team non si sentisse completamente sereno”.

Cosa possono aver provato Francesco e Anna ascoltando queste parole e cosa possiamo aver provato noi leggendo queste frasi? Cosa proviamo e quali comportamenti agiamo quando ascoltiamo in prima persona queste frasi? Con quanta cura scegliamo le parole con cui interagire con le persone e quale qualità umana e professionale hanno i nostri dialoghi con le persone? Quanto siamo disposti a riconoscere l’altro e noi stessi nella relazione e a rivedere il nostro linguaggio e quindi le nostre prospettive?

Un famoso filosofo del linguaggio, Ludwig Wittgenstein, afferma che “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Il linguaggio ha quindi il potere di abilitare o di inibire le persone. L’influenzamento reciproco degli esseri umani, a più livelli, è ormai riconosciuto dalle diverse discipline scientifiche e sociali. Senza contare che alcune delle frasi che noi pronunciamo con leggerezza e in completo automatismo, sono vere e proprie molestie verbali.

* Partner di Newton Spa


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