FIERA DI BOLOGNA

Le mie belle gonne zigane

di Rumer Godden

 L’illustrazione «Un mitjó diferent a cada peu. Testo di Joan Calçotets. Piscina un petit oceà, 2014» di Armand fa parte dell’esposizione «Sharing a Future: Books in Catalan»,

5' di lettura

Diddakoi.

Zingara.

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Zinghi-zingarella, ti tiriamo le budella.

Stracciona.

Mollette per il bucato. Chi vuole mollette per il bucato? solo che lo dicevano strano, con tono lagnoso.

Chi vuole dei fiori? e anche questo lo dicevano strano.

Diddakoi.

«Chiunque», disse in classe l’insegnante, Mrs Blount, “chiunque,” e i suoi occhi severi percorsero le file di banchi pieni di bambini e bambine, «prende in giro Kizzy Lovell o fa il prepotente con lei dovrà risponderne a me».

Ventotto paia d’occhi restituirono uno sguardo mite e innocente a Mrs Blount: «Figuriamoci se faremmo mai una cosa del genere», sembravano dire. Il ventinovesimo paio, gli occhi di Kizzy, erano fissi sul banco; le orecchie le bruciavano in modo curioso.

«Dovrà risponderne a me», ripeté Mrs Blount. «Non ci sarà un comportamento simile nella nostra scuola». E invece ci sarebbe stato; piccola e silenziosa, Kizzy lo sapeva.

«Kizzy dev’essere l’abbreviazione di qualcosa». Mrs Blount le aveva chiesto: «Qual è il tuo vero nome, cara?»

«Kizzy».

Mrs Blount aveva toccato un tasto dolente; nella famiglia di Kizzy, come accade in alcuni clan zingari, a un bambino vengono dati tre nomi: uno segreto, sussurrato dalla madre al momento della nascita, e, quando è cresciuto, sussurrato di nuovo all’orecchio del bambino; uno privato, cioè il nome del carro, che viene usato solo dalla sua gente; e un terzo nome, rivolto a tutti, che è il modo in cui è conosciuto dal resto del mondo. Kizzy ne aveva uno solo, ma questo perché lei era, come la chiamavano, una “diddakoi”, una zingara solo per metà. «Adesso non si dice più zingari. Si dice nomadi», spiegò Mrs Blount ai bambini. Il padre di Kizzy, di pura razza rom, aveva sposato una ragazza irlandese, ma Kizzy ai bambini sembrava una zingara ed erano un po’ attratti un po’ turbati dalla sua pelle bruna e dai piccoli cerchi d’oro che portava alle orecchie: nessuna delle altre bambine aveva gli orecchini d’oro. C’era un ragazzino che piaceva a Kizzy, il grosso Clem Oliver. «Pensavo che gli zingari avessero gli occhi neri», disse Clem Oliver. «I tuoi sono marrone scuro scuro. Sono belli... e questi sono carini». Sfiorò i cerchi d’oro e Kizzy si illuminò e disse: «Mia nonna porta due monete d’oro come orecchini, due sovrane».

«Non ho mai visto delle sovrane d’oro», disse Clem, rapito. Clem faceva sentire Kizzy più grande, non piccola e impaurita ma grande e tranquilla, pensò Kizzy. Clem però era in un’altra classe; lo vedeva soltanto durante la ricreazione, e gli altri la prendevano in giro. «Fanno di peggio che prenderla in giro», diceva Mrs Blount.

«Ma, Mildred, se proibisci alle persone di fare una cosa di solito non succede che gli viene voglia di farlo ancora di più?» le chiese Miss Olivia Brooke. La graziosa Mrs Blount – Mildred – e suo marito, Mr Blount, il giovane assistente sociale che aveva portato Kizzy a scuola, al momento abitavano da Miss Brooke al villaggio, mentre fervevano i lavori per la loro nuova casa; erano stati loro a parlarle di Kizzy. «Non funziona così?» chiese Miss Brooke.

«Ma questi sono bambini».

«I bambini sono persone, Mildred».

«Be’, tu cos’avresti fatto?». La voce di Mrs Blount si era alzata; non le piaceva che le spiegassero come comportarsi con i bambini; dopotutto aveva studiato per occuparsi di loro.

«Magari potevi interessarli alla bambina. Renderla romantica. Gli zingari...»

«I nomadi», la corresse Mrs Blount.

«A me piace il nome antico. Gli zingari hanno un lato romantico. Se magari avessi raccontato loro delle storie...». Ma Mrs Blount disse che preferiva usare i suoi metodi. E alla classe chiarì per bene: «Voglio che mi diate la vostra parola che non prenderete mai più in giro Kizzy». E chiese persino, un bambino alla volta: «Prometti?»

«Mary Jo, prometti?»

«Sì, Mrs Blount».

«Prudence Cuthbert, prometti?»

«Sì, Mrs Blount», disse Prue.

«Sì, Mrs Blount... Sì, Mrs Blount», le risposte arrivavano, docili e superficiali. Quello che Mrs Blount non sapeva era che ogni bambina incrociava le dita mentre prometteva. Kizzy lo vide dal suo banco in fondo alla stanza e seppe che non appena Mrs Blount fosse sparita sarebbe ricominciato tutto. Zingara... diddakoi... zinghi-zingarella, mollette... stracciona...

Kizzy era venuta a scuola con dei vestiti nuovi, o perlomeno così credeva. Diversamente dagli uomini nomadi, che spesso ordinano completi eleganti, le donne nomadi comprano di rado vestiti nuovi nei negozi; se li cuciono o se li fanno regalare o li comprano ai mercatini di seconda mano. Ma a Kizzy il suo vestito era sembrato nuovo di zecca; le piacevano la gonna scozzese e la maglia rossa più la giacca blu della scuola che tutti loro portavano, e le calze bianche, ma le bambine si erano messe a ridere: «Hai i vestiti di Prue Cuthbert», avevano detto.

«Sono miei», disse Kizzy.

«Adesso. Prima erano di Prue. La mamma di Prue li ha regalati a qualcuno e qualcuno li ha dati a te». Prudence Cuthbert era la peggiore tra le femmine. Quella sera Kizzy aveva ficcato i vestiti nel buco di uno dei vecchi meli del frutteto, un buco pieno d’acqua e foglie morte. Sua nonna l’aveva picchiata, ma a Kizzy non importava; nessuno avrebbe potuto portare quei vestiti dopo ciò che era successo, e il giorno dopo si mise quelli vecchi per andare a scuola. A lei o a sua nonna non era mai capitato di pensare che fossero vestiti insoliti, ma in classe avevano un’aria strana: un vestito floscio di cotone color lampone troppo lungo – dalla parte di sopra sbucava la canottiera – più un cardigan marrone che era stato di un ragazzino più grosso di Kizzy, ma che non era poi così grande se lei arrotolava le maniche; qualche bottone si era staccato, però la nonna aveva rimediato con due grandi spille da balia. Kizzy portava gli stivali di gomma sulle gambe nude: aveva lavato gli stivali, non le gambe, ma c’era ancora del fango attaccato. «Dov’è il cappotto?» chiese Mrs Blount.

«Non ho bisogno di un cappotto». Kizzy lo disse in tono sgarbato perché non aveva un cappotto e aveva paura che qualcuno gliene desse uno. Il suo abbigliamento sciupava la dignità della scuola, «e quei vestiti puzzano», diceva Prudence, arricciando il suo grazioso nasino. In effetti avevano un odore forte, ma non di sporco. La nonna li lavava spesso e li appendeva ad asciugare sulla siepe mentre Kizzy si avvolgeva in una coperta; odoravano di aria aperta, di fumo di legna, e un po’ del vecchio cavallo, Joe, perché lei spesso lo abbracciava.

«Abiti in una roulotte?» chiese Prue, e per la prima volta sembrava interessata.

«In un carro», disse Kizzy.

«È una roulotte. L’ho vista».

«È un carro», disse Kizzy.

«Nel frutteto dell’Ammiraglio Twiss. Lui vi permette di stare lì, ma tanto si sa che è matto».

«No che non è matto», disse Kizzy.

«Sì, invece. Lo sanno tutti. Fuori di testa. Svitato».

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