Le miserie della filosofia a scuola
In libreria Come non insegnare la filosofia di Massimo Mugnai, per i tipi di Raffaello Cortina Editore
di Mauro Piras
4' di lettura
“Non riusciremo mai a essere, per esempio, matematici, per quanto impariamo a memoria tutte le dimostrazioni degli altri, se non abbiamo anche intelligenza capace di risolvere qualunque problema; oppure filosofi, se avremo letto tutte le argomentazioni di Platone e di Aristotele, ma senza che siamo in grado di portare sicuro giudizio intorno agli argomenti proposti; così, in realtà, mostreremmo di avere imparato non le scienze, ma la storia” (Cartesio, Regole per la guida dell'intelligenza, 1628). Nei licei italiani, da circa un secolo, si insegna appunto la storia della filosofia e non la filosofia.
Riforma Gentile
Nel 1923 la riforma Gentile, come è noto, ha introdotto un percorso storico, di matrice hegeliana. Tuttavia, il suo progetto prevedeva la lettura e l'approfondimento di pochi testi di grandi autori, quindi un apprendistato filosofico esigente, fortemente argomentativo. Dopo pochi anni questo impianto, troppo difficile, viene abbandonato, e si passa ai “manuali”: la storia della filosofia viene riassunta in una carrellata di autori, dai presocratici ai giorni nostri, studiati uno dopo l'altro in ordine cronologico. Studiati si fa per dire: non si entra più nel vivo di una argomentazione, e si procede per “formule”.Così Talete è quello dell'acqua, Socrate quello del “so di non sapere”, Platone quello delle idee, Cartesio quello del “cogito”, Kant quello dell'“io penso” (che poi è la stessa cosa), Fichte l'incomprensibile “io che pone il non-io” e Hegel l'ineffabile e tombale “tesi-antitesi-sintesi”.
Si può fare un esperimento: prendere ex liceali di generazioni diverse e verificare che tutti ripetono ancora le stesse formulette, per quanto indietro si risalga nel tempo. Troverete sempre, per esempio, Leibniz con le sue “monadi”, anch'esse del tutto incomprensibili. Oggi, la differenza rispetto a, che so, quarant'anni fa, è che si legge qualche testo in più (ma non tanto) e che i manuali sono ipertrofici, indigesti e infatti utilizzati solo in minima parte. Se aggiungiamo che in Italia il “canone” comprende alcuni autori (cito a caso: Bruno, Vico, Croce) messi lì per ragioni di identità nazionale, si vede chiaramente che il tutto diventa solo un lungo percorso tra “opinioni” le più stravaganti.
Questo quadro viene illuminato crudelmente dal libro di Massimo Mugnai, Come non insegnare la filosofia. Mugnai parte da un'esperienza diretta di quello che gli studenti imparano al liceo: le prove di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, che ha corretto per quindici anni. Il risultato, se si pensa che si tratta degli studenti più motivati e preparati, è desolante: di solito, non sanno argomentare o ricostruire una argomentazione filosofica; hanno letto pochissimi testi o nessuno; ripetono a memoria le formule dei manuali; non sanno affrontare un problema filosofico in quanto tale, ma possono parlarne solo “contestualizzandolo” nell'epoca e nel resto dell'opera di un autore, cioè di nuovo ripetendo formule imparate a memoria. La filosofia, per i più, è un'infarinatura di “che cosa hanno detto” i filosofi nel tempo: serve a sapere che esistono, a esibire una cultura.È ovvio, la filosofia è un campo aperto, esistono tanti modi di pensarla e praticarla. Ma se vogliamo insegnarla a scuola (cosa non necessaria, come mostra l'esperienza di altri paesi) dobbiamo averne un'idea minima condivisa. Mugnai propone una definizione chiara e condivisibile: la filosofia esplicita i concetti fondamentali della nostra esperienza, quelli che operano in modo implicito nel nostro agire e pensare; serve quindi a chiarirli, e correggerli se necessario. Inoltre, la filosofia conosce anche forme di “progresso” della conoscenza, in ambiti circoscritti e specifici (per esempio in logica, o filosofia del linguaggio; o anche in filosofia morale, in un certo senso). Tesi queste che scandalizzano il “senso comune filosofico” prodotto dalla nostra formazione liceale e da un certo storicismo pervasivo in Italia, secondo cui la filosofia è inevitabilmente, da cima a fondo, figlia di un'epoca, e quindi “non c'è verità” in filosofia. Ma se questo fosse vero, non avremmo bisogno di studiarla se non come storia della cultura: non avremmo bisogno di confrontarci con i testi degli autori del passato. Che invece ci parlano, e con cui noi discutiamo.
Una “verità assoluta”
Questo non vuol dire che c'è una “verità assoluta” (spauracchio a cui nessun filosofo crede), ma che ci sono argomenti buoni e cattivi, e che fare filosofia significa argomentare, non ripetere teorie “tutte uguali”. Se sono tutte uguali, cioè non vere, è inutile studiarle, meglio fare altro.I due capitoli centrali del libro procedono con un'analisi attenta dei documenti ministeriali e soprattutto di alcuni manuali oggi in uso nelle scuole, confrontati con quelli di altri paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Austria, Germania, Spagna, Portogallo). Sarebbe poco utile riassumerli qui, è invece molto edificante leggerli direttamente, si vedono le mille vie degli sbandamenti della filosofia indotti da una burocrazia ottusa e dal mercato librario. Se avessimo a cuore non solo l'insegnamento della filosofia, ma la filosofia stessa, faremmo di tutto per eliminare questi deragliamenti causati da due sistemi sociali (Stato e mercato) fuori controllo.
Filosofia in modo sistematico
Infine, la proposta (anche qui, da leggere direttamente): impostare l'insegnamento della filosofia in modo sistematico, e non più storico. Sul modello dei paesi di lingua inglese, si dovrebbe studiare la filosofia per “ambiti”, ognuno ordinato secondo la sua struttura interna: logica, filosofia della scienza, etica, per esempio. I manuali, riflettendo un simile impianto, dovrebbero essere ridotti vistosamente di taglia e dare solo i fondamentali dei differenti ambiti. E ovviamente servirebbe una lettura diretta dei testi, in numero limitato. Tutto questo può essere discusso e ridefinito nei dettagli; per esempio, si possono proporre ambiti diversi, come l'ontologia, oppure una impostazione storica all'interno di certi ambiti (un percorso storico per filosofia morale o politica potrebbe avere senso). Purché si abbandoni il primato dello “storicismo a ogni costo” e si affrontino una volta per tutte l'argomentazione e la lettura dei testi. Il libro di Mugnai potrebbe essere l'inizio di un nuovo dibattito su questi temi. Speriamo.
Massimo Mugnai, Come non insegnare la filosofia, Milano, Raffaello Cortina Editore 2023, euro 15
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