Coronavirus, incubo economia in Germania, ecatombe in Spagna. Ora tocca alla Russia? Come il mondo affronta l’emergenza
La Spagna sta diventando come l’Italia ma il vero rebus sono gli Stati Uniti col mix di lentezze, cure sanitarie a pagamento e misure che cambiano da Stato a Stato. L’emergenza si diffonde dall’India al Brasile
di Angela Manganaro
12' di lettura
Il 18 marzo 2020 l'Europa diventa l’epicentro della pandemia da coronavirus. Il 25 marzo, una settimana dopo, si possono già scorgere due Europe: la Germania registra 40mila contagi e meno di 150 vittime ma la fiducia delle imprese a marzo è ai minimi dal 2009. La Spagna vede i contagi aumentare così tanto che non sa dove mettere i morti, supera la Cina con quasi 3.000 vittime, soprattutto a Madrid, l’unica capitale europea colpita duramente a due mesi dal probabile paziente zero in Europa, un tedesco di 33 anni con sintomi lievi, malato a casa dal 23 al 27 gennaio. Il 27 marzo gli Stati Uniti superano la Cina per numero di contagiati e confermano la previsione dell’Oms del 25 marzo: l’America potrebbe essere il prossimo epicetro della pandemia. Covid-19, è l’impressione, si sposta da est a ovest più che da nord a sud.
Due Europe
In Europa in Spagna e Germania vivono gli stessi giorni in modo differente: la Spagna come l’Italia è travolta da malati, vittime e ospedali in enorme difficoltà. La Germania, come per ora gli Stati Uniti, teme soprattutto per l’economia perché la conta delle vittime non è tale da creare diffuso allarme sociale e governativo. La Gran Bretagna è un interessante incrocio, vorrebbe avere le preoccupazioni della Germania ma teme palesemente di diventare come l’Italia.
I discorsi solenni
Il 18 marzo la cancelliera Angela Merkel parla ai tedeschi, quasi contemporaneamente Re Felipe parla agli spagnoli come ventiquattro ore prima fa il presidente Emmanuel Macron con i francesi. Quasi contemporaneamente il leader britannico Boris Johnson smentisce sé stesso e la sua strategia di far circolare il virus per immunizzare la popolazione a costo di perdere “le vite di molti cari”.
La Russia, una settimana di isolamento
Solo il 25 marzo anche la Russia non può più ignorare l’emergenza, il presidente Putin parla in diretta tv alla nazione e annuncia il blocco delle attività produttive non essenziali dal 28 marzo per una settimana a stipendio pieno per chi rimane a casa e lancia una quantomai inedita tassa sugli oligarchi. Soprattutto, Putin rinvia il voto sulla riforma della Costituzione grazie alla quale si potrebbe ricandidare alle presidenziali del 2024. Mosca sembra l’area più colpita, il 27 marzo si decide anche la chiusura di bar e ristoranti.
Il virus è ormai ovunque mentre la Cina dichiara per la prima volta contagi zero. Si stima che i principali paesi europei siano indietro di circa 7-14 giorni rispetto all'Italia ma nessuno si muove preventivamente nonostante il rischio non sia più solo ipotetico e nella lontana Asia. Ovunque mancano mascherine, respiratori e posti di terapia intensiva.
Male antico, contromisure vecchie e nuove
I governi, tuttavia, senza molta distinzione culturale e geografica - chi con più lentezza, chi con estrema fretta, chi con qualche distinguo - replicano il modello italiano. L’epidemia è un male antico, le misure per difendersi sono sempre le stesse. In più rispetto al passato c’è il controllo tecnologico della popolazione tramite app, tracciamento degli smartphone, droni. Ma il regime cinese non deve chiedere permesso, Israele è un paese sempre a un passo dalla guerra, in Corea del Sud cultura ed esercizio del potere hanno poco a che fare con la tradizione europea. In Italia e nella Ue, infatti, l’obiezione privacy non si supera così facilmente.
Francia, la Camera vota l’emergenza sanitaria
Nella notte tra il 21 e 22 marzo l’Assemblea nazionale vota il progetto di legge d’emergenza. Col voto si dichiara lo stato d’emergenza sanitaria che consente di limitare le libertà individuali per due mesi, stanziare aiuti alle imprese e rinviare il secondo turno delle municipali. Proprio il voto locale, primo turno il 15 marzo non rinviato, è il simbolo del colpevole lassismo con cui la Francia ha affrontato l’emergenza in arrivo. Mentre il pastore della Chiesa evangelica di Mulhouse chiede perdono per aver radunato duemila persone l'ultima settimana di febbraio e aver così innescato il primo grave focolaio del paese (lo stesso tragico errore della setta che ha favorito il contagio in Corea del Sud).
Solo il 16 marzo il presidente Macron adotta le prime restrizioni che hanno effetto da mezzogiorno del 17 marzo e per almeno 15 giorni. Vietati gli spostamenti, pena una sanzione di 135 euro. Si può uscire solo con una attestazione e per i seguenti motivi:
-andare a lavoro solo se non è possibile farlo da casa
-fare acquisti di prima necessità nei negozi autorizzati vicini a casa
-fare esercizio fisico da soli, vicino a casa e senza avvicinarsi a nessun altro
-visite mediche
-custodia dei figli o aiuto di persone vulnerabili a patto di mantenere le distanze
- chiuse le scuole in tutto il paese
- chiusi bar, negozi e ristoranti
I francesi chiamano tutto questo confinement, prigionia: poche ore prima dell'entrata in vigore delle misure, molti si accalcano nelle stazioni di Parigi per lasciare la capitale.
Il 19 marzo quattro scienziati, tra cui un epidemiologo e un matematico, scrivono una lettera aperta al ministro della Salute e chiedono l'uso generalizzato di mascherine, oltre ai test e alla quarantena per i contagiati.
Il primo fine settimana di primavera a Parigi la polizia rafforza i controlli nelle stazioni, gli agenti bloccano chi vuole partire per il weekend o le vacanze. Come l'Italia, anche la Francia aggiorna i numeri ogni giorno sul sito del governo francese. Il 23 marzo la situazione peggiora: il primo ministro Eduard Philippe chiarisce in diretta tv che lo jogging deve essere limitato una volta al giorno e a un chilometro da casa, e che gli amati mercati alimentari all’aperto vanno chiusi, a meno di diversa disposizione dei prefetti d’intesa coi sindaci.
Gran Bretagna, da “non chiudere niente” a “chiudere tutto”
I britannici volevano affrontare il virus in modo diverso dal resto del mondo: non resistergli, ma farsi infettare il più possibile per immunizzare la maggioranza della popolazione. La strategia dei due scienziati consiglieri del governo andava benissimo al premier Boris Johnson perché avrebbe voluto dire non fermare nulla e non far danno all'economia. Nonostante lo stesso Johnson in tv avesse ammesso che questa strategia avrebbe comportato la perdita “di molte persone care”. Altri scienziati, i medici dell'Imperial College e in particolare l'epidemiologo Neil Ferguson, hanno spiegato al premier che in questo modo 250mila britannici sarebbero morti entro l'anno.
Il 20 marzo Johnson è costretto suo malgrado a chiudere a tempo indeterminato bar, caffè, ristoranti e soprattutto i pub, scelta particolarmente dolorosa: “Dobbiamo sospendere l'antico diritto dei britannici nati persone libere di andare al pub. Uno strazio immenso”. Con meno pathos, chiude anche cinema, teatri, palestre. Contemporaneamente il governo allerta 20mila soldati e avvisa i riservisti. La grande preoccupazione non è un piccolo paese sperduto ma Londra: è nella capitale che si teme il focolaio più devastante.
Johnson promette aiuti alle aziende e dichiara che il governo si farà carico di coprire l'80 per cento del salari, “stavolta non penseremo alle banche ma ai lavoratori”: il riferimento è alla grande crisi del 2008. Il 21 marzo il governo assume un ex manager della Nestlè, Chris Tyas, con l'incarico di sovrintendere una war room e assicurare i rifornimenti alimentari a tutto il Regno. Il 22 marzo il governo ordina “milioni di kit per il test”. In questi milioni sono inclusi milioni di confezioni dell’esame sugli anticorpi in grado d'individuare le persone già immuni. Un test preventivo su cui il Regno Unito punta molto. Nelle stesse ore il premier Johnson decide di lasciare aperto il Parlamento e dice ai britannici: “Come numero di contagiati, siamo un paio di settimane dietro l’Italia, il paese più colpito. I numeri degli infettati aumentano, se non agiamo insieme e non rimanete a casa, finiremo come l’Italia”.
Appena tre giorni dopo, il 23 marzo, Johnson dichiara il lockdown con effetto immediato per tre settimane. Vieta tutti gli spostamenti non necessari: la polizia ha istruzioni di disperdere riunioni di persone e potrà comminare multe ai singoli. Il piano prevede la chiusura di tutti i negozi che non vendono beni essenziali, biblioteche, luoghi di culto, parchi giochi. Le persone possono uscire di casa solo per andare a fare la spesa, andare a lavoro se non possono da casa, aiutare persone malate o non autosufficienti, andare a correre ma solo una volta al giorno. Le misure potranno essere allentate dopo tre settimane se le cose andranno meglio.
All’inizio dello scorso weekend Johnson ha provato con le buone ma i giornali hanno documentato le folle di britannici e turisti ovunque nel weekend, il 23 marzo la raccomandazione è diventata divieto. Il 25 marzo l’annuncio: il principe Carlo erede al trono è positivo, il Parlamento vota per chiudere e sospendere i lavori fino al 21 aprile.
Spagna, la tragedia di Madrid
Il 20 marzo Madrid preoccupa gli scienziati di tutto il mondo, è la sola capitale europea colpita da un devastante focolaio: si calcola che muoia una persona ogni 16 minuti, le cremazioni proseguono 24 ore su 24. Il 25 marzo la Spagna è il paese con più morti della Cina, seconda sola all’Italia. Madrid è anche la stessa città che l'8 marzo, festa della donna, vede sfilare in piazza 100mila persone tra la sonnolenza di molti e la preoccupazione dei pochi consapevoli di cosa stava per accadere. In una sorta di schizofrenia, l’11 marzo il governo blocca i voli da e per l'Italia dieci giorni prima.
Il premier Pedro Sánchez, con la moglie e la sua ministra delle pari opportunità positive, si muove quando ormai la tragedia è in atto: il 16 marzo reintroduce controlli alla frontiera (solo cittadini spagnoli e stranieri residenti possono tornare nel paese) e chiude bar, negozi e ristoranti. Il governo spagnolo schiera l'esercito in sette città, tra le quali, oltre Madrid, Valencia, Saragozza, Siviglia.
Il 30 per cento degli infettati è costituito da medici, infermieri, personale sanitario.
Germania, caos Lander ma poche vittime
Dall’inizio, al contrario di altri paesi la Germania non ignora la minaccia dell'epidemia ma tiene un basso profilo con il Robert Koch Institut, istituto governativo che si occupa di salute pubblica e malattie infettive, che fino a inizio marzo rassicura sul monitoraggio dei casi.
L'11 marzo la cancelliera Angela Merkel rompe la strana quiete: il 60-70% dei tedeschi sarà contagiato, dice, questa è la sfida più grande dalla seconda guerra mondiale. A un simile drammatico annuncio non seguono conseguenti misure se si eccettua la chiusura di scuole, bar, negozi e alcuni fabbriche come gli stabilimenti della Volkswagen.
La Germania sconta la sua composizione federale, ogni land si muove per fatti propri, il risultato è un paese che non si muove in un’unica direzione. Un esempio: le regole per evitare i contatti tra la gente. Fuori casa, all'aria aperta, si può essere non più di 3 persone a Stoccarda, non più di 5 in Renania-Palatinato, non più di 6 ad Amburgo.
La libertaria Berlino non ha ancora deciso al contrario della Baviera che anticipa i tempi: il 20 marzo limita drasticamente spostamenti e circolazione. Il grande ricco land del sud che guarda la simile Lombardia e teme, adotta il modello italiano. Monaco si avvia a somigliare a Milano.
La cancelliera Merkel convoca i governatori per domenica 22 marzo, l'obiettivo è un piano nazionale il più possibile unitario e dunque incisivo. La Germania registra tuttavia una grande differenza rispetto all'Italia: l'andamento del numero dei contagi è simile ma le vittime sono infinitamente di meno. Anzi la Germania è il paese con più contagi dopo Cina, Italia, Iran e Spagna ma è anche quella che registra pochissime vittime. Un’anomalia. Basta un confronto: Francia, poco più di 9mila casi e 243 morti; Germania: quasi 14mila casi e 42 morti. Anche per questo gli epidemiologi tedeschi litigano sulla necessità di adottare misure drastiche come la Cina e l'Italia, c'è chi ritiene la serrata non epidemiologicamente motivata.
Il 22 marzo Merkel incontra i governatori e decide di non chiudere niente tranne parrucchieri e centri estetici: confida nel buonsenso dei tedeschi, dice che si può uscire a fare quattro passi ma non più di due persone alla volta, isolarsi è la parola d’ordine. Il giorno dopo deve mettersi in quarantena: è entrata in contatto con un medico positivo al virus mentre il suo governo vara una manovra piano da 150 miliardi di euro per sostenere aziende e lavoratori.
Quel Nord Europa che si chiude in silenzio
La Finlandia chiude bar, ristoranti, night, scuole. Scuole chiuse anche in Danimarca e Norvegia che hanno esteso le misure restrittive fino al 13 aprile. La Norvegia ha chiuso le frontiere, impedisce di entrare nel paese a stranieri che non vivono e lavorano nel Paese e vieta a chiunque di andare nelle baite di montagna, vieta riunioni all’aperto con più 5 persone e chiede una distanza di due metri tra le persone a meno che non si viva nella stessa casa. Al contrario di tanti altri Paesi, il governo norvegese non pretende dai propri cittadini di stare a casa, li invita soltanto.
Stati Uniti, la grande incognita
Il 25 marzo 15 Stati impongono il lockdown: seguono l’esempio di New York, Washington, Oregon, Michigan, Indiana e Massachusetts, Wisconsin, Delaware e New Mexico. Quasi 150 milioni di americani in isolamento, la metà dell’intera popolazione. Il 22 marzo, gli Stati Uniti diventano terzo paese per numero di contagi, con 25mila casi sono subito dietro Cina e Italia. Potrebbe essere il prossimo epicentro della pandemia, dichiara l’Oms.
Fino ai primi giorni di marzo la strategia del presidente Donald Trump era minimizzare l'emergenza esplosa negli altri paesi come a gennaio e febbraio aveva ignorato i ripetuti allarmi dell'intelligence americana (ma lui dice che non è vero, nessuno lo ha avvertito in tempo). Complici i crolli a Wall Street e le elezioni a novembre, il presidente cambia registro. Promette miliardi di aiuti all'economia e soldi a ogni cittadino, “molto più di mille dollari”. Alla fine la sua amministrazione riesce a varare un maxi piano da 2mila miliardi ma la mancanza di un piano sanitario nazionale è lampante.
Nel frattempo i singoli stati decidono in ordine sparso con California e Florida che dichiarano lo stato d'emergenza a inizio marzo e New York che alza una simbolica bandiera bianca il 20 marzo quando, dopo la chiusura di bar e ristoranti, annuncia che quasi tutti lavoreranno da casa. Il 21 marzo gli Stati Uniti contano 17.500 casi e e 225 morti ma sono tutti consapevoli e da tempo che il virus circola e che le stime ufficiali sono ben lontane dalla situazione reale. L'atteggiamento ondivago di Trump e la sanità americana a pagamento con il sistema di test che non segue le direttive Oms fanno del coronavirus una minaccia di cui non si capisce ancora bene la portata.
Nello sterminato Paese il panorama di misure è frastagliato. Molti stati e molte grandi città come New York hanno chiuso le scuole. La California raccomanda l'autoquarantena agli over 65 e chiede ma non ordina a bar e ristoranti di chiudere (ordine perentorio invece, in Ohio e Illinois). Il Massachussetts vieta assembramenti con più di 25 persone il che comporta l'annullamento di eventi sportivi e non solo, nonché la chiusura di cinema, palestre, centri benessere; bar e ristoranti possono fare solo consegne a domicilio e preparare piatti da portare via.
A livello federale, le autorità sanitarie raccomandano agli americani di evitare posti affollati, lavorare da casa e autoisolarsi per rallentare la diffusione del contagio. Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, dice però che tutto questo non basta, vede ancora troppe persone in bar e ristoranti.
India, blocco totale (o 1 milione di contagi entro maggio)
India in pesante isolamento dalla mezzanotte del 25 marzo, ha deciso il premier Narendra Modi. Il lockdown riguarda anche Nepal, parti del Pakistan ma è la sterminata India che rischia un milione di contagiati entro metà maggio. Previsione che ha indotto il governo di Modi a scelte drastiche : chiuse aziende e scuole, bloccato il trasporto aereo e ferroviario nonostante sinora si registrino 482 casi e nove morti in piccoli villaggi e non nelle grandi città. Il vicino Bangladesh ha schierato l’esercito per far rispettare le distanze sociali di almeno un metro.
Pakistan, l’esercito in campo
Anche il Pakistan con 900 casi, è impegnato a bloccare sul nascere la diffusione: chiuse scuole, centri commerciali, ristoranti, cinema, piscine, vietati banchetti nuziali. Aperti solo alimentari e farmacie con l’esercito chiamato a sorvegliare.
Israele, sorveglianza cyber per 30 giorni
Israele ha chiuso il traffico aereo con l’Italia a inizio marzo ma solo da domenica 22 ha introdotto misure severe perché i casi sono quasi mille con 20 pazienti in condizioni gravi: si può uscire di casa solo per andare a fare la spesa, in farmacia, per visite mediche, donare sangue, comparire in tribunale, partecipare a riti religiosi, a funerali e matrimoni purché non vi siano più di 10 persone. Sport permesso ma non più di due persone insieme come non più di due persone possono viaggiare sulla stessa macchina. Le aziende che violano le regole rischiano multe e carcere fino a sei mesi. Il governo punta a potenziare i test ma ha anche detto che sorveglierà i cellulari della popolazione per 30 giorni per avvertire chi senza saperlo è entrato in contatto con un contagiato.
Olanda, un caso a parte
L’Olanda punta a un “lockdown intelligente” pur avendo già annullato gli esami di maturità. Il premier Mark Rutte che il 23 marzo dice di voler rafforzare il divieto di incontri pubblici e assembramenti di ogni genere e di voler estenderlo fino al primo giugno. Il governo olandese, che assieme a quello tedesco si oppone ad aiuti a Italia e Spagna senza fissare paletti, promuove in patria un “isolamento mirato”: la polizia ha il potere di disperdere gruppi di persone che non rispettano le distanze. No all’isolamento totale, meglio un isolamento intelligente (con multe da 400 a 4000 euro), dice Rutte che conferma la chiusura di scuole e ristoranti ma pensa anche a restrizioni per funerali, matrimoni e mercati.
Il “grande esperimento” in Svezia
La Svezia ha imboccato un’altra strada rispetto al resto della Scandinavia, dell’Europa, del mondo. “Grande esperimento” lo chiama un esperto di salute pubblica. L’esperimento consiste nel non chiudere scuole fino a 16 anni, tutto rimane aperto per ora, la gente va a lavoro, i bus e i treni dei pendolari sono pieni. Unica cosa vietata gli assembramenti di 500 persone, uniche istituzioni chiuse gli atenei, unica raccomandazione, rimanere e lavorare da casa se possibile. Unico ordine a bar e ristoranti, non servire al bancone ma ai tavoli. Il 26 marzo i numeri sono ancora bassi, 2.000 contagi e 33 morti e il consigliere epidemiologo del governo, Anders Tegnell, tranquillizza tutti ma non mancano le voci critiche verso questo approccio minimale. “Il governo svedese si sta prendendo un enorme rischio con la salute pubblica, dice Joacim Rocklov, epidemiologo dell’Umea University citato da Financial Times, un enorme azzardo: noi sappiamo ancora poco ancora del coronavirus”.
America Latina, un potenziale disastro
Il virus avanza anche in America Latina ma i paesi reagiscono in ordine sparso con presidente brasiliano Bolsonaro che nega la gravita della situazione e parla di “isteria da virus”. Qui una scheda Paese per Paese.
Articolo aggiornato il 27 marzo
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