Interventi

Le norme europee, i titoli sovrani e le spine della Bce

di Stefano Micossi

(IMAGOECONOMICA)

3' di lettura

Un affollato seminario della Fondazione Astrid ha avviato nel nostro Paese la stagione della discussione sul futuro del Patto di stabilità e crescita – mentre si moltiplicano sul tema i paper degli economisti. Inizierei da due premesse, una analitica e una metodologica. Quella analitica è che, mentre un aumento del disavanzo pubblico nel breve periodo sostiene la crescita, non è detto che questo sia vero anche nel medio termine, ad esempio se la spesa pubblica aumenta le inefficienze nell’allocazione delle risorse. L’aumento del debito pubblico (oltre certe soglie non ben note) a sua volta produce effetti avversi, generando attese di maggiori imposte future e timori tra gli investitori sulla solvibilità del debitore. Di questi aspetti nel nostro Paese si discute poco. La narrazione è che più spesa pubblica fa bene all’economia (di certo fa bene ai partiti), quindi anche vincoli europei più laschi sul debito sono una buona cosa. Si bada poco al fatto che il nostro debito pubblico crescente è coesistito ormai per diversi decenni con crescita e produttività decrescenti, fino quasi alla stagnazione.

La premessa metodologica è che il Patto di stabilità fu introdotto prima dell’avvio dell’euro come protezione contro i comportamenti devianti di un Paese membro nella gestione della propria finanza pubblica – o della politica economica – con possibili spillover sulla stabilità finanziaria dei partner e dell’eurozona (l’Unione) nel suo insieme. L’obiettivo era di limitare comportamenti “estremi”, lasciando liberi i Paesi membri di perseguire le proprie politiche economiche nazionali. Si tratta ora di valutare se quella impostazione è ancora valida, o se la revisione del Patto debba proporsi maggiori ambizioni in materia di coordinamento europeo delle politiche economiche nazionali.

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Si tratta in primo luogo di decidere se i parametri di Maastricht – il 3% del disavanzo, in rapporto al Pil, e il 60% del debito – sono ancora validi riferimenti, oppure vadano modificati. La modifica dei valori di riferimento è temuta dai Paesi “frugali” del Nord, che ne paventano il segnale lassista che si darebbe all’opinione pubblica e ai Paesi del Sud; ma, almeno per il debito, mantenere il valore del 60%, in un sistema economico nel quale il rapporto debito/Pil è al 100%, non aiuterebbe a mantenere la credibilità del Patto, obbligando a disegnare sentieri di aggiustamento per i singoli Paesi molto prolungati nel tempo (ancora più difficile sarebbe differenziare i Paesi secondo la qualità delle spese lungo la traiettoria di aggiustamento).

Il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ritiene che lavorare sul sentiero di aggiustamento possa rivelarsi accettabile per i partner tedeschi. Alcuni studiosi italiani (Amato, Bassanini, Messori e Tosato) hanno ipotizzato un rafforzamento molto più incisivo del Patto, che si spinga a vincolare i Paesi membri con una metodologia simile a quella applicata ai Pnrr nazionali, che implica la fissazione di dettagliati obiettivi quantitativi e qualitativi (forse sottovalutando che il Pnrr dà soldi, mentre il Patto tende a toglierli). Altri vedono l’occasione propizia per avanzare nell’istituzione di una capacità fiscale europea permanente (Bordignon, Cottarelli, Pisauro), tenendo conto degli investimenti richiesti dalla transizione verde. Il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner ha liquidato questi ragionamenti dicendo che gli investimenti necessari li faranno i privati (in realtà sta pensando di finanziarli anche con spese pubbliche one-off fuori bilancio). Non appare probabile un progresso in queste direzioni, finché non si vedrà come stanno funzionando i Pnrr nazionali, quello italiano in primis.

Infine, dovremo anche decidere che cosa fare dei debiti sovrani accumulati dal sistema europeo delle banche centrali nazionali. Il problema nasce perché, a norma dei trattati, è probabile che la Bce non potrà detenere quei titoli quando le ragioni di politica monetaria che avevano portato a quegli acquisti verranno meno.

Fin dal 2019 ho avanzato la proposta fare acquistare questi titoli dal Mes, il Fondo salva Stati; un mio paper recente riformula la proposta in modo compatibile con le norme europee, rendendo lo schema attuabile in concreto. Cottarelli ha proposto di lasciare i titoli sovrani nella pancia della Bce, riducendo la liquidità in eccesso con una nuova riserva obbligatoria sulle banche, ma non si pronuncia sulla fattibilità legale della proposta. Su questo terreno si sono cimentati anche, con separati contributi, Saraceno e Giavazzi, insieme ad altri colleghi economisti; le loro proposte hanno molti aspetti interessanti, ma non mi paiono coerenti con lo stato attuale dei trattati europei.

La questione è spinosa, ma il ritorno dell’inflazione, con la connessa esigenza della Bce di liberarsi dei titoli sovrani in portafoglio per riassorbire la liquidità in eccesso, ne accelererà l’avvicinamento al tavolo del Consiglio Ecofin.

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