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Le novità del Piano di digitalizzazione del patrimonio culturale

Circolazione delle immagini, business model digitali e nuove professioni

di Giuseppe Cosenza e Marilena Pirrelli

«Apollo e Dafne». Il gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini realizzato tra il 1622 e il 1625 è esposto nella Galleria Borghese di Roma. Il profilo di Apollo è nel logo del Ministero della Cultura

3' di lettura

Il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (Pnd) previsto dal Pnrr Cultura 4.0 introduce diverse novità nel settore culturale statale e quindi in ambito nazionale. La prima novità riguarda l’introduzione della licenza d’uso che sostituirà l’autorizzazione all’uso delle immagini. Non verrà applicato il copyright e i servizi digitali potranno essere oggetto di concessione o di utilizzo tramite partenariati speciali pubblico-privato. Poi si attendono, a breve, norme certe riguardo lo sfruttamento dei prodotti digitali Nft. Il Piano pone le condizioni per nuove professionalità digitali, come i digital curator, i cultural project manager e gli economisti della cultura, i quali però non sono oggetto di assunzione immediata e si rimanda a successivi bandi di concorso per l’ingresso nel MiC. Sono previste borse di dottorato di ricerca finanziate dal Pnrr, in accordo con il Miur.

«Nel Piano presentato vi sono queste novità – spiega Laura Moro, direttore della Digital Library del MiC –, si calano su una realtà molto diversificata e non sono prescrittive. È una proposta fatta agli istituti al fine di creare un ecosistema. I percorsi di attuazione sono tre, il primo viene svolto a livello centrale, il secondo nelle articolazioni del patrimonio del MiC e il terzo viene attuato nei singoli luoghi della cultura».

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L’applicazione avverrà secondo due modelli: «L’aggregazione e la federazione - prosegue Moro - in base ai diversi livelli di maturità digitale posseduta. Le istituzioni mature che hanno già avviato percorsi di transizione digitale sono pronte per essere federate a un hub nazionale fatto da un’infrastruttura informatica, regole, policy, software e servizi e potranno scegliere quali servizi abilitanti utilizzare. Le strutture non mature possono aggregarsi all’hub nazionale».

Il Piano favorirà le collaborazioni con i privati per sviluppare nuovi modelli di business. «Nelle “Linee guida per la classificazione di prodotti e servizi digitali, processi e modelli di gestione” il percorso di innovazione dei modelli di business è già tracciato. Ne immaginiamo quattro che corrispondono ad altrettanti diversi profili di operatori e di utilizzo dei dati. Nel primo, a libera fruizione, è reso usufruibile il patrimonio culturale agli operatori e alle aziende. Nel secondo, di valorizzazione culturale, si prevede la creazione di contenuti sui dati disponibili: sarà necessario il contributo del terzo settore e delle imprese. Nel terzo modello, di valorizzazione economica, si apre alle imprese culturali e creative per nuovi modelli di business digitali e di nuovi servizi. Ad oggi stiamo creando uno spazio abilitante dove rendere i dati disponibili, tra un anno vi saranno le condizioni per partire. Nel quarto modello di business si mette al centro l’esperienza dell’utente/visitatore finale prima, durante e dopo la visita» prosegue Moro.

Incrementare i ricavi e allargare il pubblico

Il tradizionale modello di business dei musei statali è basato su ricavi da biglietteria e dai contributi pubblici. «Non vogliamo scardinare il modo con cui funzionano le istituzioni culturali in Italia, basato sul finanziamento pubblico e sugli introiti da biglietteria (archivi e biblioteche si basano solo sul primo finanziamento). Avere maggiori ricavi anche attraverso il digitale non è l’unico obiettivo: vogliamo allargare il pubblico e seguirlo nel post-visita. Vogliamo introdurre, in collaborazione con il Miur, borse di studio per dottorati innovativi per figure professionalizzanti a tema digitale, culturale ed economico che ci aiuteranno a perseguire questi obiettivi».

La sfida dell’open access

C’è grande attesa su come funzionerà la circolazione delle immagini e la riproduzione dei beni culturali. «Non abbiamo introdotto innovazioni normative, ma ordinato un settore fatto da diverse regole non armonizzate tra loro e abbiamo studiato l’open access. L’uso delle immagini e delle riproduzioni del patrimonio statale non è liberalizzato totalmente e ciò ha polarizzato il dibattito nazionale: si crede che l’assenza di una licenza open access impedisca la possibilità di fare business. In realtà l’open access si porta dietro tre concetti, il primo quello della licenza, il secondo dell’accessibilità e il terzo dei formati digitali. L’innovazione più importante consiste nell’introdurre la licenza d’uso che sostituirà l’autorizzazione e la non applicazione del copyright. Finalmente i privati che sfruttano immagini o riproduzioni per fini commerciali avranno ben chiaro quanto pagare e a quale ufficio rivolgersi» spiega Moro.

Una piattaforma per il ticketing

Infine, bisogna affrontare la sostenibilità delle visite virtuali e dei servizi digitali forniti oggi gratuitamente dai musei. «Dobbiamo ragionare per gradi: i primi due passi da compiere sono quelli di mettere a disposizione i contenuti per la creazione di servizi e un market place e poi realizzare piattaforme proprietarie per la monetizzazione dei servizi offerti. Ad esempio, non abbiamo una piattaforma di ticketing online per i musei e ciò fa perdere molti introiti. Insieme alla Direzione generale Musei stiamo progettando un sistema di biglietteria online che includa piccole e grandi istituzioni culturali» conclude Moro.

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