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Le nubi che si addensano sul mercato cinese per le imprese italiane

Il mutamento delle condizioni economico-politiche ridisegna il modo importante l’ambiente in cui si muove il business dei prodotti occidentali

di Alfonso Emanuele de León *

(EPA)

3' di lettura

Dopo decenni di convergenza tra l’economia cinese ed il sistema economico mondiale, momento simbolicamente suggellato dall’ingresso della Cina nel WTO nel 2001, gli ultimi anni hanno segnato una marcata inversione di tendenza. Il processo era iniziato ben prima del Covid, più di un decennio fa, con i media cinesi che dai giochi olimpici di Pechino 2008 cominciavano a proclamare che questo sarebbe stato il secolo della Cina, secolo nel quale avrebbe raggiunto la supremazia mondiale, con un crescente senso di nazionalismo e di autarchia economica.

Il processo si è poi acuito non solo con l’isolamento cinese in questi tre anni di Covid, ma anche con il terzo mandato di Xi Jinping confermato lo scorso ottobre (evento storico e senza precedenti) e contemporaneamente una marcata svolta a sinistra di politica economica con la retorica della “common prosperity” di cui parleremo tra poco.

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Per le aziende occidentali questi fatti rappresentano una svolta nella percezione del potenziale del mercato cinese nonché del suo rischio, con la necessità di effettuare una review strategica del mercato.

Infatti, se da un lato l’accentramento del potere tutto sommato permette una maggiore agilità di manovra alla leadership politica, anche e soprattutto in campo economico, dall’altro si aprono tre fondamentali interrogativi di breve termine:

1) Macro politico: le tensioni con Taiwan ed il rischio di un potenziale conflitto nel Pacifico. Anche senza una full escalation militare solo pensare a sanzioni economiche nei confronti della seconda più grande economia mondiale ridefinirebbe completamente l’economia globale.

2) Evoluzione del mercato cinese: l’ultimo anno di zero Covid policy ha pesato significativamente sull’economia cinese che eravamo abituati vedere crescere non meno di un 7-10%. Nell’anno dei lockdown, il 2022, la Cina è cresciuta solo del 3,0% e le radicali riaperture effettuate negli ultimi giorni del 2022 hanno generato un’onda enorme di infezioni che non potrà non avere un impatto sulla crescita del 2023. Ma al di là del Covid, sul mercato da ormai un decennio aleggia l’ombra di una bolla immobiliare di dimensioni confrontabili a quella americana del 2008-2009.

3) La nuova politica economica cinese: è anche possibile che la nuova politica economica e sociale porti il mercato cinese ad essere molto diverso dall’attuale sotto la spinta di due fattori.

Il primo riguarda il nazionalismo economico e la spinta autarchica. Esiste già un nome per questo fenomeno: Guo Chao, letteralmente “corrente nazionale” e più volte negli ultimi anni con mano ho sperimentato come i consumatori comincino a favorire marchi locali rispetto ai prodotti stranieri. Nel mio settore della cosmetica il fenomeno è già molto evidente sia nel mass market che nel segmento intermedio del “masstige”, dove brand cinesi nati da meno di un decennio hanno cannibalizzato le quote di mercato tradizionalmente occupiate dai marchi intermedi coreani. Nei mercati di alta gamma dove giocano le aziende italiane siamo solo agli albori di questo fenomeno.

Il secondo fattore riguarda la nuova narrativa di sinistra di “common prosperity”. Nell'ultimo ventennio la Cina è diventato uno dei Paesi più capitalisti al mondo, con delle disparità sociali evidenti. Da qui il cambio di linea guida economica negli ultimi due anni, con l’obiettivo di riduzione delle disuguaglianze ed una priorità all’allargamento del ceto medio anziché ceto alto, la lotta allo strapotere dei grandi gruppi del mondo digitale e tecnologico con la marginalizzazione degli imprenditori una volta oggetto di culto come Jack Ma di Alibaba, e la lotta agli “stili di consumo aberranti” sui social media.

Scelte tutto sommato sotto alcuni aspetti condivisibili perché a volte il comportamento dei nuovi ricchi cinesi rasentava il grottesco, e inoltre non molto distanti da alcune posizioni in occidente di riduzione delle disuguaglianze: ma le implicazioni di un consumo più democratico rappresentano una minaccia per i nostri beni d’importazione che comunque rimangono sempre un bene di lusso nel marcato cinese.

Probabilmente non sarà più la Cina dell’ultimo ventennio, dove qualsiasi bene occidentale incontrava di fronte a sé un appetito smisurato e praterie pressoché illimitate da conquistare. Indipendentemente dall’approccio che abbiano adottato fino ad oggi le aziende italiane, alla luce del cambiamento del mercato e delle incognite che si presentano urge una review strategica del mercato cinese. Ne parleremo nel dettaglio nel prossimo articolo della serie Go East!.

* Partner presso FA Hong Kong Consulting


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