Le nuove generazioni bevono vini freschi e versatili: ecco come cambiano i gusti
Stanno passando di moda i vini molto strutturati, alcolici e con “molto legno” a favore di spumanti, vini rifermentati in bottiglia e anche del Lambrusco doc che nel Nord America rileva dati di crescita significativi
di Cristiana Lauro
2' di lettura
I gusti e i consumi di vino hanno avuto negli ultimi anni un evidente cambio di rotta. Fino a una decina di anni fa le scelte dei consumatori miravano soprattutto a connotati di struttura, dominanza di legno (da botte più o meno grande, la quale gioca il suo campionato olfattivo e gustativo) e a un grado alcolico sostenuto, mentre oggi si registra la ricerca di tutt’altre caratteristiche.
Se parliamo di trend – per inciso – mi auguro che ci saluti a breve quello degli orange wine, giacché i vini che faceva mio nonno erano a tutti gli effetti orange wine. E trovatemi un esperto in materia che li ricordi con nostalgia.
Ma passiamo a temi più concreti. In Italia è cresciuto il consumo di spumanti, dei vini rifermentati in bottiglia e anche del Lambrusco doc che nel Nord America rileva dati di crescita davvero significativi.
Come si spiega questo orientamento di mercato? A mio avviso i consumatori – soprattutto le nuove generazioni – sono più consapevoli e orientati principalmente su vini “gastronomici”. È una variante di gusto che facilita l’abbinamento a tutto pasto con una gradazione alcolica non eccessiva, laddove il frutto – la parte vinosa insomma – esce con maggiore agilità e freschezza.
Il nord Europa – o meglio i Paesi scandinavi che sono soggetti ai monopoli di Stato, tanto quanto il Canada – si comportano più o meno allo stesso modo. Sono allineati su questo tipo di bevuta, solo che lì l’ordine di scuderia è la sostenibilità, quindi: certificazioni, certificazioni, certificazioni!
Per quanto riguarda il mercato asiatico – rappresentato principalmente da Cina e Giappone – riscontriamo due tendenze differenti, quasi opposte. Contrariamente a quanto si dia per scontato da chiacchiere di corridoio, la richiesta cinese è dominata da etichette “entry level” e il gusto corrisponde a quello che fu italiano intorno alla fine degli anni Novanta.Vini morbidi, con gradazione alcolica sostenuta e concentrati. Poi forte struttura e, possibilmente, sentori di legno in evidenza. Al tempo – con soluzione più sbrigativa che esauriente – li chiamavamo vini “mangia e bevi”, ma la sintesi funzionava.
Il Giappone fa un percorso a sé rispetto alla Cina, ma è un grande importatore di vino italiano. Anche qui registriamo le stesse tendenze gustative dell’Italia e del Nord America, quindi un mercato più evoluto, più colto che va a cercare vini freschi e versatili. Forse più autentici, aggiungo io, e qui la chiudo.
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