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I conti pubblici sono fuori controllo. E questa non è una novità. Ma una novità c’è: la campagna elettorale continua, con le forze di governo che un giorno sì e uno no tirano fuori dal cappello promesse sempre più impegnative e onerose. Numeri e fatti parlano chiaro. È bene ricordarli. La correzione strutturale minima che si sta trattando con l’Europa per evitare la procedura d’infrazione richiede interventi per almeno 8-10 miliardi. La sterilizzazione delle clausole Iva, necessaria per evitare l’aumento delle aliquote, significa 23,1 miliardi. Le spese indifferibili che servono a garantire il funzionamento della macchina amministrativa pesano per altri 2-3 miliardi circa. Il totale si aggira intorno a 34-36 miliardi. Non solo. La Lega considera la flat tax irrinunciabile, il che significa altri 10-15 miliardi.
La somma è davvero importante e il conto è perfino stimato al ribasso. Nonostante ciò, in un crescendo rossiniano, le promesse da campagna elettorale continuano a tutto campo, con Lega e M5s che sembrano impegnati nella gara a chi le spara più grosse. Sia con provvedimenti che, se approvati, peseranno non poco sui conti pubblici. Sia con interventi normativi destinati a rappresentare costi aggiuntivi per le imprese. Sul versante M5s si va dal salario minimo, che vale 6,7-7 miliardi, al ritorno della scala mobile, proposto dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico e ancora non quantificabile. Contemporaneamente è partito un fuoco di sbarramento che sta seminando tempesta nel mondo delle imprese. Prima di tutto interventi normativi che, se approvati, cambiano le regole del gioco con effetto retroattivo: dall’Ilva, con la proposta di modifica della normativa sulle responsabilità pregresse in materia d’inquinamento ambientale, alle concessioni, per il momento mettendo nel mirino quelle autostradali ma seminando timori e incertezze generalizzate.
Il tutto in uno scenario che vede i cantieri continuare ad essere bloccati, la Tav rimanere nel limbo delle incertezze, lo stop alle trivelle diventare realtà.
Non è chiaro quanto sia per scelta o superficialità, incapacità, improvvisazione. Resta il fatto che la politica continua ad impegnarsi in risse all’ultima battuta verbale e le sortite sui social network restano la priorità assoluta. Peccato che la realtà prepari un futuro prossimo poco rassicurante. In particolare il prodotto interno lordo è inchiodato a una crescita zero e il debito pubblico tende ad aumentare i ritmi d’incremento. Certo ci sono delle eccezioni. Il grande successo dell’iniziativa sull’Innovation days a Milano, organizzata giovedì scorso dal Gruppo 24 Ore e dedicata ai segnali di vitalità che arrivano dalle imprese, lo conferma. Ma non sono successi di uno sforzo collettivo del Paese, risultano l’eccezione più che la norma. La verità è che lo sviluppo risulta una chimera per buona parte dell’economia del territorio e che la spinta alla crescita è penalizzata dal clima di sfiducia, con il debito pubblico che rappresenta sempre più una palla al piede formidabile.
Per questo, nel mondo delle imprese, l’inquietudine sale. E con essa, anche nello stesso elettorato del Nord, le roccaforti leghiste, la convinzione è che sia arrivato il momento di saldare il conto con l’alleato di governo, a sua volta impegnato a fronteggiare gli esponenti più movimentisti. Matteo Salvini è di fronte a scelte decisive. Il rischio è che la felice stagione della crescita dei consensi si esaurisca e che variabili esterne alla politica facciano sentire il loro peso. Insomma, è arrivato il momento in cui deve rompere gli indugi e assumere le responsabilità del caso. È arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti, dalla litigiosità alla concretezza. Soltanto così potrà essere possibile passare dalle politiche dell’austerità, che sono risultate perdenti, a quelle dello sviluppo, l’unica medicina vera per il rilancio del Paese. Evitando l’errore di puntare la maggior parte delle risorse disponibili, poche, sull’assistenzialismo.
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