Fitoussi, la mina inflazione e il sostegno al reddito con il cashback fiscale
Per arginare gli effetti dell’inflazione il leader del M5s indica tre direttrici: una politica dei redditi volta a sostenere i redditi reali dei lavoratori, la riduzione del cuneo fiscale e incentivi alle aziende per investimenti “green” e “capital intensive” volti ad aumentare la produttività del lavoro
di Giuseppe Conte
4' di lettura
Gentile Direttore,
mercoledì scorso ho incontrato Jean-Paul Fitoussi. È venuto a trovarmi nella sede del Movimento 5 Stelle. Abbiamo trascorso buona parte della mattinata insieme discutendo dell’attuale quadro economico, degli scenari geo-politici internazionali, della necessità di perseguire una politica fiscale in grado di contrastare le diffuse diseguaglianze e di assicurare ai cittadini i beni pubblici necessari a migliorarne il benessere.
La sua conversazione si è rivelata, come sempre, sagace nei contenuti e brillante nei toni. Ci siamo lasciati con l’intesa di risentirci il giorno dopo. Doveva rientrare a Parigi ma rimanevano da concordare i dettagli della sua partecipazione all’incontro inaugurale del ciclo di lezioni magistrali della Scuola di formazione del Movimento.
Giovedì, a tarda sera, non avendo ricevuto notizie ho provato a chiamarlo sul cellulare. Senza successo. La mattina dopo i notiziari diffondevano la notizia del suo decesso, lasciandomi attonito.
Non sono un economista. Non spetta a me discettare sull’originalità dei suoi contributi al pensiero economico e sulla solidità epistemologica delle sue ricerche scientifiche. Posso però affermare che Fitoussi è stato un grande “pensatore critico”. Non si è limitato solo a contestare, sul piano micro-economico, la mistificazione insita nella teoria classica della “scelta razionale”, che ha ridotto la complessità dell’essere umano e dei suoi interessi a una dimensione meramente economicistica. Non si è limitato solo a denunciare, con dovizia di argomenti, i limiti della corrente misurazione delle performance economiche basate sulla metrica del Pil e il circolo vizioso innescato dalle politiche economiche improntate all’austerità che hanno strozzato la crescita economica e compromesso lo sviluppo sociale.
Fitoussi è riuscito, ben più ampiamente, a cogliere la portata dirompente delle tre grandi crisi del nostro tempo: la crisi climatica, la crisi della democrazia, la crisi della diseguaglianza. Muovendo dalla consapevolezza di queste tre grandi crisi ha indagato, rispettivamente, i temi del degrado ambientale e del depauperamento delle risorse, della perdita di fiducia nei processi democratici e nel principio della rappresentanza politica, della crescente insofferenza economica di ampie fasce della popolazione e del divario che si allarga sempre più tra i pochi che possiedono tutto e i tanti che non possiedono nulla.
Dalla connessione di queste tre grandi direttrici Fitoussi ha ricavato un’attenzione costante per le dimensioni della sofferenza economica e sociale e per l’obiettivo di una prosperità condivisa e di una migliore qualità di vita offerta a tutti i cittadini.
Mercoledì, quando ci siamo visti, abbiamo condiviso questi ampi ragionamenti e lui ha tenuto a richiamare la necessità di coniugare “democrazia e mercato”, riassumendo una convinzione che aveva già esposto in un suo fortunato volume, secondo cui «la democrazia deve servire a contrastare l’insicurezza economica, in maniera che il sistema economico possa contribuire a fornire le basi di una maggiore adesione alla democrazia».
Un altro tema su cui abbiamo concentrato le nostre considerazioni è stata l’attuale fiammata inflazionistica. Ha condiviso la mia forte preoccupazione per questa perdita di acquisto e, anzi, mi ha invitato a considerare, forte delle sue ricerche, che la spinta inflazionistica non colpisce tutte le fasce sociali in egual misura. «Ricorda sempre», mi ha quasi ammonito, «che mentre i beni di lusso ne sono generalmente esenti, l’inflazione si concentra sui beni di largo consumo, con il risultato di erodere il potere di acquisto delle fasce meno agiate della popolazione».Da questo ricordo personale traggo un indirizzo di politica economica da spendere nell’immediato per contrastare le diffuse difficoltà di famiglie e imprese.
In Italia l’inflazione viene attualmente stimata dall’Istat al 6,7%. È la misura più alta da tre decenni a questa parte. Non è un’inflazione da domanda e non è stata innescata dalla indicizzazione dei prezzi e da continui rialzi di salari-prezzi. Piuttosto, origina dagli incrementi dei costi delle materie prime e dalle strozzature dal lato dell’offerta.
Dobbiamo cercare di contrastare questa perdita del potere di acquisto, che si innesta su salari stagnanti dagli inizi degli anni ’90. Cosa fare allora per alleviare questo fenomeno, senza innescare spirali al rialzo?
Un’ottima intuizione, nell’ambito della nostra storia più recente, risale al Patto proposto da Ciampi nel 1993, ispirato da Tarantelli e rivolto a sindacati-imprese-Stato al fine di contrastare l’inflazione con la moderazione salariale, il rilancio degli investimenti e l’intervento dello Stato su redditi e potere d’acquisto. Quella sinergia virtuosa, in cui tutti dovevano contribuire a raggiungere quest’obiettivo condiviso, comportò soprattutto moderazione salariale, mentre difettò nel rilancio degli investimenti e, quindi, nella crescita della produttività.
Facciamo tesoro di quell'esperienza e concentriamo l’azione politica e le risorse finanziarie su tre direttrici:
a) Un’adeguata politica dei redditi volta a sostenere i redditi reali dei lavoratori, attraverso il sovvenzionamento di spese per energia, trasporti, casa, istruzione dei figli. Questo sovvenzionamento va riservato ai redditi più bassi e può essere alimentato anche attraverso il cashback fiscale, che consente sconti immediati e non più solo detrazioni da rinviare alle dichiarazione dei redditi.
b) Interventi sulla riduzione del cuneo fiscale, che porterebbe ad aumentare i salari netti, ma potrebbe servire anche a ridurre i costi per le aziende.
c) Incentivi alle aziende per investimenti “green” e “capital intensive” volti ad aumentare la produttività del lavoro.
Questi tre interventi non sono regressivi perché andrebbero calibrati su platee specifiche della società e del tessuto produttivo (il primo e il terzo), mentre il secondo è di tipo generale. Si tratta di un approccio non monetario ma di economia reale. Avrebbero il vantaggio di non innescare nessuna spirale inflazionistica ulteriore, e di andare direttamente al cuore del problema: il potere di acquisto dei lavoratori e la crescita della produttività del lavoro, unica vera arma, quest’ultima, per sterilizzare incrementi nominali di prezzi.
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