Lavoro

Le politiche attive vanno ripensate, non solo finanziate

di Sebastiano Fadda

3' di lettura

L’attuale diffuso (e confuso) dibattito sui Centri per l’impiego e l’invocazione del rafforzamento delle cosiddette “politiche attive” del lavoro, accarezzano spesso l’illusione che riversare risorse finanziarie su queste senza una approfondita ridefinizione del loro contenuto e delle loro funzioni sia sufficiente per garantire significativi aumenti dell’occupazione. Intanto va ricordato che la funzione delle politiche attive del lavoro e dei Centri per l’impiego è quella di favorire la copertura dei posti vacanti, non essendo esse strutturalmente idonee a creare nuovi posti di lavoro; ma tuttavia anche nell’ambito di questa funzione è necessario garantire alcuni essenziali punti fermi perché si possano raggiungere risultati apprezzabili.

1 L’incremento del personale impiegato nei Centri, oltre a dover essere tempestivamente attuato, deve essere realizzato con una distribuzione quantitativamente differenziata nei diversi centri secondo parametri che vanno dalla ampiezza della disoccupazione nell’area al numero dei soggetti presi in carico, mentre le competenze da selezionare vanno definite con riferimento alle specifiche carenze di competenze nei diversi centri.

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2 Le funzioni che i Centri devono svolgere vanno ridefinite: non si tratta semplicemente (vecchia concezione) di operare un matching di carattere passivo tra le richieste provenienti dalle imprese e le persone in cerca di occupazione. Le funzioni molto più complesse e impegnative in un contesto di profonda trasformazione delle dinamiche del mercato del lavoro richiedono una profonda riqualificazione delle competenze del personale già in servizio e una accurata selezione di quello nuovo.

3 La “formazione”, invocata generalmente come chiave per affrontare il problema della disoccupazione, diviene tale solo se orientata e gestita come risposta alle esigenze di allocazione e di riallocazione della forza lavoro derivanti dalla configurazione e dalla evoluzione del sistema produttivo, a livello nazionale e a livello locale. Quindi deve essere ancorata a monitoraggi e analisi previsionali dei fabbisogni professionali e deve individuare il vuoto da colmare tra competenze possedute dai soggetti da allocare o riallocare e competenze richieste dai posti di lavoro.

4 Una gran parte dei processi formativi dovrebbe essere condivisa, programmata e co-gestita con le imprese a livello territoriale. Ciò vale sia a livello di alta formazione (dottorati industriali, master, apprendistato di alta formazione) sia in ogni stadio della filiera lunga della formazione professionale (sistema duale rimodellato, tirocini, apprendistato, Its).

5 L’azione dei Centri per l’impiego deve integrarsi, formando un sistema organico, con tutte le altre misure di politica del lavoro e queste a loro volta con le misure di politica di sviluppo. I CpI dovrebbero fungere a livello territoriale come nodi di raccordo, sia sul piano della programmazione sia sul piano della gestione operativa, tra le politiche del lavoro e le politiche di sviluppo.

La soddisfazione dei requisiti enunciati in questi punti comporta una profonda revisione concettuale e ristrutturazione istituzionale e operativa, ma costituisce condizione assoluta perché si possa confidare in risultati positivi dell’azione dei CpI e delle politiche attive. L’integrazione tra queste ultime e il resto delle politiche del lavoro deve formare un corpo organico e coordinato di interventi coerenti tra loro (interamente da riorganizzare), capace di abbracciare una pluralità differenziata di destinatari (dai lavoratori autonomi ai quelli “atipici”, dai cassintegrati ai lavoratori licenziati o non rinnovati, dalle persone in cerca di occupazione alle non forze di lavoro), una pluralità di funzioni (mantenimento dei posti di lavoro, trattamento differenziato delle crisi aziendali, mobilità per la riallocazione del lavoro, espansione della domanda di lavoro), una pluralità di strumenti (sostegno al reddito durante i percorsi di mobilità, incentivi alle assunzioni, contratti di espansione, contratti di ricollocazione, espansione della domanda aggregata, sostegno all’evoluzione della base produttiva, misure di politica industriale). Si aggiunga anche la necessità di integrare in questo quadro politiche e problematiche di più lungo respiro strategico, riguardanti, tra l’altro, la crescita della produttività del lavoro, la qualità del lavoro, la questione salariale, il lavoro sommerso, la contrattazione collettiva, i diritti fondamentali del lavoratore, nuovi modelli di organizzazione del lavoro, lo Stato come “occupatore di ultima istanza”, la riduzione degli orari di lavoro.

Ma tutto questo richiede il coinvolgimento di numerosi soggetti istituzionali e tempi lunghi di elaborazione.

Nel breve periodo tuttavia non può che costituire la prospettiva di riferimento nella elaborazione delle misure di cui ai punti sopra enunciati.

Presidente Inapp

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