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Le promesse sempre più semplici dei partiti modellati sui leader

Tasse più basse, meno governo, difesa forte e valori familiari. Da sempre, secondo un vecchio leader democratico americano, basta questa manciata di parole per convincere a votare repubblicano.

di Nicola Barone e Paolo Legrenzi

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4' di lettura

Tasse più basse, meno governo, difesa forte e valori familiari. Da sempre, secondo un vecchio leader democratico americano, basta questa manciata di parole per convincere a votare repubblicano. «Noi – ha avuto modo di dire tempo fa l’ex senatore Byron Dorgan – possiamo farfugliare cinque o dieci minuti per dire chi siamo e cosa rappresentiamo. Non è questione di politiche, è questione di linguaggio». La distanza, di luogo e di tempo, sembra quasi annullarsi guardando alla scena italiana. Dalla prospettiva di chi vota, a maggior ragione se al di fuori di un ferreo credo politico, il contesto caotico della campagna elettorale non è di sostegno al compito.

Quando una decisione è importante possiamo cercare di ridurre gli errori anticipatamente, senza aspettare di vedere i risultati per regolarci in futuro su di essi. Di solito le decisioni importanti sono rare. Per esempio cercare di capire se vogliamo stare con una persona tutta la vita o acquistare una casa. La prima è una decisione che facciamo col cuore: solo il nostro istinto e i nostri sentimenti possono guidarci. Per l’acquisto della casa, invece, si può procedere in modi più razionali, immaginando un percorso composto di varie fasi successive.

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La prima fase consiste nell’esaminare il ventaglio delle possibilità, di tutte le possibilità. Non è facile. Se crediamo che la scelta da fare sia simile ad altre prese in passato tendiamo a prendere in considerazione le medesime opzioni già vagliate in precedenza mentre possono essersene presentate di nuove che tendiamo a trascurare. L’esperienza passata non è sempre una buona guida. Ammettiamo però che il ventaglio di scelta sia completo e passiamo alla seconda fase. Quale, tra le molte opzioni, dobbiamo favorire? Quella che porterà con maggiori probabilità le conseguenze più consone ai nostri gusti, alle nostre preferenze.

Questa seconda fase è complessa e va quindi frazionata in molte valutazioni differenti. Dobbiamo stabilire la nostra gerarchia di preferenze e, di conseguenza, il migliore vantaggio rispetto ai costi necessari per procurarcelo. Una procedura faticosa che richiede tempo e energie non solo mentali. Spesso è meglio decidere a occhio e croce e, in seguito, correggere le nostre decisioni alla luce di quel che è successo via via che lo stesso problema si ripresenta.

Questa strategia a spanne è però impossibile se la decisione viene presa raramente e se, nel frattempo, il mondo è cambiato. Ed è proprio il caso della decisione di voto ogni volta che ci sono delle elezioni politiche o amministrative. In questi casi ci troviamo ad affrontare un paradosso: si tratta di una decisione nostra, personale, ma che, nel contempo, viene presa da altri milioni persone. Dal punto di vista quindi della capacità di incidere sul risultato finale che porterà alla formazione di un governo il nostro singolo voto è irrilevante e sarebbe razionale non solo astenersi ma anche disinteressarsi della politica. Ma il voto è anche una scelta sentimentale e noi partecipiamo per dare il nostro contributo ed esprimere i nostri valori: è una decisione in cui ci rispecchiamo e per noi conta molto. Capita così che la maggioranza delle persone ritenga che sia una scelta importante e si rechi a votare. Si tratta di una decisione relativamente rara e quindi non si può adottare una procedura per prove ed errori perché ogni volta il contesto cambia.

Inoltre è una decisione guidata da motivazioni sentimentali ed è quindi accompagnata da emozioni. Alle speranze che accompagnano la scelta di voto possono seguire frustrazione, delusione e rimpianto per non aver fatto a suo tempo una scelta diversa. Quest’amalgama di riflessioni e emozioni spiega la recente grande mobilità nelle preferenze di voto degli italiani e anche l’incertezza di molti elettori fino al momento in cui decidono di partecipare al voto e si recano alle urne.

La scienza delle decisioni non può portare grandi aiuti perché, a differenza delle scelte in campi come la sanità o l’economia, è arduo misurare le conseguenze delle diverse decisioni per riuscire così a identificare le più soddisfacenti. Ecco come mai alcuni partiti puntano di più sugli obiettivi promessi e altri sulla pura fiducia nei leader. Quest’ultima strategia è diventata più frequente come si può accertare dalla diffusa presenza dei loro nomi nei simboli elettorali. Giudicare se dobbiamo confidare in una persona, in questo caso un leader politico, è una decisione che prendiamo continuamente nella vita quotidiana. Se è una questione di fiducia, allora gli obiettivi si collocano sullo sfondo. E in tal caso le promesse fatte dal leader-partito devono essere il più possibile semplici, condivisibili, e a breve termine in modo che siano credibili e rapidamente controllabili nei loro effetti. Così si spiega il progressivo spostamento sulle tematiche economiche del tipo: meno tasse, meno disoccupazione, meno anni per andare in pensione. Tre semplici meno che diventano un solo più riducendo il ventaglio delle scelte e anche il tempo in cui potremo constatare se abbiamo dato la fiducia al leader-partito per noi “giusto”. Potrà capitarci in seguito di pentirci ma, se abbiamo sbagliato, nei nostri errori c’è del metodo, come si dice nell’Amleto.

L’esame di decisioni prese in condizioni di forte incertezza e in contesti in continuo cambiamento mostra che le trappole mentali sono quasi sempre le stesse. In primo luogo l’inerzia e la focalizzazione: si prendono in considerazione non tutte le possibilità e si tendono a replicare le scelte del passato. E poi la madre di tutti gli errori: la troppa fiducia nelle nostre capacità di giudizio dovuta spesso al coinvolgimento personale e a quel mix di sentimenti e emozioni che è il motore della vita ma che, purtroppo, può andare fuori giri. Eppure è proprio da questa miscela che trae alimento la partecipazione agli eventi della politica che trasforma il voto non in una scelta effettuata in un preciso momento, ma soltanto in una tappa di un percorso più lungo e coinvolgente.

La scienza delle decisioni è così impotente nel proteggerci da errori e delusioni future anche perché i meccanismi qui descritti agiscono quasi tutti a nostra insaputa. E tuttavia diventarne consapevoli ci può aiutare a capire meglio gli errori del passato e a perdonare e perdonarci. L’evoluzione della nostra specie ci ha costruito male per questi frangenti che solo da poco tempo si presentano a Homo Sapiens. Ma Homo Sapiens è capace ci capire le eredità del suo lontano passato e la comprensione è anche una liberazione.

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