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Le prospettive della competizione nell'industria dei microchip

Dopo due anni in cui si è parlato di scarsità dell'offerta di microchip, tanto da mandare in stallo settori che ne fanno largo utilizzo (automotive ed elettronica di consumo, in particolare), ad inizio di quest'anno, a livello mondiale si è registrato un calo del 18,5% rispetto al 2022

di Valerio Francola – Gordon A. Mensah

(Edelweiss - stock.adobe.com)

4' di lettura

Dopo due anni in cui si è parlato di scarsità dell'offerta di microchip, tanto da mandare in stallo settori che ne fanno largo utilizzo (automotive ed elettronica di consumo, in particolare), ad inizio di quest'anno, a livello mondiale si è registrato un calo del 18,5% rispetto al 2022. In questo contesto, l'Europa ha fatto meglio, eguagliando le vendite dell'anno precedente.

In realtà, queste dinamiche confermano l'elevata ciclicità del settore, mentre l'elemento nuovo è il carattere sempre più strategico assunto dai microchip, tanto da indurre i governi delle grandi potenze mondiali ad investire ingenti risorse ed a impostare politiche industriali meno dipendenti dalle importazioni, fino a sfiorare il protezionismo (secondo alcuni osservatori). Le iniziative dei governi di Stati Uniti, Unione europea e Cina sono peraltro strettamente legate alle strategie di riposizionamento delle grandi imprese multinazionali del settore.Sono state le criticità generate alla catena di approvvigionamento dei semiconduttori dalla pandemia da Covid-19, a cui si sono aggiunte le difficoltà provocate dalla guerra in Ucraina, ad incentivare molte aziende ad abbandonare, del tutto o in parte, il c.d. offshoring in favore di scelte di reshoring o friendshoring. L'estrema complessità della supply chain dell'industria dei semiconduttori la rende, peraltro, difficilmente ricollocabile nell'ambito della catena produttiva di un singolo paese (reshoring).

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Di conseguenza, si sono sviluppate strategie e piani d’azione volte a costruire una rete di produzione e di approvvigionamento di componenti e materie prime all'interno di un gruppo di paesi dai valori condivisi (friendshoring o allyshoring). Queste dinamiche vengono incentivate dalle politiche di intervento statale nell'economia volte a governare le dipendenze strategiche e stabilizzare il settore tramite incentivi fiscali, crediti di imposta e aiuti di Stato, che hanno avuto come risultato una imponente crescita degli investimenti da parte del settore privato dell'industria dei semiconduttori. È in questo contesto che va inserito il Regolamento Chips Act dell'Unione europea, che entra in vigore il prossimo anno. L'obiettivo è di sviluppare una base industriale che possa raddoppiare (dal 10 al 20%) la quota del mercato mondiale entro il 2030.

Le principali linee d’azione sono: i) l’iniziativa “Chip per l’Europa” a sostegno dello sviluppo di capacità tecnologiche su larga scala, che dovrebbe mobilitare 43 miliardi di euro; ii) un quadro volto a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la resilienza attirando investimenti; iii) un sistema di monitoraggio e risposta alle crisi per prevedere le carenze dell’approvvigionamento e garantire risposte in caso di crisi.Dopo i passaggi in Commissione ed in Consiglio, la proposta di Regolamento ha registrato due settimane fa l'accordo politico che mira a rafforzare l’ecosistema europeo dei semiconduttori.

L’accordo provvisorio raggiunto tra il Consiglio e il Parlamento europeo dovrà ora essere definito nei particolari, approvato e formalmente adottato da entrambe le istituzioni. A parte le perigliosità insite nelle procedure comunitarie (il trilogo, in particolare), ci si chiede se il varo del Chips Act sia di per sé sufficiente a restituire un ruolo da protagonista all'industria europea dei semiconduttori.Diversi elementi destano preoccupazione al riguardo. Nei paesi membri, si registrano difficoltà da parte delle autorità locali a realizzare il contesto per l'insediamento delle nuove fabbriche (procedure autorizzative, fornitura di infrastrutture adeguate), come nel caso della costruzione di un sito produttivo nel sud della Francia.Si cita la Francia perché questo paese, assieme alla Germania, è stato il più attivo e rapido nell'individuare la localizzazione geografica delle nuove fabbriche di microchip, a differenza di altri (tra cui, l'Italia), in cui non vi è ancora una chiara indicazione.

Inoltre, perplessità sono state avanzate rispetto all'ammontare delle risorse destinate dall'Unione europea: sia con riguardo al valore complessivo (43 miliardi), se rapportato a quanto investito da altri paesi, sia in riferimento alla quota di risorse comunitarie (3,3 miliardi).Da ultimo, per quanto riguarda l'Europa, è incerta la strategia di specializzazione, tra espandere la capacità di produzione di chip “maturi” destinati ai settori industriali su cui l'Europa è molto forte (automotive, in particolare), oppure impegnarsi nello sviluppo di chip di ultima generazione, destinati a settori (telefonia mobile) che da tempo hanno abbandonato il continente europeo. Va detto che non si tratta di una scelta agevole.

Sembra del tutto ragionevole rafforzare quei segmenti della supply chain dei semiconduttori dove l'industria europea è competitiva, con importanti aziende nei diversi stadi della filiera (ASML nei macchinari, Merck, BASF e Solvay, nella chimica per il settore, etc.). D'altro canto, la presenza di importanti centri di ricerca (l'IMEC, in Belgio, gli istituti di Fraunhofer in Germania e il CEA-Leti in Francia), induce a non rinunciare alla sfida della produzione di chip avanzati, settore in cui realtà europee importanti come Arm, Infineon e STMicroelectronics possono recitare un ruolo di rilievo.Per pervenire ad una strategia coerente con gli obiettivi prefissati, l'Unione europea deve sciogliere questo dilemma, senza assumere atteggiamenti manichei. In ogni caso, si dovrà tenere in considerazione l'evoluzione dello scenario geo-politico, dove il riposizionamento strategico delle industrie e dei paesi sta rimettendo in discussione non solo le relazioni tra i grandi blocchi, tra Usa e Cina in particolare, ma vede affermarsi “nuovi” protagonisti, che possono rivaleggiare con l'Europa. Si pensi alla centralità che sta assumendo la Corea del Sud nei piani dell'amministrazione Biden, con l'”invito” a ridimensionare la propria presenza in Cina, o al ruolo di un gigante come l'India quale alternativa alle importazioni dalla Cina.
*Astrid

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