ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùTra forma e sostanza

Le regole saltate dello Stato Moderno

Il territorio statale moderno deve possedere tre caratteristiche: la continuità, l'omogeneità e l'isotropismo. Nessuno dei circa duecento Stati in cui oggi si suddivide la faccia della Terra obbedisce compiutamente a tali regole

di Franco Farinelli

(Leemage via AFP)

3' di lettura

Tra Sei e Settecento una mutazione semantica forte investe l'idea di città. Ancora nel Cinquecento essa é, con le parole di Giovanni Botero, “una ragunanza d'uomini”, vale a dire un insieme di esseri umani, un complesso di relazioni, uno stile di rapporti. Ma tra Sei e Settecento essa passa a significare esattamente il contrario: le cose, le case, tutto quello che d'ingombrante si può toccare e sta fermo, come decretato nell'Encyclopedie degli illuministi.

“La precessione del simulacro”

La chiacchiera sul postmoderno ha fin qui impedito di averne memoria, assegnando a ciò che verrebbe dopo la modernità l'atto invece costitutivo di quest'ultima, atto che Baudrillard ha chiamato “la precessione del simulacro”. Se l'espressione ha senso, essa indica non soltanto la precedenza dell'immagine cartografica rispetto alla realtà, ma anche la pretesa che questa discenda da quella. Come già il frontespizio del Leviatano, puntuale ritratto della genesi dello statale “Dio mortale”, programmaticamente illustra. Nell'incisione il gigantesco corpo del mostruoso principe, corpus civile et ecclesiasticum al cui interno si raccolgono allegoricamente i cittadini, si erge a dominio della città e della campagna.

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Proprio grazie a tale funzionale preesistenza la giustizia, che prima di Hobbes era una virtù che prendeva corpo nella società, diventa invece giurisdizione come ha spiegato Reinhard Brandt, soluzione formale del problema del coordinamento di diritti chiaramente determinati e determinabili, atto controllabile d'attribuzione di quel che a ciascuno spetta. In tal modo il bene e la giustizia si trovano a dipendere da una condizione che procede formalmente.

Platone

Per Platone l'ordine urbano era riflesso della giustizia, per Hobbes l'ordine urbano vale come giustizia, qualità dell'ordine e non più, come prima, del sovrano. È evidente che la giustizia (sostanza) sta alla giurisdizione (forma) alla stessa stregua che la città intesa come insieme di rapporti tra i suoi abitanti sta alla città illuministicamente ridotta al suo scheletro topografico. Ciò accade perché tale duplice determinazione si fonda su una medesima rappresentazione, una comune matrice: quella dell'estensione geometrica euclidea, le cui proprietà stanno alla base di ogni territorio statale moderno perché prima stanno alla base di ogni immagine cartografica, di ogni tavola. Il terribile apparato della sezione superiore del frontespizio vale infatti soltanto come significante. Il significato, esattamente come per Saussure, risiede in ciò che sta sotto la barra che taglia a metà l'immagine: nella logica tabulare cioè cartografica, autentica machina machinarum di tutta la modernità, che scomponendo in forma sistematica la realtà ne alimenta il funzionamento. Per poter esistere ogni Stato moderno deve assumere la natura di una mappa, di cui è la copia: il che resta vero anche se una delle prime cose che a scuola viene ancora tramandata ( e davvero sarebbe ora di smetterla) è che invece sia la mappa la copia della realtà. A farvi caso il territorio statale moderno deve teoricamente possedere tre caratteristiche: la continuità ( dev'essere tutto un pezzo), l'omogeneità ( una sola lingua e una sola religione) e l'isotropismo ( tutte le sue parti debbono essere funzionalmente voltate nella stessa direzione, la capitale). Nessuno dei circa duecento Stati in cui oggi si suddivide la faccia della Terra obbedisce compiutamente a tali regole, che pure restano formalmente tali, e sono quelle che per Euclide specificano la natura geometrica di un'estensione.

É la natura geometrica della territorialità statale la spia della sua derivazione dall'immagine cartografica, che in epoca moderna ne ha assicurato le proprietà spaziali. Il frontespizio del Leviatano illustra allo stesso tempo la genesi di tale processo e insieme l'effetto dell'applicazione al mondo del disincantato materialismo meccanico di cui la mappa é portatrice: all'interno del “mostro dal pensiero irragionevole”, come Hobbes chiamava lo Stato, i corpi dei sudditi che a loro volta ne compongono il corpo, immobili e tutti voltati di spalle per eliminare ogni singola individualità, già anticipano nella reciproca equivalenza e fungibilità della loro disposizione la logica della produzione in serie, la stessa che i filosofi di Francoforte scorgeranno nelle macchine erotiche di de Sade. Ma questo è il mondo di ieri, che precede la globalizzazione. Al cui interno i soggetti invece ora si muovono e, per dirla poeticamente con Rimbaud, torna a premere “l'opera divorante che si raduna e risale nelle masse”.


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