Le riforme necessarie per affrontare l’emergenza carceri
Per ridurre il sovraffollamento degli istituti di pena - soprattutto in questa fase emergenziale - si potrebbe intervenire sui flussi in entrata offrendo ai detenuti la possibilità di sottoporsi alla detenzione domiciliare
di Fabio Fiorentin *
3' di lettura
Le rivolte scoppiate i molti istituti penitenziari hanno trovato fertile terreno nel profondo malessere generato dal più acuto problema che affligge in modo endemico il nostro sistema penitenziario: il sovraffollamento di quasi tutti gli istituti di pena. La difficile esperienza di questi giorni deve, allora, costituire l’occasione per affrontare tale quella strutturale criticità così da evitare che, in futuro, possano ripetersi situazioni che hanno messo sotto forte stress l’intero sistema penitenziario e destato sconcerto in tutti i cittadini.
Occorre riflettere su come intervenire nell’immediatezza per ridurre il sovraffollamento delle carceri, ripristinando legalità e sicurezza e togliendo benzina a chi fomenta la protesta e forme di intollerabile violenza.
Allo stato, il problema presenta un duplice profilo: occorre, infatti, per quanto possibile, contenere i nuovi ingressi in carcere e favorire un deflusso controllato di ristretti dagli istituti penitenziari. Al 28 febbraio erano presenti nelle carceri italiane, 61.230 detenuti a fronte di 50.931 posti disponibili. Si tratta, quindi, di almeno 10.000 persone ristrette oltre la capienza regolamentare e, dunque, in una situazione di sovraffollamento.
Dal punto di vista dell’esecuzione penitenziaria, sarebbe necessario, operando anzitutto sui flussi in entrata, differire temporaneamente (per almeno due-tre mesi) l’emissione dei nuovi ordini di esecuzione relativi a condannati a pene che già attualmente consentono l’accesso alle misure alternative alla detenzione (si tratta delle persone meno pericolose, alle quali già a legislazione vigente è consentito attendere dalla libertà la decisione del tribunale di sorveglianza sulla eventuale applicazione di una misura alternativa). A tutti questi condannati potrebbe, inoltre, essere offerta la possibilità di sottoporsi volontariamente alla detenzione domiciliare, iniziando ad espiare la propria condanna a casa, con il duplice effetto di ridurre l’entità della condanna a proprio carico e l’ulteriore vantaggio di beneficiare della liberazione anticipata.
Si consentirebbe così alla magistratura di sorveglianza di concentrare le scarse risorse a disposizione (si tratta di poco più di 150 magistrati in tutta Italia) nella gestione controllata del flusso in direzione di uscita dagli istituti di pena. Su questo versante, escludendo i detenuti più pericolosi per l’entità della pena che devono scontare o per la natura dei reati commessi (delitti di mafia, terrorismo, la tratta di esseri umani, i delitti del “codice rosso” e simili), restano - secondo calcoli attendibili - 8.682 detenuti con meno di un anno di pena ancora da scontare e 8.146 con pene da uno a due anni. Nei loro confronti potrebbe essere applicata una misura analoga all’esecuzione della pena presso il domicilio, introdotta con la c.d. “legge Alfano” (l.199/10), la cui strutturazione dovrebbe essere ancorata alle condizioni di urgenza determinatesi dal combinarsi del fattore sovraffollamento a quello dell’emergenza sanitaria rappresentata dalla pandemia in corso. Ancorata a rigidi presupposti (primo tra i quali la regolare condotta carceraria, anche a riconoscimento del senso di responsabilità di molti detenuti che non hanno partecipato alle violenze), la misura dovrebbe avere applicazione sostanzialmente automatica.
Tuttavia, per evitare le inevitabili tempistiche di applicazione degli ordinari benefici penitenziari da parte della magistratura di sorveglianza, i quali necessitano di istruttorie anche molto complesse con il coinvolgimento di numerosi soggetti: educatori, direzioni penitenziarie, UEPE, forze dell’ordine, Ser.d., etc., evidentemente incompatibili con l’urgenza della situazione, la procedura dovrebbe articolarsi - a somiglianza di quanto già avviene con riguardo alle situazioni che impongono il ricovero del detenuto presso una struttura sanitaria esterna in caso di urgenza (art. 11 della l. 354/75) - con un meccanismo che preveda una prima fase di applicazione automatica e provvisoria della misura da parte dell’autorità penitenziaria (direzione del carcere o provveditore regionale) e con successiva ratifica da parte del magistrato di sorveglianza.
Il sistema avrebbe il vantaggio di consentire l’immediato deflusso di un numero consistente di detenuti, che verrebbero rilasciati e tradotti al domicilio da parte della Polizia penitenziaria e affidati alle forze di polizia del territorio, riservando alla valutazione della magistratura di sorveglianza la decisione sul mantenimento della misura esterna, in esito alla acquisizione di tutti gli elementi necessari.
In alternativa, la decisione provvisoria potrebbe essere assunta dal pubblico ministero che sovrintende all’esecuzione della pena, quale autorità coinvolta nella dinamica esecutiva che già provvede, in via provvisoria, alla sospensione dell'ordine di esecuzione e alla estensione (sempre provvisoria) delle misure alternative nel caso di sopravvenienza di nuovi titoli esecutivi.
È ragionevole ipotizzare che una tale misura potrebbe assicurare un rapidissimo deflusso di una parte consistente di quei detenuti che devono ancora scontare una pena detentiva di modesta entità, consentendo all'amministrazione penitenziaria di predisporre tutti i necessari interventi per far fronte all’emergenza sanitaria. L’eccezionalità del momento impone, infatti, di contemperare le esigenze umanitarie con gli altri beni di rilevanza costituzionale, attraverso una soluzione che, pur consentendo di salvaguardare il diritto alla salute dei condannati, assicuri al contempo l’esigenza connessa all'esecuzione delle pene legittimamente applicate.
* Magistrato di sorveglianza del Tribunale di Venezia
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