Le risorse ci sono, occorre spenderle bene
di Stefano Micossi e Gianni Toniolo
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Il Fondo Monetario Internazionale ha azzardato le prime previsioni sull’andamento dell’economia mondiale nel 2020. Prendendole per buone (il Fondo stesso le ritiene aleatorie), il Pil italiano diminuirebbe quest’anno del 9,1 per cento. Sarebbe il maggiore crollo dall’ Unità d’Italia, ad eccezione degli anni 1943-44, i più bui della seconda guerra mondiale. Tenuto conto della diminuzione delle entrate e dell’aumento, assolutamente necessario, della spesa pubblica, il rapporto debito/Pil supererebbe il 155 %, un livello brevemente raggiunto solo alla fine della prima guerra mondiale. In questo quadro la politica economica italiana ha il compito difficile di sostenere i redditi nella fase di chiusura di attività produttive, stimate attorno al 40% del totale, di dare un energico impulso agli investimenti, non appena possibile con adeguata sicurezza, e di minimizzare l’impatto sul debito pubblico della spesa necessaria.
Un Policy Brief della Luiss School of European Political economy, del quale siamo co-autori, evidenzia come le risorse già mobilizzate o programmate, nazionali ed europee, siano di dimensioni senza precedenti nella nostra storia, probabilmente adeguate alla crisi, anch’essa senza precedenti. Ma nella fase attuale preoccupa la lentezza, segnalata da varie parti, con la quale la liquidità raggiunge i destinatari. Sulle prospettive di medio termine pesa, oltre alla debole capacità di spesa, l’assenza di una visione che si concretizzi in programmi per l'utilizzazione dei fondi disponibili. È necessario alleggerire la pesantezza della legislazione e dell’apparato amministrativo, male antico dell'Italia, e ridurre l’incertezza prodotta dalle fibrillazioni politiche.
Data la condizione della finanza pubblica prima della crisi, è indispensabile una gestione delle risorse attenta a limitare per quanto possibile debito e fabbisogno. Anche per questo, l’appartenenza all’Ue si rivela necessaria come non mai. L’Unione ha già dato un’eccezionale prova di solidarietà, mentre la Presidente della Commissione annuncia altre importanti misure cooperative.
Gli interventi annunciati e quelli ancora possibili della Bce, che già possiede il 20% dei titoli pubblici italiani, calmierano la spesa per interessi sul nostro debito passato e futuro mentre rassicurano gli investitori, allarmati anche da talune improvvide dichiarazioni di importanti esponenti politici, circa la solidità dell’euro.
La liberazione da ogni vincolo nell’uso dei fondi strutturali già assegnati all’Italia rende disponibili circa 23 miliardi di euro per spesa che non crea debito aggiuntivo. Vanno utilizzati immediatamente. Le istituzioni europee (BEI e Commissione) metteranno a disposizione del nostro Paese 55-61 milioni di crediti a basso tasso per sussidi alla disoccupazione (SURE) e investimenti produttivi e infrastrutturali. A questi si aggiungerebbero 36 miliardi del Mes qualora il governo e il Parlamento italiano decidessero di utilizzarli per il potenziamento del sistema sanitario.
Purtroppo, nei consessi europei, l’Italia ha speso molto capitale politico in un’incondizionata opposizione a questo strumento, capitale che avrebbe potuto spendere più vantaggiosamente negoziandone le condizioni, soprattutto quelle relative all’allungamento del periodo entro il quale restituire le somme ricevute – che il Consiglio europeo è ben disposto a concederci.
Queste risorse europee saranno probabilmente molto accresciute dall’European Recovery Program al quale sta lavorando la Commissione. Si tratterebbe di un programma pluriennale di investimenti per almeno mille miliardi, effettuati dalla Commissione stessa nei diversi Paesi europei. Se dovessero essere spesi in proporzione al Pil di ciascuno, in Italia arriverebbero investimenti per circa 150 miliardi di euro.
Come si vede, esiste una base negoziale che può dare piena soddisfazione al governo italiano. Le altre cancellerie sono ben disposte, vogliono un accordo che rimetta le tensioni finanziarie nel cassetto e porti l’Italia fuori dal difficile guado. Ma per tranquillizzare i mercati bisogna dissolvere ogni impressione che l’Italia pensi a rompere, o non riesca a trovare un consenso sufficiente all’interno per sottoscrivere il buon accordo che si prospetta al Consiglio europeo.
Le grandi crisi passate hanno avuto due sbocchi diversi: il rafforzamento della coesione nazionale e sociale accompagnato da innovazioni istituzionali oppure la frammentazione del tessuto sociale e politico in gruppi di interesse non cooperativi.
La prima reazione degli italiani all’emergenza è stata largamente ordinata e solidale mentre si sono aperte fratture preoccupanti nei rapporti Stato-Regioni e Stato-Unione Europea, sulla base di antagonismi ideologici e personali inammissibili in una situazione di emergenza nazionale. Negli ultimi vent’anni, la crescita italiana è stata frenata dall’incertezza generata dal circolo vizioso tra instabilità economica e instabilità politica. Esso va spezzato perché non succeda che le risorse disponibili vengano immobilizzate o disperse frustrando l'indispensabile rilancio dell'economia già a partire dalla prossima estate.
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