calzature

Le sneaker Golden Goose made in Veneto conquistano gli Usa

di Giulia Crivelli

3' di lettura

Dal loro studio di Venezia, lotano quanto basta dalle capitali della moda, Francesca Rinaldo e Alessandro Gallo hanno anticipato di circa un decennio il trend delle sneaker di lusso, definizione che rende l’idea, ma che oggi appare incompleta. Il trend si è infatti diffuso in tutto il mondo e ha convinto anche i brand di calzature più tradizionali a inserire in collezione quelle che una volta chiamavamo “scarpe da tennis”. A 17 anni dalla nascita di Golden Goose e a dieci dall’introduzione dei primi modelli – fatti a mano e con un effetto “used” che all’epoca nessun marchio offriva – le sneaker assorbono ancora oltre metà delle vendite, ma i due designer veneziani sono riusciti a costruire un marchio da 130 milioni di fatturato con una redditività stimata al 30% grazie a molte altre categorie di prodotto e a una forte espansione retail in Italia e all’estero.

Una crescita di ricavi e di notorietà che ha attirato l’attenzione dei fondi, che hanno fatto a gara per conquistare Golden Goose Deluxe Brand (questo il nome completo, spesso abbreviato in GGDB). L’ha spuntata in febbraio Carlyle, fondo americano guidato in Italia da Marco De Benedetti, affidando la guida dell’azienda a Giorgio Presca, già amministratore delegato di Geox.

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«Non abbiamo ancora approvato il bilancio d’esercizio, ma posso anticipare che il 2017 si chiuderà con una significativa crescita a doppia cifra rispetto ai 130 milioni del 2016 – spiega Presca –. Non è solo grazie alle sneaker, anche se è a loro che il marchio deve buona parte del successo degli ultimi anni e della brand awareness in Italia e all’estero».

Una notorietà basata sostanzialmente sul passaparola, a sua volta innescato dall’originalità e qualità del prodotto. «La distribuzione è stata sempre molto selezionata, altra felice intuizione di Francesca e Alessandro – prosegue Presta –. Oggi il brand è presente in circa 700 punti vendita nel mondo e ha una rete di monomarca che comprende importanti città asiatiche come Seul, Tokyo, Shanghai, Pechino. In Europa siamo a Parigi, Londra e Amsterdam. Poi ci sono i negozi di New York e, naturalmente, Milano, Roma e Venezia. L’e-commerce diretto e le vendite online fatte da retailer specializzati come Ynap o Mytheresa.com sono importanti, ma crediamo ancora moltissimo nei negozi fisici».

Il numero stesso di monomarca suggerisce quanto siano complete le collezioni Golden Goose: un total look che comprende camiceria, capi in pelle, borse, stivali anch’essi con effetto “used”. Da sempre legati al mondo dell’arte e del design, i fondatori hanno inoltre creato una linea molto particolare, chiamata Haus (casa, in tedesco, e si pronuncia come House, casa in inglese), che comprende anche articoli di cartoleria.

«I negozi devono essere accoglienti, pensati più per abbracciare il consumatore che per “sommergerlo” di prodotti del marchio. I negozi più innovativi che hanno aperto di recente dimostrano proprio questo: è finita, credo, l’era dei format e dei concept calati dall’alto. Basta vedere quello che succede a Milano, una delle città oggi più vivaci nel campo del retail e non solo».

L’export vale già l’80% del fatturato e il primo mercato sono gli Stati Uniti: un traguardo di cui Presca e i fondatori vanno fieri. Non è facile per un marchio di “upper casualwear” avere successo nel Paese che ha inventato, di fatto, l’informalità nell’abbigliamento e nelle calzature.

Per il 2018 l’amministratore delegato di Golden Goose è ottimista anche grazie ai dati sempre più segmentati e precisi raccolti con il Crm e l’analisi del traffico su internet. «Il target di età si è allargato, abbiamo clienti che vanno dai 25 ai 55 anni – conclude Presca –. È in atto una casualization del formale, come dicono in America, che ci favorisce. Ma il vero vantaggio competitivo è l’artigianalità del prodotto e il suo Dna ed è in questo mix che il fondo Carlyle ha visto il grande potenziale del brand».

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