milano fashion digital week

Le strategie di Gucci e Zegna alle web sfilate

Fisico e digitale in modalità ibrida per esaltare prodotto e tecnicismo

di Angelo Flaccavento

2' di lettura

Il processo è il prodotto, si diceva negli anni Settanta, e il medium è il messaggio. Ennio Flaiano crocifisse i due slogan con fulminante ironia, ma è indubbio che le specificità linguistiche di un mezzo determinano i contenuti che esso veicola. La moda della Milano digital fashion week che si è chiusa ieri, la stiamo vedendo in video, non di rado con il voyeurismo del backstage rivelato. Il processo, appunto: un lavoro certosino di numerosi professionisti, che in corale armonia costruiscono immagini attraverso performance spontanee belle da guardare.

Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, ama il fascino del nascosto reso visibile. A febbraio, in sfilata, aveva trasformato il dietro le quinte in carosello, lasciando che gli spettatori fossero guardati invece di guardare. Adesso, in chiusura della digital fashion week milanese, conclude il gioco di specchiature con un Epilogo in video che è stratificato come la schermata di un computer d’antan, perché la nostalgia, qui, è condizione permanente. La trasmissione è parte di uno streaming warholiano di dodici ore dal set della campagna pubblicitaria, allestito a Roma a Palazzo Sacchetti.

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Modelli, questa volta, sono i ragazzi e le ragazze dell’ufficio stile, ovvero i co-autori della collezione stessa. Un reticolo di rimandi da vertigine, autoreferenziale come solo può essere l’estetica citazionista di Alessandro Michele, che tra anni Settanta, bohemia e Ken Scott, continua a fare la stessa cosa, sempre diversa e fiammeggiante. È il destino di Gucci, indipendentemente dal direttore creativo: a un certo punto diventa formula (e la moda rischia di non avanzare).

Da Ermenegildo Zegna, invece, a stimolare è proprio la moda, ancor prima e ancor più dello show che pure, nell’incastro perfetto di fisico e digitale, segna l’inizio di eccitanti sperimentazioni. Il lockdown ha fatto bene al direttore artistico Alessandro Sartori, qui alla sua prova migliore. Se in passato avevano prevalso il tecnicismo orgoglioso del far tessuti nuovissimi — Use The Existing, mantra aziendale e strategia inventiva di riuso delle fibre di scarto — e del lavorare su inedite soluzioni sartoriali, Sartori trova spirito di sintesi, una salutare asciuttezza.

Le parole d’ordine sono ibrido e leggerezza: concetti, entrambi, fondamentali per l’uomo contemporaneo. Sartori sottrae, fonde capospalla e camicia, rimescola righe, alza la vita dei pantaloni dalle pince profonde, regala maniche da annodare in vita alla borsa a marsupio.

C’è una eco persistente dei migliori anni Ottanta, senza citazioni letterali. Il tutto, in una sensazionale videosfilata ambientata in Piemonte, tra Oasi Zegna e opifici di Trivero: una camminata di tre chilometri che unisce uomo, macchina e natura, celebrando senza enfasi ma con molta efficacia i centodieci anni del marchio.

Missoni chiude la fashion week in modo altrettanto bucolico e familiare: non con una collezione, ma con uno short edit del bel documentario Being Missoni, celebrazione di fantasia e family business, ovvero il made in Italy al suo meglio.

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