Le terre rare strizzano l’occhio ai piccoli investitori
Le opportunità ci sono soprattutto con un’ottica di lungo periodo ma è bene avvicinarsi con cautela e nelle giuste proporzioni perché al rischio settoriale c’è da sommare quello geopolitico
di Lucilla Incorvati
I punti chiave
4' di lettura
Non si fa altro che parlare di loro, visto il legame con settori industriali ad alto potenziale ma anche a proposito degli equilibri geopolitici tra i potenti del mondo. Sono le terre rare, un gruppo di 17 elementi della tavola periodica (come il lantanio, il cerio e lo scandio) vitali per la tecnologia avanzata e le energie rinnovabili. Sono estratte negli Stati Uniti, in India, Sudafrica, Repubblica Democratica del Congo, Canada, Australia, Estonia, Malesia e Brasile, ma attualmente è la Cina a detenere il monopolio di questo mercato, con l’80% dei materiali lavorati in territorio cinese.
Il monopolio cinese
Oltre alla produzione, la Cina è l’attore globale più importante anche in quanto a disponibilità di riserve. Parliamo di un quantitativo pari a 44 milioni di tonnellate, cioè il 38% delle riserve globali (che in totale, secondo Irena, ammontano a circa 115,8 miliardi di tonnellate). Seguono il Vietnam, il Brasile, la Russia, l’India e l’Australia. Mentre gli Stati Uniti, secondi nel mondo per la produzione, detengono solo l’1,3% delle riserve, al pari della Groenlandia.
Questi metalli sono fondamentali per creare magneti permanenti, fibre ottiche e batterie ricaricabili, cruciali nell’industria delle auto elettriche e ibride, ma anche per costruire le turbine eoliche e i pannelli solari. Sono un elemento imprescindibile negli schermi di desktop e smartphone e insostituibili nella realizzazione di apparecchiature di medicina avanzata (tra gli altri, per le macchine chirurgiche e la risonanza magnetica). Non ultimo, sono largamente usate nell’industria della difesa per la realizzazione di radar.
Essenziali per ecologia ed energia
Sebbene l’estrazione sia costosa e spesso anche non sempre rispettosa della tutela ambientale le terre rare sono materie prime essenziali per le transizioni ecologica, energetica e digitale e nei prossimi decenni è previsto un aumento esponenziale della loro domanda.
«Anche se la maggior parte di noi non ha familiarità con i nomi dei metalli delle terre rare, è molto probabile che alcuni dei metalli pesanti bianchi e argentei di cui stiamo parlando siano alla nostra portata di mano - sottolinea Stefano Gianti, analista di Swissquote -. Proprio come i dispositivi e i prodotti che alimentano, questi metalli non hanno sostituti validi. Sono difficili e costosi da estrarre e lavorare e alcuni si stanno esaurendo, il che farà salire il loro valore». La domanda di minerali come il cobalto, il neodimio o il tungsteno è destinata a decollare e i prezzi a salire.
Secondo Apple, che utilizza i metalli delle terre rare per gli altoparlanti, le fotocamere e i motori “aptici” che fanno vibrare i suoi telefoni, i metalli sono utilizzati in quantità così ridotte che sono difficili da recuperare, eliminando le soluzioni di riciclaggio. «Il fattore più importante per lo sviluppo del settore è legato alla crescita della domanda - aggiunge Gianti - così come sale la domanda di tecnologie che utilizzano terre rare, soprattutto nel settore delle energie rinnovabili e delle tecnologie digitali. Anche a livello governativo, stiamo assistendo ad incentivi per promuovere la produzione e l’uso delle terre rare. Per esempio: scandio, ittrio, cerio». Si tratta di tre dei 17 metalli pesanti morbidi che sono essenziali per la vita così come la conosciamo. Secondo le previsioni, nel 2026 raggiungeranno i 9,6 miliardi di dollari, con un Cagr atteso del 12,3%.
Basket di titoli, Etf o fondi
Non è facile investire in un settore sul quale c’è ancora tanto da scoprire. «Gli investitori propensi al rischio possono approcciarlo investendo nelle singole azioni delle aziende attive globalmente nel settore delle terre rare o solo su alcuni degli elementi che lo compongono - spiega Vito Ferito, responsabile consulenti Gamma Capital Markets -. Al rischio settoriale c’è da sommare quello geopolitico. Il più grande possessore delle riserve mondiali (oltre 1/3) è infatti la Cina (e cinesi sono le principali società quotate, seguite da Australia e Canada), che potrebbe limitare l’esportazione di terre rare proprio come arma di difesa e ricatto nei confronti dei Paesi occidentali, Usa in testa».
Per i risparmiatori è bene puntare sulle terre rare con Etf, certificati e fondi comuni che selezionano società operative nel settore. Poiché non sono molti gli Etf specializzati (tra gli altri Etf Lyxor terre rare, oggi Amundi e Dolefin Rare Earth Elements) alcuni ricorrono a Etf su materie prime o su Paesi emergenti. Come spiega Alessandro Rollo, product manager di VanEck, «a differenza di altri metalli, non è possibile investire nelle 17 terre rare ricorrendo a contratti future. Quindi, l’unica soluzione al momento è quella di ottenere un’esposizione indiretta tramite le società coinvolte nella loro estrazione, lavorazione e raffinazione - spiega Rollo -. Per evitare di assumere rischi elevati, un investitore retail dovrebbe optare per un Etf che offra esposizione diversificata a questo settore, invece di selezionare singoli titoli che potrebbero essere esposti a rischi idiosincratici. La performance finanziaria di tali società è infatti fortemente correlata all’andamento del prezzo delle terre rare, caratterizzato da una domanda in costante aumento, a fronte di un’offerta limitata ma anche da dinamiche geopolitiche».
Consigli di portafoglio
È importante chiarire anche quanta parte dovrebbe essere destinata a questi strumenti in un portafoglio a rischio medio. Secondo Stefano Gianti di Swissquote, considerando che investendo in Etf, certificati o fondi dedicati si investirebbe già in un paniere, quindi con un certo grado di diversificazione implicito, «si può decidere di allocare una quota superiore al 5% del proprio portafoglio. Inoltre, visto che investire in materie prime è anche un hedge contro l’inflazione e viste le prospettive di crescita del settore, in un portafoglio di medio rischio si potrebbe arrivare al 15%». Ferito, invece, in un settore promettente ma dall’alta volatilità, suggerisce di non oltrepassare il 4-5% della parte azionaria. «Per ridurre il rischio timing dell’investimento - dettaglia-, una volta definito l’importo, si può anche con acquistare Etf in quote di pari importo in 6-12 mesi».
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