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Le tre lezioni della condanna Ftx

di Marco Onado

3' di lettura

La condanna di Sam Bankman-Fried, diventato rapidamente miliardario con la piattaforma Ftx, poi miseramente fallita, segna una tappa importante nella travagliata storia della criptofinanza. Che nacque – è bene ricordare – subito dopo la crisi del 2007-08 proponendosi come la grande innovazione che avrebbe dovuto sostituire la vecchia finanza che aveva dimostrato di creare rischi eccessivi che alla fine gravavano su risparmiatori e famiglie. Da allora, molti incidenti di percorso, per usare un termine soave, hanno gettato acqua sul fuoco di quegli entusiasmi, ma questa condanna segna una tappa importante nella storia dell’innovazione finanziaria per almeno tre motivi.

Prima di tutto perché l’accusa ha vinto su tutta la linea: la giuria ha riconosciuto l’imputato colpevole per tutti i capi di imputazione e la condanna si preannuncia molto severa. Chi usa troppo disinvoltamente gli strumenti della nuova finanza non rischia solo sanzioni delle autorità di controllo, ma la durezza del sistema penale americano, con le sue lunghe condanne e i suoi regimi carcerari severi.

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In secondo luogo, perché è il risultato non di un’iniziativa isolata e occasionale, ma di una azione a tappeto avviata di concerto fra le autorità di controllo americane e il dipartimento della Giustizia. Anche se fanno meno notizia, le procedure di infrazione e le inchieste penali avviate negli ultimi tempi fanno capire che l’innovazione finanziaria è bella e necessaria, ma non può agire in assenza di regole perché sono in gioco interessi superiori, come quello della protezione dell’investitore, che è per definizione in posizione di debolezza rispetto a chi confeziona e gestisce i prodotti, vecchi o nuovi che siano. Nel caso di criptovalute e compagnia cantante, c’era il doppio problema: il salto tecnologico (circondato di mistero) e la natura ibrida del prodotto. Tant’è che la Sec in molti casi si è a lungo interrogata se avesse competenza perché non era chiaro se si trattava di strumenti finanziari o di ibridi del tutto nuovi e perciò fuori dalla sua giurisdizione. E non giovava che molti dei nuovi attori avessero sede in Paesi lontani e spesso compiacenti: Bankman-Fried aveva concepito le sue idee negli Stati Uniti, ma aveva scelto come sede Hong Kong, salvo poi rifugiarsi alle Bahamas non appena la Cina ha stretto un po’ i controlli.

Il terzo punto è il più intrigante, perché la domanda sorge spontanea: come è stato possibile al giovane Sam diventare in poco più di due anni il miliardario americano più giovane, dopo Mark Zuckerberg? Qualcuno già profetizzava che sarebbe stato il primo trillionaire: orrendo neologismo per chi ha un patrimonio di 1.000 miliardi di dollari, dove l’orrendo si riferisce al fatto che nessuno si scandalizzi che in pochi anni si possa accumulare una fortuna superiore a due volte il Pil del Belgio. Il fatto è che lo zazzeruto Sam non ha raccolto fondi da ignare vecchiette, ma da fior di società di venture capital e private equity che facevano a gara per affidargli milioni di dollari, attratti dai rendimenti mirabolanti iniziali. Ma proprio costoro dovrebbero essere in grado di evitare le trappole tipiche dell’innovazione finanziaria, invece hanno dimostrato di credere alla favola degli zecchini d’oro peggio di Pinocchio.

Il fatto è che il sistema finanziario di oggi, soprattutto americano, trabocca di liquidità, frutto delle politiche monetarie del passato rese necessarie dalle crisi precedenti, che ricercano rendimenti alti, possibilmente in tempi brevi. Una combinazione che non dovrebbe esistere in natura o quanto meno essere estremamente rara. Insomma, gli anticorpi interni al sistema finanziario non funzionano più in un sistema che ha disponibilità finanziarie enormemente superiori alle possibilità di impiego di un’economia reale che fa fatica a crescere a livello mondiale. Vulgus vult decipi, dicevano i latini, la gente vuole essere ingannata, ma oggi fra costoro dobbiamo annoverare anche i grandi boss della finanza delle nuove tecnologie. E non a caso questo è lo stesso problema che ha fatto crollare nella primavera scorsa la Silicon Valley Bank, che si era fatta ingolosire dalla grande massa di capitali che circolano in quella zona, ma che si possono muovere con la velocità di un fulmine, anzi di un tweet. Il problema di Ftx abbraccia quindi un mondo ancora più vasto della criptofinanza e ci dice che la ricerca di nuovi equilibri dopo il diluvio di liquidità sarà lunga e tutt’altro che facile.

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