Le vendite retail spingono l’export del design italiano
Il terzo trimestre vede un recupero delle esportazioni. La ripresa interessa, a macchia di leopardo, tutti i mercati. Bene residenziale e settore privato. Ancora in stand-by il mondo dei grandi progetti
di Giovanna Mancini
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A pesare di più, e a far prevalere la cautela nei commenti, è l’incertezza dei prossimi mesi. Perché se dovessero guardare l’andamento delle vendite e degli ordini degli ultimi quattro mesi o quello attuale, le imprese italiane dell’arredamento potrebbero addirittura dirsi soddisfatte. Le più grandi perlomeno: quelle che hanno un portafoglio prodotti ben posizionato sul segmento alto e una radicata presenza sui mercati esteri.
Partiamo da una premessa doverosa: i dati ufficiali non sono positivi per le esportazioni italiane di arredamento. Ma gli ultimi a disposizione si riferiscono al primo semestre dell’anno e risentono, come spiega la presidente di Assarredo Maria Porro, del crollo dei mesi di lockdown, con un calo complessivo del 22% rispetto ai primi sei mesi del 2019 per il comparto arredamento: circa 29mila imprese che, nel 2019, hanno realizzato un fatturato alla produzione di 27,5 miliardi di euro, di cui 14,5 sui mercati esteri (dati FederlegnoArredo).
Tra giugno e settembre c’è stato un sensibile recupero delle vendite complessive – non ancora fotografato dai dati, ma riportato dal sentimenti di molte aziende - che ha portato in alcuni casi a ricavi persino superiori a quelle dello stesso periodo dello scorso anno. Una situazione che riguarda però soprattutto le grandi aziende più internazionalizzate.
«La situazione è molto complessa - spiega Maria Porro - è difficile fornire un quadro attendibile e fare previsioni perché la crisi che stiamo vivendo è come un’onda che, partita dalla Cina, ha poi colpito l’Europa, poi gli Stati Uniti e la Russia, e ora sembra tornare indietro». I mercati che sembrano aver tenuto meglio sono la Germania (secondo partner commerciale dell’Italia, nel settore) e i Paesi Bassi. Anche Francia e Stati Uniti hanno performato meglio rispetto al dato medio, che non riflette ovviamente l’andamento a macchia di leopardo del mercato in questa fase. Il calo più sensibile è quello registrato in Regno Unito, dove probabilmente incidono anche gli effetti e le incertezze della Brexit.
Mercati esteri decisivi per il recupero
I mercati esteri restano comunque decisivi per la ripresa e molte aziende registrano a partire da giugno un forte recupero delle esportazioni, soprattutto sul fronte delle vendite retail, a clienti privati o per progetti residenziali, mentre il mondo del contract e dei grandi progetti è ancora in gran parte fermo o rallentato.
A partire dall’ultima grande crisi, quella finanziaria del 2008-2009, l’export del settore è del resto incrementato a ritmi molto rapidi, arrivando lo scorso anno a rappresentare per l’intera filiera legno-arredo il 51%, con un saldo commerciale di 7,8 miliardi, il quarto risultato migliore nella manifattura italiana. Sempre secondo i dati Fla, la filiera (in tutto 42,5 miliardi e 380mila lavoratori) contribuisce per il 19% alla bilancia commerciale della manifattura italiana.
Difficile tracciare una mappa dell’export di design made in italy ai tempi del Covid-19. «La situazione è a macchia di leopardo - spiega Roberta Silva, ceo dell’azienda di illuminazione Flos –. In Asia e Oceania ci sono alcuni mercati che sono ripartiti molto bene, come il Giappone, mentre la Cina va un po’ ad alti e bassi. C’è una schizofrenia che vede alcuni Paesi riattivarsi e poi spegnersi di nuovo e viceversa: è successo con l’Australia e con l’India, ad esempio». Anche l’Europa ha grosse differenze al suo interno: «Tutto il mondo scandinavo va benissimo, come se fosse un mondo a parte – osserva Silva –. Anche Germania e Austria vanno bene, mentre sul Regno Unito pesano sia una situazione sanitaria che non ha mai superato la fase di emergenza, sia i primi effetti della Brexit. E poi la Spagna è in una situazione preoccupante». Sul fronte americano, le difficoltà maggiori si sentono in America Latina, mentre nel Nord America, nonostante l’emergenza sanitaria, la situazione è positiva, anche se si registra un rallentamento dovuto al combinato di molti fattori: oltre alla pandemia, anche le tensioni sociali legate alla questione razziale e le prossime elezioni presidenziali.
Ripresa diffusa sui mercati
Anche secondo Giovanni Del Vecchio, amministratore delegato di Giorgetti (azienda di arredamento di alta gamma che esporta l’85% del fatturato), la percezione è di un risveglio generale, con situazioni molto differenziate all’interno anche degli stessi Paesi. «Non sta andando così male come le condizioni economiche e sanitarie dei diversi mercati potrebbero far pensare. Settembre per noi è andato meglio dello scorso anno – osserva –. C’è un risveglio generale che non credo si possa spiegare solo con un tema di revenge spending o di recupero di quello che si era fermato durante il lockdown».
Probabilmente c’è un po’ di tutti questi fattori, compresa la riscoperta della casa, lo spostamento della spesa familiare in questo settore a scapito di altri, come l’abbigliamento o i viaggi. «È comunque un risveglio diffuso – aggiunge Del Vecchio -: abbiamo riscontri in Asia, con la Cina che ripreso crescere a ritmi importanti, ma anche dal Medio Oriente e dai mercati europei più consolidati, e anche in Russia e Stati Uniti stiamo registrando risultati positivi».
In frenata contract e grandi progetti
Tutti concordano anche nel registrare un generale rallentamento nel segmento del contract e dei grandi progetti, inizialmente frenati dai vari lockdown, poi ripartiti, ma ora penalizzati dalla crisi del mondo commerciale (in particolare i negozi dei marchi della moda), dell’hospitality e degli uffici. Diverso il discorso per il contract residenziale, che invece tiene abbastanza bene.
«Qualche segnale di ripresa arriva anche dal contract, ma quello che ha spinto i ricavi in questi ultimi mesi sono le vendite retail, che per noi stanno andando benissimo, con crescite addirittura a doppia cifra rispetto all’anno scorso», osserva Roberto Gavazzi, amministratore delegato del gruppo Boffi-De Padova (circa 80% di export). «Quello che per noi ha fatto la differenza è la nostra distribuzione capillare in tutto il mondo, con 26 monomarca gestiti direttamente. Chi oggi ha un brand forte e una comunicazione e una presenza internazionale diffusa si sta salvando».
La presenza in loco non solo di negozi, ma anche di filiali commerciali, uffici e servizi logistici, è sicuramente una leva straordinaria in una crisi economica che ha il suo epicentro proprio nella limitazione agli spostamenti delle persone.
Forse anche a questo è legato un fenomeno che mette in evidenza Massimo Maestroni, direttore marketing e commerciale di Lema: «Il nostro rivenditore di Londra ci riporta che gli ultimi quattro mesi sono stati da record. Si vendono pezzi singoli ai privati che entrano in negozio, mentre tutto quello che è progetto o contract è fermo. E l’altro aspetto interessante è che questo accade soprattutto nelle periferie, ovviamente quelle benestanti, mentre il centro della città, la City, è deserto, e anche i negozi soffrono».
Previsioni: domina l’incertezza
Niente pronostici sul terzo trimestre e, dunque, sulla chiusura d’anno. Né tantomeno su un 2021 in cui cominceranno a sentirsi gli effetti della mancanza delle fiere di settore (il Salone del Mobile di Milano in primis) e della prolungata assenza di spostamenti e contatti diretti con gli stakeholders. Ma silenziosamente, senza dirlo a voce alta quasi per scaramanzia, le imprese italiane del design si godono questo momento di ritrovata attività, e strategicamente riposizionano alcuni investimenti sulla trasformazione digitale, anche questo in chiave export, sia per poter comunicare con i clienti più lontani, sia per attrezzarsi a un servizio e-commerce che, anche in questo comparto, sta registrando crescite importanti, con un numero crescente di aziende che quest’anno ha lanciato proprie piattaforme, dedicate non solo ai piccoli accessori ma anche a mobili veri e propri.
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